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Amici Miei è più femminista di quel che pensate

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Quattro amici, un’amicizia maschile che il cinema non è mai più riuscito a raccontare, eppure Melandri, Mascetti, Sassaroli, Perozzi e Necchi non celebrano il maschio, lo descrivono per quel che è.

No, tranquilli, non è un tentativo di supercazzola, semplicemente Amici Miei è uno di quei film (facciamo due film, il terzo non esiste) scritti così bene che ancora oggi può dirci qualcosa e che riesce a parlarti a ogni età.

Ultimamente è di gran moda l'analisi di opere del passato secondo la lente del presente. Una lente che ovviamente risente dei cambiamenti nella morale e nella società che sono intercorsi in questi anni. Della maggiore sensibilità verso determinati temi e di un approccio più attento a tutto quel pubblico che va oltre il maschio bianco eterosessuale. Un approccio che in parte ha permesso lo sviluppo di storie nuove e punti di vista differenti, ma che ogni giorno fa anche inevitabilmente i conti con tutte quelle derive che vanno sotto il nome di “politicamente corretto”.

Volendo potremmo obiettare che, attualmente, la politica offre una visione diametralmente opposta rispetto all’inclusività a tutti, quindi il politicamente corretto prevede l’emarginazione, ma questa è un’altra storia.

Grazie a questa nuova tendenza abbiamo scoperto che, incredibile, Animal House, è un’opera che trabocca mascolinità tossica (e anche li se ne potrebbe discutere) che Conan trattava male le donne, che molti videogiochi del passato non vanno oltre il “salva la principessa” e che dovremmo buttare via tutta la mitologia dei Grandi Antichi perché Lovecraft era un razzista senza speranza (e lo era, pure per i suoi tempi).

Un po’ di tempo fa mi è capitato di imbattermi in una discussione che in qualche modo coinvolgeva Amici Miei come esempio di mascolinità sbagliata e prevaricante, un punto di vista interessante, ma forse troppo focalizzata sulle vittime dei loro scherzi, più che sui personaggi. Io credo che non vi sia opera migliore per mostrarci tutti i difetti del maschio passato e contemporaneo, ridendo con lui ma anche di lui.

Prima di iniziare questa analisi, per correttezza voglio chiarire che Amici Miei è un film a cui sono legato da un amore viscerale per ragioni di campanile e per motivazioni personali. Prima che Pieraccioni e Benigni danneggiassero irrimediabilmente l’immagine dei toscani nel mondo dipingendoci come gente simpatica e gioviale, Amici Miei ci rappresentava per ciò che siamo veramente: nobili decaduti dediti alla cattiveria, allo scherzo e a ogni possibile attività che preveda la dissacrazione e il dare calci alle cassette di frutta su cui sale chi vuole far comizio.

Philippe Noiret, ugo Tognazzi, Silvia Dionisio, Duilio Del Prete, Adolfo Celi, Olga Carlatos e Gastone Moschin durante la conferenza stampa di "Amici miei", Roma, 24 febbraio 1975.
ANSA/OLDPIX

Una visione molto più simile ai Maledetti Toscani di Malaparte che al Ciclone, d'altronde un fiorentino moderno ha ben poco di cui vantarsi, essendo Firenze una vecchia signora che vende foto di quando era giovane.

Inoltre, lo ritengo un’opera fondamentale per raccontare un tema molto poco dibattuto nei film e soprattutto nelle opere italiane: l’amicizia maschile. Ci sono centinaia di pellicole su donne che sono amiche, poi litigano, poi tornano amiche, donne che si dicono tutto, che si pugnalano alle spalle, che fanno finta di essere amiche di altre donne, che esternano i propri sentimenti, ma c’è veramente poco sul tema di come l’uomo vive i rapporti più profondi.

Nessuno parla quasi mai di come l’uomo non esprima sentimenti che spesso vive in maniera intensa e profonda, di come possa stare accanto ai suoi amici di una vita senza mai chiamarli tali, di come questa amicizia preveda quasi sempre il trattarsi in maniera feroce e spietata, riservando agli altri gentilezze che sarebbero viste come mancanze di rispetto. Questa “incomunicabilità del maschio” è parte del problema dell’oggi e fonte di grandissime incomprensioni tra i sessi.

Gli amici di Amici Miei sono tali senza dirselo quasi mai e sono l’uno per l’altro la fuga da vite misere, tenute in piedi solo da quel rapporto fatto del “piacere di stare insieme solo per litigare”, come direbbe Battiato, un piacere che ho vissuto sulla mia pelle per molti anni.

Questa lunga digressione si lega al tema principale in molti modi: Necchi, Sassaroli, Melandri, Perozzi e Mascetti sono tutto tranne che maschi oppressivi, forti e assertivi. Sono uomini deboli e soli, dalle esistenze spesso misere, che tradiscono, ingannano e per questo respirano solo nell’escapismo che riescono a trovare stando assieme. Chiunque abbia a che fare con loro in qualche modo li disprezza: figli, mogli, amanti. Il rapporto con le donne è spesso di subalternità: o sono bambini che possono giocare perché altri fanno il loro lavoro o non sanno dire di no, anche quando si presentano col vestito buono, oppure si trovano in situazioni coniugali infelici da cui non posso scappare se non durante le zingarate. Sono figure spesso rigide, ma solo perché le vediamo con l’occhio infantile di chi rifiuta la realtà.

