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Topoi Chronicles: la Morte personificata

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Questa volta, su Topoi Chronicles, parleremo di un altro topos molto noto della cultura: la personificazione della Morte.

Eccoci tornati al secondo capitolo di Topoi Chronicles, la rubrica che tratta degli stilemi e degli elementi ricorrenti del mondo dell'intrattenimento e della cultura. Dopo gli svarioni della scorsa puntata, quando abbiamo parlato del doppio (spero vi ricordiate, d'altronde non è passato così tanto tempo) quest'oggi ci dedichiamo ad un tema davvero allegro e per nulla funebre: ovvero la Morte con la M maiuscola, in quanto personaggio, entità fisica, tangibile e come la rappresentazione sia evoluta nel corso dei secoli. Se non vi state già grattando in maniera copiosa, sappiate che questo argomento è diventato tabù, inspiegabilmente, solo nella modernità quando è diventata una discussione da evitare come la peste. Spesso ci si dimentica che fa parte del nostro ciclo vitale e in quanto tale è un processo biologico naturale e ineluttabile come Thanos (che poi nei fumetti Marvel il villain è innamorato del Tristo Mietitore, Thanatos in greco, ma questa è un'altra storia).

Non è un caso che nel corso degli anni usare immagini per raffigurare la fine dell'esistenza terrestre non è mai stato un modo per tenere lontana, ma anzi per esorcizzarla e averla vicina, come una suocera che sei costretto a subirti in 20 anni di matrimonio. D'altronde, cercare di far finta che non esiste e che non è parte del nostro mondo, è scappare inutilmente da una cosa inevitabile che tutti prima o poi affrontiamo, direttamente e indirettamente. La fantasia e la cultura delle varie epoche hanno dato luogo a riproduzioni davvero creative della Morte e se pensate che il tutto si riconduca solo alla figura incappucciata con la falce, state solcando solamente la punta dell'iceberg. Prima di cominciare vi ricordo che questo pezzo è totalmente frutto della mia sensibilità narrativa e ideologica: ovviamente non voglio giustificarmi, ma solo farvi capire che, di fronte ad un topos così vasto, una cernita è d'obbligo. Quindi farò delle scelte di un certo tipo, per poi ricamarci una discussione sopra: odio gli elenchi (la lista delle spesa mi provoca incubi notturni) e, soprattutto, le chiacchiere futili e inconcludenti. Ciò detto, sfrecciate con me sul carro funebre di febbraio, con la speranza di non rimetterci le penne pure voi.

Un caleidoscopio antropologico e socio-culturale nella storia dell'arte

E apparve un cavallo verdastro, il cui cavaliere aveva nome Morte; l'Ade lo seguiva; fu data loro potestà di portare lo sterminio sulla quarta parte della terra con la spada, la fame, la peste e con le fiere della terra."

[Apocalisse di Giovanni, Capitolo 6 versetto 8]

Uno dei passaggi più famosi dell'Apocalisse, testo finale della Bibbia, presenta 4 simpatici Cavalieri che cavalcheranno sulla Terra all'apertura, da parte dell'Agnello, del primo dei sette sigilli. Tra di questi, ci limitiamo a descrivere Morte appunto, dalla cavalcatura putrescente, veicolo dell'Oltretomba alla fine del mondo. Ebbene, tale descrizione è fin troppo esigua (tra l'altro lascia trasparire anche la venuta della pestilenza), ma è stata molto utile per l'iconografia, nella storia dell'arte, per rappresentare al meglio la personificazione della Morte. Perciò, non stupitevi troppo se nei quadri di ogni epoca vedete uno scheletro a cavallo di un destriero cadaverico. Molto pop, inquietante e che colpisce direttamente nella mente dell'osservatore con un linguaggio ben preciso e per nulla amichevole. Nonostante l'immagine sia la più comune, il Tristo Mietitore ha visto un'enormità di altre manifestazioni pittoriche ognuna più strana, folle, divertente, geniale e sempre indimenticabile, almeno per i poveracci che hanno visto tali dipinti per la prima volta.

In epoca medioevale, ad esempio, andava tanto di moda raffigurare la Morte in pieno rave party in compagnia di tutti gli strati sociali più disparati: poveri, aristocratici, clero e tutti gli altri sventurati abitanti della Terra. Quello che poi Totò, in tempi non sospetti, molti anni dopo, chiamò livella, in una sua celebre poesia. C'è poco da fare: la morte ci rende tutti uguali perché colpisce tutti allo stesso modo sia i più ricchi che i più bisognosi. Un discorso che ci riempie la giornata di gioia di vivere e positività ma che effettivamente è di una potenza immaginifica straordinaria. Tale iconografia artistica, la danza macabra (sì, quella che evocano gli Iron Maiden con Dance of Death nell'album omonimo) è efficace al punto giusto, suggestiva e dannatamente esplosiva. Ne parleremo brevemente anche in un paragrafo successivo per farvi capire quanta risonanza abbia.

