Perché rivedere Clerks venticinque anni dopo
Alcuni film diventano, per una serie quasi inspiegabile di fattori, i cantori di una generazione, assurgendo al titolo di cult e nutrendo schiere di appassionati. È stato così per il disagio adolescenziale di The breakfast club, tanto per rimanere su un esempio molto noto, ed è stato così anche per Clerks, il primo film di ... Perché rivedere Clerks venticinque anni dopo
Alcuni film diventano, per una serie quasi inspiegabile di fattori, i cantori di una generazione, assurgendo al titolo di cult e nutrendo schiere di appassionati. È stato così per il disagio adolescenziale di The breakfast club, tanto per rimanere su un esempio molto noto, ed è stato così anche per Clerks, il primo film di Kevin Smith.
Esattamente venticinque anni fa, il 26 gennaio del 1995, Clerks faceva il suo esordio nelle sale italiane, cominciando così, anche qui da noi la sua ascesa verso l’Olimpo del cinema.
Non che la pellicola sia scevra da difetti, sia chiaro: è che i suoi singoli elementi, uniti ai fattori di cui sopra, le hanno dato quella giusta visibilità che aleggia intorno ai capolavori. Facendo la fortuna – letteralmente - di Kevin Smith, regista all’epoca praticamente sconosciuto ai più.
Non sto a raccontarvi la trama, sicuramente la conoscete o comunque vi basta pochissimo per scoprirla in tutta la sua essenziale efficacia, oggi provo a raccontarvi la genesi di questo film e la sua eredità.
In un momento in cui praticamente tutta l’internet italiana sta lanciando strali sulla multimilionaria produzione di Adrian, dovete ammettere che ricordare questo film – girato con poco più di 27.000 dollari – è quantomeno curioso. Eppure Clerks è ancora lì, a ricordarci che a volte bastano davvero solo il talento e la caparbietà a vincere su un’enorme macchina mangiasoldi come Hollywood.
Il film fu finanziato, per quasi la maggior parte, dalla vendita della collezione di fumetti di Smith, in un gesto di fiducia in sé stesso che rasenta la follia: l’unica consolazione che posso raccontare al collezionista che è in me è che Smith, avendo guadagnato diversi milioni di dollari da questo film e dai successivi, si sarà ricomprato tutto in almeno tre copie.
Perché Clerks ci è piaciuto così tanto, ai tempi?
Per tutta una serie di motivi, alcuni lampanti, altri legati al sottotesto della pellicola.
Il primo, per quanto mi riguarda, è stata la sua capacità di portare sullo schermo la quotidianità non molto diversa da quella che hanno vissuto i venti/trentenni fin da quando si è spenta l’era dello yuppismo sfrenato. La precarietà del lavoro – che è sempre temporaneo, in attesa di quello definitivo, stabile e bello – che aleggia come un spada di Damocle, la poca voglia di impegnarsi in un posto che non senti come tuo e da cui vuoi solo scappare, anche solo con la testa.
Un altro è sicuramente l’onnipresenza della cultura pop esplosa poi negli anni successivi grazie ai grandi cinecomics di cui oggi sono piene le sale e all’allargamento del pubblico che legge fumetti o guarda serie tv. Dante e Randal discutono di Guerre Stellari – nello specifico di quanto sia stato crudele da parte della resistenza distruggere la Morte Nera con a bordo tutti gli operai che facevano solo il loro lavoro –, imitano i protagonisti delle loro serie tv preferite e citano in continuazione i film che conoscono a memoria. In una parola, i due sono nerd in tutto e per tutto – quando ancora definirsi così aveva una connotazione più negativa che positiva.
Ecco perché Clerks ci ha fatto ridere e ci ha coinvolto così tanto: perché parlava – tra i primi a farlo – un certo tipo di linguaggio e faceva sentire i nerd parte di qualcosa di più grande, di bello e di divertente.
Come dimenticare, poi, l’incredibile carrellata di personaggi talmente assurdi da esser stati partoriti solo dall’attenta osservazione della realtà che ogni buon sceneggiatore deve saper fare? Nessuno ha mai visto al supermercato un tizio che apre i cartoni delle uova o qualcuno che controlla ossessivamente le scadenze? Peccato solo non aver avuto l’idea di inserirli in un film conditi da battute brillanti e situazioni al limite dell’assurdo.
Rimanendo su un piano più tecnico, va comunque segnalato che il film ha una regia molto precisa, in cui il regista dimostra di aver avuto una visione complessiva dell’opera fin dalle primissime fasi della realizzazione. Il montaggio delle scene, l’alternarsi di momenti squisitamente comici ad altri più seri – o comunque dal significato e dall’impatto molto profondi – denotano uno studio e un equilibrio da regista maturo. Paradossalmente, in questo film Smith dimostra molta più maturità di quanto abbia fatto con alcune delle sue opere successive.
Clerks è stato molto di più della somma di tutti questi fattori, in ultima analisi. E la sua eredità deve essere tenuta in grande considerazione.
Partiamo dall’eredità materiale, quella di semplice decodifica: Clerks è stato un successo tale da aver avuto un seguito (mediocre), partito da un budget ben più sostanzioso, una serie tv (cancellata dopo due episodi andati in onda) e una serie a fumetti (Smith, infatti, ha dimostrato la sua bravura anche nella nona arte). A questi progetti, già di per sé molto importanti, ha fatto seguito anche un dvd, Clerks X, con buona parte del making of, qualche intervista e soprattutto del materiale inedito – scene tagliate, il famoso finale originale e una prima versione del film – davvero succulento.
La vera eredità di Clerks non è in questi prodotti, né nei lavori successivi di Kevin Smith, alcuni dei quali piacevoli, altri molto meno. Il vero punto su cui Clerks continuerà a stuzzicarci è stata la sua capacità dirompente di affermarsi, praticamente solo con la sua innegabile qualità.
È un po’ la storia di Cenerentola o del self-made-man che leggiamo in giro o raccontiamo ai più piccoli. Solo che stavolta è vera e quei novanta minuti abbondanti in bianco e nero, in cui si parla di pompini, grandi film, precarietà e insicurezze, sono ancora là a ricordarcelo.