STAI LEGGENDO : Di Streets of Rage 2 e Nonne adottive

Di Streets of Rage 2 e Nonne adottive

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Può un gioco farci ricordare chi amiamo? Diventare la fotografia di un volto a cui siamo legati? Per me, con Streets of Rage 2, la risposta è sì.

Il 20 dicembre del 1992 avvenne il lancio di Streets of Rage 2, alfiere del Sega Mega Drive (Genesis negli States) che ha rappresentato per anni l’apice dei picchiaduro a scorrimento. Questa ricorrenza mi fornisce la scusa per raccontare una piccola storia della mia infanzia che mi ha segnato molto negli anni a seguire.

Sega Does What Nintendon’t

Prima di passare alla sfera più personale, vorrei però spenderle due parole sul perché Streets of Rage 2 sia così celebrato a oltre trent’anni dal suo esordio. Non è un caso se ai Game Awars Sega si è presentata con l’annuncio di un nuovo SOR, e se poco tempo fa Dotemu ha realizzato un quarto capitolo semplicemente da incorniciare.

Dopo tutti questi anni in molti ricordano quel gioco per una serie di motivi tutti validi: rappresenta lo stato dell’arte di un intero genere che, di lì a poco, venne soppiantato dalla sperimentazione con le tre dimensioni. Soprattutto, era un titolo che univa in sé l’eccellenza nel gameplay, nella grafica del periodo e nelle musiche.

Per capire quanto il lavoro fatto da Yuzo Koshiro sia splendido, consiglio la visione di questo video

Volendo scendere più nei particolari, potrei dirvi che Streets of Rage 2 metteva a disposizione una profonda differenziazione tra i personaggi giocabili, espandendo non poco la strada indicata da Capcom con Final Fight. Oppure potrei parlarvi di quanto i nemici fossero vari all’interno di un genere che, di solito, ti mette contro solo cloni su cloni; parliamo di oltre trenta nemici differenti, ognuno con un proprio pattern da prevedere, contando solo sul posizionamento e i tempi di attacco.

Streets of Rage 2 per me è come il primo Super Mario, nel senso che, rigiocandolo oggi, si riesce a comprendere senza difficoltà perché abbia lasciato un tale segno nel tempo. Ma oggi più che parlare di storia dei videogiochi, vorrei parlare della mia, e di come una cartuccia mi abbia legato profondamente a una persona.

Come un dono

Quando ancora mi godevo il soggiorno nel pancione di mia madre, i miei genitori vivevano in una piccola casa di tre stanze e come vicine avevano due sorelle. Una in particolare, credo si chiamasse Rosalia (e vi spiegherò presto il perché dell'incertezza sul nome) si innamorò di me ancor prima che nascessi. Appena nato quell'amore si riversò in tanti doni, anche se le due sorelle avevano un tenore di vita molto umile: per esempio la catenina d’oro col santino, immancabile al Sud per proteggere un bambino piccolo, o ancora i peluche di personaggi che vedevo in televisione. Non ho molti ricordi in merito, ma a quanto pare mi bastava dire "Che bello il Gabibbo" e senza richieste dirette in pochi giorni arrivava un regalo.

La vecchietta innamorata di me come una nonna divenne Ninnina, un soprannome che le diedi per caso. Al sentire questo nome bislacco, mia madre tentò di redarguirmi, ma la mia vicina di casa amava profondamente qualsiasi cosa facessi e immediatamente accettò il suo nuovo appellativo. La cosa veramente speciale, però, avvenne qualche tempo dopo.

Erano tempi ormai prossimi alla comunione di mio fratello che si preparava, come da tradizione, a ricevere una valanga di doni. In tutta questa situazione però Ninnina si preoccupò per me, un bambino di appena quattro anni e sicuramente poco consapevole della situazione generale: "E se 'u picciriddu' si prende di gelosia?". Serviva un regalo atto a non farmi odiare mio fratello, uno speciale. Ecco il suo piano, e come se fosse niente comprò un Sega Mega Drive.

Vi ho già spiegato come le due sorelle non navigassero nell'oro, eppure senza pensarci troppo, ecco arrivare da una donna senza nessun legame di parentela la mia prima console di videogiochi (con tanto di primo Sonic in bundle). Su quel benedetto Mega Drive ho trascorso ore interminabili, e più del porcospino blu le mie attenzioni andarono a Streets of Rage 2: giocato da solo, in compagnia di mio fratello o addirittura con mia madre, che poi abbandonò i videogiochi nell'era PlayStation “perché i pad avevano troppi tasti”.

Ninnina scomparve all'inizio del primo anno di scuola elementare, dopo aver pregato mia madre di farle vedere come mi stava il grembiule scolastico (che, se non ricordo male, mi regalò sempre lei).

Ripensandoci oggi, so senza ombra di dubbio che la mia passione per i videogiochi nasce da un amore puro, che porto ancora dentro, perché Ninnina per me è stata una nonna acquisita.

Oggi condivido questa storia per tanti motivi, e uno di questi è che, 28 anni dopo, ho ancora bisogno di ricordare Ninnina; perché è stata la dimostrazione vivente di quanto si può provare amore anche verso uno sconosciuto, e perché questo affetto può anche legarsi indissolubilmente a un videogioco. Quando guardo la copertina di SOR2, ripenso a come sia arrivato nella mia vita, è un po’ gli occhi si inumidiscono.

Questa vecchia storia l’ho condivisa anche anni fa, all’annuncio del ritorno della serie grazie a Dotemu, che mi aveva emozionato non poco, ma prima di salutarvi ho due segreti da condividere con voi.

Il primo è che, di recente, ho venduto la mia collezione di titoli del Mega Drive, tutta a parte due giochi: Sonic e Streets of Rage 2. Nessuna cifra avrebbe potuto eguagliare l’affetto che provo per quelle copertine rovinate e ingiallite, e al solo pensiero di separarmene ho avuto un momento di sincera commozione.

Il secondo segreto è che il 20 dicembre del ‘92 avvenne sì il lancio di Streets of Rage 2, ma negli Stati del Nord America. Da noi in Europa arrivò un mese dopo.

Forse non avevo bisogno di un anniversario per raccontarvi questa storia, ma se vi ho aiutato a pensare a qualche gioco in particolare e alle persone che avete amato grazie o tramite esso, allora sono sicuro che mi perdonerete.

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