Il topos ha poi fatta davvero tanta strada: vediamo teschi nelle nature morte, vicino al San Gerolamo di Caravaggio, oppure scheletri che fanno capolino a casa della gente senza preavviso, come Testimoni di Geova ma con meno enfasi. I messaggi da trasmettere al pubblico via via sono trasfigurati, diversificati trovando molta fortuna in tutti i secoli. Nel barocco in particolare, hanno riscosso tanto successo (manco fossero dei brani di Al Bano in Russia) le Vanitas, delle piccole rappresentazioni pittoriche con l'unico scopo di farti rimanere il pranzo per traverso. In quadretti molto solari, si sottolinea quanto la vita umana sia futile, effimera e con un valore di un due di picche se confrontata con la Morte, che per l'occasione viene accostata a simboli di benessere, al lusso più sfrenato o anche ad altri elementi che vanno ad evocare la transitorietà terrena. Dei piccoli memento mori rapidi e indolori che ti arrivano belli freschi come le bollette. Un movimento culturale che ha usato la Morte, a livello concettuale, è il Simbolismo, sviluppatosi inizialmente in Francia nel 19esimo secolo per poi diffondersi in tutto il globo.

In una corrente dove ha più valenza l'intuizione e non la razionalità e i vari sentimenti e stati d'animo hanno la prevalenza sulla realtà, un concetto così importante come la Morte ci sta perfettamente, come il cacio sui maccheroni. Prendiamo un esempio su tutti, ovvero Arnold Böcklin, pittore, disegnatore e scultore svizzero, esponente artistico di spicco del movimento sopracitato.  L'artista in questione era particolarmente fissato con lo scheletro con la falce, talmente tanto da rappresentarlo in svariate occasioni. Le più eclatanti sono inserite tra le opere più note dell'autore: in Autoritratto con la morte che suona il violino, l'autore si è cimentato in un selfie di tutto rispetto con la partecipazione straordinaria di un cadavere con velleità musicali manco fosse Paganini; ne L'Isola dei morti, invece, del quale esistono tantissime versioni, il pittore ha raffigurato una necropoli raggiungibile in barca che emana un fascino magnetico tanto da aver attirato anche quel buontempone del Führer che volle avere per forza la terza versione. Un'esperienza da aggiungere assolutamente nel curriculum.

 

L'abbraccio di una sorella: la potenza umana e moderna del Cantico delle Creature di San Francesco

"Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male."

[Francesco d'Assisi, Cantico delle Creature]

Questo paragrafo è stato a lungo dibattuto dal sottoscritto, ma alla fine ho deciso di portare qualcosa di un pochino fuori dagli schemi. Discutere di religione all'interno di un pezzo di cultura pop è una cosa dannatamente coraggiosa ma spero che capiate la mia esigenza. Vorrei parlare nello specifico di un personaggio incredibilmente importante per la Storia: mi riferisco a San Francesco D'Assisi che, al di là delle connotazioni religiose, ha avuto un ruolo di primaria importanza per la cultura del 12esimo e 13esimo secolo. Molti ignorano che, escludendo il mito della sua santità e leggendaria vita (è chiaro che non approfondirò tali aspetti), Francesco è stato un poeta e letterato straordinario, oltre ad avere una parte rilevante, da pacifista convinto, durante le Crociate in Terra Santa, facendo da mediatore tra cristiani e islamici. Una figura fortemente moderna e impattante per l'Occidente che vorrei approfondire in riferimento al nostro topos.

Nella sua opera più famosa, il Cantico delle Creature (anche conosciuto come Cantico di Frate Sole), redatto nel 1224 circa, che viene considerato il testo più antico della letteratura italiana di cui si conosca l'autore, Francesco loda Dio ringraziandolo per tutti gli elementi naturali che ha donato all'umanità dal fuoco, all'acqua, dal vento, alla terra, dedicando uno spazio riservato a ciascun attributo. Tale elogio, se si mette da parte la connotazione religiosa, è un inno all'ambientalismo di cui Greta Thunberg sarebbe fiera e proiettarlo ai giorni nostri non è così tanto difficile, sintomo dell'enorme attualità delle parole dello scrittore. Ciò detto, tra i tanti aspetti che vengono tenuti in considerazione all'interno del componimento, un elemento risalta rispetto agli altri: la Morte, infatti, viene definita "sorella" come tutti gli altri oggetti del discorso, nonostante la fine della vita non sia una vera e propria creazione del Divino.

