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Pesci Piccoli - Riavviare la sit-com in Italia

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Dopo l'esperimento di Generazione 56K i The Jackal tornano sul piccolo schermo con una serie dal taglio completamente diverso e che ammicca deliberatamente ai nuovi classici della comicità televisiva.

Pesci piccoli arriva in un momento cruciale per l’intrattenimento.
Il ritorno di Boris ha aperto una ferita che pensavamo ormai risanata nel panorama della serialità televisiva italiana, evidenziando la mancanza della personalità di Torre come un vuoto intorno a cui costruire, piuttosto che cercare di riempire con un prodotto omologo.

Le storie di vita vera falsa, che giocano con l’abbattimento della quarta parete senza guardare in camera, dialogando con lo spettatore attraverso le cose che conosce e non con un monologo è estremamente efficace.

Era appunto il campo da gioco nel quale si muoveva Boris: è fiction, ma è anche un posto di lavoro dove fanno fiction (quelle metacose che ci piacciono tanto ndLorenzo). Questo aspetto è la base sulla quale Pesci piccoli lavora, una serie su un'agenzia di comunicazione dove ci lavorano persone che sai che fanno comunicazione nella vita vera e che, quasi, non sono attori propriamente detti. La vita che rappresentano potrebbe nemmeno essere poi così diversa da quella vera e, nel contesto lavorativo, le agenzie di comunicazione non lavorano troppo diversamente da come ci viene rappresentato nella serie.

Con l’esperimento precedente, Generazione 56K, la presa sul pubblico è stata differente, e tutto ciò ha a che fare con la percezione della maschera.

Nel corso degli anni i The Jackal hanno basato la loro comunicazione sulla costruzione dei loro personaggi, sono diventati le maschere di loro stessi, non è una cosa negativa, specie in ambito comunicazione, dove sei una persona, ma sei anche un prodotto che crei attraverso il tuo lavoro e che poi puoi piazzare in funzione delle esigenze. E quindi le maschere, i personaggi, quel tranquillizzante pattern comportamentale che è stato assimilato da milioni di visualizzazioni.

Generazione 56k (che a me comunque piacque molto), sotto questo punto di vista, era più una serie CON i The Jackal, Pesci piccoli è più una serie SU (inteso come ispirata a) i The Jackal.

Una felice ibridazione che unisce il concetto di sit-com sul posto di lavoro à la The Office con il discorso metatestuale ereditato da Boris (ma che ha parenti anche cinematografici da Effetto notte a Il caimano passando per Voci fuori scena).

Il risultato è uno sfondamento della parete che separa fruitori e creatori digitali con in mezzo l’agenzia di comunicazione. Il punto della questione spesso sottovalutato è esattamente quella mancanza di percezione del fenomeno contenuto, che vede nel creator solo il frontman, la punta dell’iceberg, che alle spalle ha una quantità di professionisti che potremmo definire gli ingranaggi della macchina del content creating.

I nostri Pesci piccoli sono l'onesto proletariato della comunicazione

E se consideriamo le agenzie come macchine, c'è chi va in Mercedes e chi va in Panda, allora i nostri Pesci piccoli sono l'onesto proletariato della comunicazione, un espediente che permette di raccontare uno degli argomenti che mi sta più a cuore tra tutti, la provincia.

Il punto di osservazione dello spettatore, coincide con quello di una professionista della comunicazione che viene spedita dalla sede centrale ad una periferica per una gaffe, similmente a come in Boris il point of view dello spettatore coincideva con quello dello stagista Seppia, portandosi dietro un certo modo di raccontare il lavoro che da un mondo ideale, ma non privo di storture, della grande macchina dove tutti sono sostituibili e vige il mito della produttività a qualsiasi costo.

Sempre questo filone indaga il tema della qualità del lavoro, soprattutto di quello a cui noi rinunciamo umanamente per avere in cambio che cosa? Qui interviene l'artificio narrativo della costruzione delle vicende umane dei personaggi, alcune più interessanti e più riuscite di altre, come la storia di Fabio sull'accettazione della fine di una relazione, o il duo comico costituito da Ciro e Fru; forse la meno interessante e più telefonata è proprio il filone romantico che vede Aurora protagonista, ma che fa un discorso sensato sulla questione body positive, femminile e maschile.

Aurora che funziona come protagonista ma che paga un po' il fatto di avere come suo contraltare un personaggio maschile poco caratterizzato (nel senso, caratterizzato come "è bello, ha una relazione complicata") rispetto agli altri che lo fa scivolare tra le seconde file, se non addirittura terza fila, non avendo nessun momento memorabile.

Lorenzo Fantoni
Non posso dire che Pesci Piccoli mi sia dispiaciuto, ma mi è rimasto veramente stretto. Sei episodi di mezz'ora sono veramente pochi per creare una sintonia, anche quando conosci le maschere come accade con i The Jackal. Anche perché si scrive per tutti, non per chi ti conosce. I personaggi secondari restano sullo sfondo e le recitazioni non sono proprio tutte a livello di Fabio. Ho trovato anche stucchevole la narrazione dell'agenzia del sud tutta balletti, colore e megafoni a differenza dei seriosi e falsi del Nord. Però, alla fine, in qualche modo l'ho vista tutta, ho fatto le mie risate e penso che Francesco Ebbasta sia un talento che meriti più spazio nella scrittura, anche oltre i The Jackal.

Chiariamo un punto: Pesci piccoli non fa niente di innovativo ed è contenta così, e lo mette in chiaro proprio nella puntata che più di tutte cita apertamente The Office in maniera tale da far quasi rimpiangere che tutta la serie non sia girata in quel mondo, intavolando anche una riflessione  ma nonostante la forma scelta, trova nei personaggi, principali e comprimari il suo punto di forza. I The Jackal scelti sono sì le maschere che il pubblico ha imparato di più a conoscere ma anche, dal punto di vista professionale, gli attori migliori.

Sotto questo punto di vista, Fabio Balsamo giganteggia al di sopra degli altri andando in Full Troisi, un modo di approcciarsi alla prosa che non mi viene altrimenti modo di definire, che comporta dire cose serissime rendendole divertenti per mezzo della modulazione del tono di voce e una gestione comica dei tempi.

Il cast è il punto forte della serie, non senza inevitabili disomogeneità, non solo tra personaggi principali e secondari ma come questi, indipendentemente dalla grandezza del loro ruolo, rendono a schermo, andando oltre il meramente funzionale.

La prima stagione di Pesci piccoli è breve, giusto sei episodi da mezz'ora che finisce non appena si è preso il gusto. Non tutte le trame sono esplorate come meriterebbero, non tutti i personaggi hanno avuto lo spazio che avrebbero meritato e sembra quasi che sia un formato di compromesso, sperimentale.

Un mettere un piede nell'acqua della comedy italiana per vedere se è il caso o meno di fare il bagno, sperando che una scelta così cauta ripaghi con un veloce rinnovo. Così che quelle relazioni, che magari appaiono poco esplorate, abbiano effettivamente qualcosa da dire, ricordandoci anche che c'è vita oltre gli uffici, per articolare trame che sono un pelo più forti dello sketch che si regge su una gag dritta. Non è facile, ma è chiaro che è possibile usando questa prima stagione come base.

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