Con questo non voglio dire che le donne nell’opera di Monicelli e Germi siano trattate bene. Dal punto di vista narrativo raramente sono qualcosa che va oltre l’accessorio, un accessorio spesso visto solo come cattivo, rigido e antipatico. Questo è inevitabile perché il fulcro di tutto sono i cinque protagonisti e l’intendo è tutto viene vissuto dal loro punto di vista. Ridiamo con loro, in parte assolvendoli, ma ridiamo spesso anche di loro e queste donne, anche quelle più vituperate, come le mogli del Necchi e del Mascetti, hanno infine la loro rivalsa, persino quella del Perozzi se ne va e dubita della morte del marito, giudicandolo un personaggio così meschino da fingere persino la propria morte.

Per quanto il riso possa perdonarli, non c’è premio per la condotta dei cinque, se non la gratificazione immediata dello scherzo, dopo la vita presenta sempre il conto o situazioni da cui non possono sfuggire, come il cuoco, anzi, sottocuoco (anche se "sparecchiavo" è uno dei momenti più bassi, perché di fatto annacqua uno stupro). L’unico caso in cui la scampano è forse la storia della contorsionista che coincide con la più palese ed evidente celebrazione del maschio che piega la donna come una sdraio e la spedisce lontana. D’altronde qua non vogliamo fare di Amici Miei un vessillo della liberazione femminile, ma fornire una lettura più stratificata di un’opera che comunque celebra la mascolinità giocosa e infantile.

Ho detto prima che i quattro non esplicitano quasi mai la loro amicizia, ma qualcuno lo fa e lo fa con una frase che dice tanto: “Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”. Una frase che nella sua ingenuità fa emergere il rapporto conflittuale e complesso con l’altro sesso, che non li capisce, che li vorrebbe adulti e responsabili, ma anche con l’idea idealizzata che l’omosessualità sia la fine di ogni conflitto, quando invece è tutt’altro. Non è un commento omofobo o maschilista, ma di un arreso alla vita che, all'epoca, non aveva grandi strumenti per giudicare.

Parliamo degli scherzi: raramente hanno una connotazione moraleggiante: che siano schiaffi in stazione, il coro, i Marsigliesi o la defecatio isterica ciò che conta è lo scherzo, che loro si divertano, più che dare una lezione a qualcuno. Il collante della loro relazione è senza dubbio il disprezzo per gli altri, ma non è un disprezzo mirato, se la prendono con donne, vecchi, ricchi e deboli, nobili e poveracci. L'usuraio è forse l'unico caso in cui lo scherzo diventa punizione del cattivo. La Supercazzola in questo contesto è un po’ come quelle lingue misteriose che si inventavano da bambini per non farsi capire dai grandi.

A questo disegno sfugge in parte il Sassaroli, che infatti non a caso è quello più “esterno” al gruppo. Il dottore mantiene sempre il controllo della situazione, vive di un cinismo glaciale e si arrocca dietro la ricchezza ottenuta con la clinica privata. Pur essendo il protagonista di una delle scene più belle, quella col vedovo, è anche quello che si lascia meno andare e infatti di lui sappiamo molto meno degli altri. Inizialmente vive una situazione di contrasto che poi si risolve in un legame indissolubile dopo essersi dimostrato “degno” (torniamo al discorso dell’amicizia virile), avendo tenuto testa ai quattro sul loro stesso campo da gioco. È una sorta di personaggio virato al negativo e sempre giocato su toni bassi per far spiccare maggiormente gli altri.

Amici Miei non è dunque solo una celebrazione del maschilismo, ma anche della fragilità umana e del suo bisogno di compensare il peso del mondo con la burla. I suoi personaggi non vengono mai dipinti come eroi, come chi agisce nel giusto. Non sono vincenti, non ottengono qualcosa dalla loro condotta, se non il piacere della reciproca crudele compagnia.

Sono personaggi che vivono vite spesso banali e noiose, che si umiliano, che minacciano un suicidio che non avverrà mai, che si fanno trascinare da cani che non vogliono, che vengono sconfitti  e cornificati, che restano paralizzati e non posso più scappare, che hanno come ultimo gesto di ribellione una supercazzola al prete (perché se c’è una celebrazione è quella dell’attacco all’autorità) ma che quando cercano di fare le persone serie vengono subito smascherati e liquidati con un sonoro “Addio merdaiolo!”.

Ribadisco: dubito fortemente che l’intento di Germi e di Monicelli fosse quello di ottenere un’opera femminista e certe simbologie vanno totalmente all’opposto. Non voglio fare l’errore delle letture distorte di cui sopra. Ma la grandezza della scrittura di Amici Miei sta nella messa a nudo dei lati più oscuri e intimi dell’essere uomo attraverso l'ironia. Dopo la risata c'è sempre un ritorno alla realtà. Senza assoluzione, senza il “i maschi sono pur sempre i maschi”, là dove ormai le supercazzole stanno a zero.

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