Doni della Morte

Sono riuscito a collegare Harry Potter con San Francesco. Che strana e curiosa soddisfazione.

Perché definirla così e come mai è degna addirittura di un elogio da parte dell'autore? Andiamo con ordine. Secondo la poetica e la visione di San Francesco, con una tendenza che lo fa assomigliare incredibilmente ad un hippy o in qualche modo ad un animista (non è un insulto eh, un semplice dato di fatto), tutte le parti della natura sono da considerare come entità fisiche, tangibili, in altre parole come esseri umani ecco perché, per definirli, sono usati degli attributi così familiari e colloquiali. Perché tanta attenzione nei confronti della Morte, però, visto che di fatto rappresenta il nostro ultimo canto del cigno? Non ci dimentichiamo, innanzitutto, che nella filosofia cristiana, la nostra vita è transitoria ed è un passaggio verso l'eternità che si raggiunge dopo la cessazione delle nostre funzioni corporali. Ecco che quindi non è così terribile come può sembrare all'apparenza: certo, nessuno può sfuggire da lei e coloro che sono in peccato non avranno un'adeguata ricompensa celeste.

Ma a coloro che vivono degli insegnamenti di Cristo, la Morte non farà alcun male, anzi, sarà l'apripista verso la luce. In tutto questo bel discorso, le parole dell'autore non suonano mai catastrofiche nonostante la sua condanna nei confronti del peccato è dura e ferma. La rappresentazione che ne viene fuori è una dolce sorella dall'abbraccio leggero e salvifico che più che portare dolore e sofferenza, ci allieta e accompagna l'umanità verso "un'altra vita". Una raffigurazione che mi ricorda incredibilmente un passaggio di Harry Potter e i Doni della Morte, settimo libro della saga del maghetto occhialuto. La Rowling, quando sta raccontando la storia dei tre fratelli Peverell, nel Capitolo 21, descrive così l'incontro finale tra il più giovane e la Morte stessa:

"Fu solo quando ebbe raggiunto una veneranda età che il fratello più giovane si tolse infine il Mantello dell'Invisibilità e lo regalò a suo figlio. Dopodiché saluto la Morte come una vecchia amica e andò dietro con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita."

Icona cinematografica intramontabile: Il settimo sigillo di Bergman

"Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io... Io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte."

[Antonius Block ne Il settimo sigillo]

Se c'è un lungometraggio nella storia del cinema che ha saputo rendere la Morte un'icona che varca i confini del tempo e dello spazio, diventando materiale di ispirazione negli anni a venire (io mi gioco pure i secoli) è Il settimo sigillo del regista svedese Ingmar Bergman del 1957, uno dei suoi più grandi capolavori (e di pellicole intramontabili nella sua filmografia ci sono, basti pensare a Persona, Il posto delle fragole, Scene da un matrimonio e molto altro ancora). In breve ci troviamo in pieno Medioevo: un crociato figo e biondo (l'indimenticabile Max Von Sidow), per sfuggire alla Morte, la sfida ad una partita a scacchi. La batte ed ha salva la vita, almeno per un po', anche se il Tristo Mietitore lo continua a seguire come uno stalker.  La sequenza cardine del titolo, ovvero la parte in cui il protagonista e il suo avversario si sfidano in duello a colpi di astuzia in riva al mare, è incredibile, gigantesca, dalla poetica invidiabile e dal significato ancora più interessante.

Difatti, il gioco degli scacchi che è appunto al centro della scena non è per nulla casuale: l'entità ultraterrena, infatti, vede in un certo senso gli umani come pedine e marionette di una partita molto ampia e complessa che coinvolge l'esistenza stessa degli uomini. Quest'ultimi non possono fare nulla contro la Morte e sono costretti, inevitabilmente, a fronteggiarla, senza possibilità di scappare o ricevendo dei rinvii come fa il guerriero. L'ineluttabilità quando ancora Thanos non era per nulla di moda. Ma tale potente rappresentazione è solo una parte del pacchetto che offre l'intero lungometraggio riguardo il nostro macabro topos. Soffermiamoci ad esempio come è rappresentata la Morte a livello puramente estetico: un uomo calvo, con un lungo mantello nero, sagace e irriverente, capace di lunghi discorsi sull'esistenzialismo ma al tempo stesso in grado di umiliarti con una parola. Un personaggio fatto e finito che vorrei tanto aver caratterizzato e creato io ma il brevetto è purtroppo del signor Bergman, pace all'anima sua.

Il settimo sigillo

"Dai Morte, sorridi che entriamo nella storia!"

Tutto questo sembra non provenire dal 1957, ma da un intelletto così tanto atemporale ed eterno da non avere una collocazione precisa nella storia del cinema. E difatti, la pellicola è diventata leggenda, ricordata a più riprese da tanti autori che hanno voluto cimentarsi con un tema del genere. Un certo David Lynch che citavo pure l'altra volta quando parlavo del doppio (non ci posso fare niente, sono ossessionato) cita tale rappresentazione della Morte in Strade Perdute dove il principale antagonista, Mystery Man, ricorda terribilmente la figura incappucciata interpretata da Bengt Ekerot. Un po' di cerone in faccia, frasi criptiche sulle spalle e si va a rendere omaggi ad uno dei più grandi cineasti della settima arte senza scimmiottarlo e, anzi, provocando incubi infiniti nella mente degli spettatori.

Possiamo dire, in altre parole, che Bergman non è stato solo il primo a riuscire nel difficile compito di portare sul grande schermo la Morte in maniera efficace, ma anche di renderla, a tutti gli effetti una persona, e quindi un villain con degli attributi belli importanti. Per quanto il personaggio sia infatti etereo, sfuggente ed enigmatico, la sua presenza scenica è tangibile, lasciando spaventosamente il segno. Una corporeità simbolica: l'Entità quindi, per quanto sia ineffabile, ci segue anche quando non lo sappiamo e si presenta alla nostra porta nel momento più opportuno (per lei) e meno opportuno (per noi) allo stesso tempo. Il film si conclude con un'immagine che difficilmente vi dimenticherete: i vari primari e comprimari in balia della danza della Morte, quella simpatica immagine di cui vi parlavano del paragrafo riservato alla storia dell'arte. Se mai riuscissi a tornare indietro nel tempo vorrei conoscere il genio che ha inventato questo topos figurativo: vorrei stringergli la mano e abbracciarlo con tutto l'amore del mondo anche perché c'è poco da fare, questa iconografia spacca di brutto!

Una ragazzina rassicurante e accogliente: Gaiman e la sua personale Morte in Sandman

"Mi interrogo spesso sugli esseri umani. È strano l'atteggiamento che hanno verso mia sorella. Perché temono tanto le Terre dell'Ombra? La morte è naturale, come la vita. Ma loro la temono. Ne sono terrorizzati. Cercano di ammansirla. Non la amano..."

[Sogno parla di sua sorella Morte in Sandman n. 8, Il battito delle sue ali, raccolto in Sandman Deluxe 1]

Sul finire del 1900 il fumetto americano ha avuto un boom incredibile: tante sperimentazioni, personaggi sboccati e dannatamente umani, storie crude e adulte fino al midollo. La linea Vertigo della DC Comics in questo periodo ha avuto il suo massimo splendore, confezionando opere incredibili del calibro di Preacher, Swamp Thing, Hellblazer e una serie che è entrata nella storia del medium fumettistico e non solo, ritenuta tra le letture imprescindibili di fine secolo scorso, Sandman (ne abbiamo parlato anche qui). L'opera di Neil Gaiman, pubblicata il 1988 e il 1996, ha tanti pregi ed è osannata a più riprese da tutti: dal carpentiere di Manhattan, al critico di Brooklyn, dal pizzaiolo di Posillipo all'archeologo di Aosta. La narrazione raccontata nelle sue pagine ha il potere di essere universale e di parlare a tutti, indistintamente: un dono che Gaiman ha recuperato dalla mitologia, dalle fiabe, dall'essenza dei cantastorie e aedi, dal cieco Omero e dalle favole dei fratelli Grimm.

Un autore citazionista e trovatore, che, tra i vari doni che ha fatto ai suoi lettori con Sandman (vi prego recuperatela, vi assicuro che non è una roba sopravalutata) ha introdotto una sua personale rappresentazione della Morte che è degna di menzione in questo articolo. Prima di parlarvi di tale raffigurazione, una piccola premessa: nel fumetto, viviamo il racconto dal punto di vista di Sogno, uno dei sette Eterni, e siamo partecipi con lui dei suoi viaggi e peripezie nel mondo della Veglia (la nostra realtà), le terre del Sogno (il suo reame) ma anche tanti altri luoghi, i più strani che la vostra mente può concepire. I suoi fratelli e sorelle sono personaggi importanti della storia e, come lui, sono delle Entità cosmiche nate prima della creazione, delle incarnazioni di alcuni aspetti fondamentali della nostra vita, delle divinità che implicano uno stretto contatto con gli esseri umani e senza di essi, i loro compiti cesserebbero. Oltre a Sogno, faremo la conoscenza di Morte, Distruzione, Desiderio, Destino, Delirio e Disperazione, ognuno di essi controlla un elemento specifico. Morte esordisce in Sandman, per la prima volta, nel numero 8 e si incontra con il protagonista.

Death

Dite la verità: non è adorabile?

Quest'ultimo accompagna la sorella intenta a raccogliere le anime più disparate e grazie a tale narrazione abbiamo modo di conoscere per la prima volta il personaggio. È tutt'altra cosa rispetto a quanto uno potrebbe aspettarsi: Morte è una ragazza giovane che indossa abiti casual, è solare e irriverente, di bella presenza, con indosso una collana con un ankh d'argento (simbolo egizio della vita) e e ha sugli occhi un simbolo dell'Occhio di Horus (nella mitologia egizia rappresenta la rigenerazione). Se quindi abbiamo qualche elemento che richiama direttamente la mitologia, l'aspetto più curioso è da riscontrare nel suo look e carattere. Il suo compito è molto complicato: non solo è presente nel momento della cessazione dell'esistenza delle persone, ma le traghetta anche verso l'aldilà (psicopompo e mietitrice in un solo pacchetto, che furbacchione Gaiman). Nel farlo, non vi è malizia, orrore, cattiveria, ma una luce contagiosa, una gioia palpabile e brillante. L'elemento straordinario è che secondo l'autore la fase della cessazione della vita (e il consecutivo trapasso verso l'Oltretomba) non è triste o inquieto, ma leggero e catartico, di rara e profonda bellezza.

Spesso Morte si interroga sulla paura degli uomini di morire, sulla loro reticenza nei suoi confronti. Lei è parte della vita e, in un certo senso, ne rappresenta i due estremi: viene infatti spiegato in Sandman che lei è presente anche nel momento del parto. Una semplice guida e spirito che ci scorta dolcemente all'inizio e alla fine dell'esistenza, non ci giudica, non ci condanna, ci prende per mano e accompagna verso un domani nuovo, non lasciandoci soli nemmeno per un instante. È confortante pensare la Morte in questo modo ed è solo merito di Gaiman se tale topos viene riabilitato nella modernità. Come dicevo nell'introduzione del pezzo, la nostra cultura ci impone un terrore atavico verso la fine della vita: quello che temiamo di più è l'ignoto che ci fa mancare l'aria e la terra sotto i piedi. E se invece il tutto fosse meno traumatico di quanto possiamo prevedere? Al di là degli aspetti più teologici e religiosi, il Cristianesimo ha contribuito a diffondere un positivismo mortuario (adoro i neologismi ad cazzum) che è ripreso da Gaiman senza nessuna connotazione dogmatica. Ed entrambi vanno a braccetto pur essendo cose molto differenti tra loro.

Tirando le somme...

Spero che dopo questo pezzo abbiate cambiato completamente l'approccio che avete nei confronti della Morte anche perché, come avete scoperto, anche se è stata sempre vista con riverenza e timore, c'è da tempo la volontà di umanizzarla. Ora, immaginarla come uno scheletro con le gambe che si fuma volentieri con noi una sigaretta post-caffè sul terrazzo è forse troppo audace (divertente però allo stesso modo), ma le varie declinazioni del topos ci hanno insegnato che non c'è nessun limite alla fantasia. I vari passaggi ci hanno mostrato da un lato una continua esorcizzazione della Morte, dall'altro un tentativo di inserirla nella nostra quotidianità.

Death

Non vi ho parlato della Morte secondo Supernatural. La trovate nella quinta stagione insieme agli altri tre Cavalieri dell'Apocalisse. Non c'era tempo, chiedo scusa.

Dal mio punto di vista siamo ancora molto lontani dall'accettazione di questa visione ed è oltremodo curioso il fatto che ci siano delle sottili somiglianze tra le varie raffigurazioni, sintomo non solo che derivano dalla stessa matrice culturale e folkroristica, ma anche che, nonostante l'umanità sia evoluta e cambiata, ha bisogno delle stesse esigenze di qualche secolo fa. In definitiva: vogliamo stare tranquilli, goderci la nostra intensa e appagante vita e accogliere il Tristo Mietitore abbracciando il cambiamento ed entrando nel mood eternità con un sorrisone stampato sulla faccia. Spero vivamente che tale immagine non venga disattesa ma che anzi si verifichi a tutti noi, ce lo meritiamo.

Per approfondire

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