Emaki, alle origini del manga: un saggio introduttivo di Milone
“Per un’introduzione sugli emaki” di Marco Milone è un volume pubblicato presso le edizioni Mimesis che permette al lettore un primo approccio a questa espressione artistica giapponese.
“Per un’introduzione sugli emaki” di Marco Milone è un volume pubblicato presso le edizioni Mimesis che permette al lettore un primo approccio a questa espressione artistica giapponese.
Gli emaki sono una forma narrativa illustrata, sviluppatasi in Giappone tra XI e XVI secolo: il nome completo è “Emakimono” e ha uno sviluppo orizzontale, su un rotolo di carta o seta - disegnato, dipinto, stampato. L’interesse del loro studio appare immediatamente evidente: per il valore intrinseco che essi possiedono nell’arte nipponica, ma anche per il loro anticipare la moderna arte sequenziale giapponese, quella dei manga, una scuola fumettistica divenuta nel tempo di influsso e rilevanza mondiale.
In una prima parte Milone ci chiarisce funzione e metodi di produzione di tale forma espressiva. Alti da 22 a 52 cm, la lunghezza degli Emaki varia molto, poiché storie più lunghe possono svilupparsi in più rotoli (la più lunga ne conta 48, per mezzo chilometro di sviluppo).
Abbiamo poi un sintetico profilo storico: l’emaki nipponico deriva da preesistenti forme d’arte cinese, dove troviamo cicli narrativi già verso il III secolo a.C. nei fregi funerari, mentre i primi rotoli narrativi si sviluppano verso il 400 d.C., giungendo verso il 600 d.C. in Giappone sulla scorta della predicazione buddista. Gli emaki nipponici invece sviluppano una maggiore varietà di generi e una maggiore vicinanza alla vita quotidiana, con numerosi filoni laici, tra cui storie militari, leggende popolari, romanzi.
Gli autori degli emaki sono anonimi: inizialmente erano i templi delle sette buddiste a favorirne la produzione come propaganda religiosa e anche, in parte, comunicazione col divino; in seguito nobili dilettanti e artisti professionisti si concentreranno più su storie laiche, che dal XV secolo tenderanno a prevalere. Il loro studio avviene dunque, più che tramite singole personalità artistiche, tramite gli stili e le tecniche prevalenti, e le tematiche affrontate.
Dopo un glossario terminologico utile per addentrarsi ulteriormente nell’analisi, Milone prende in esame gli emaki dei singoli periodi dinastici, compiendo un ampio censimento di queste opere d’arte.
Interessante il tentativo di un raffronto con analoghe forme dell’arte occidentale, dove Milone riscontra correttamente non esservi una precisa rispondenza.
Tuttavia, ci sono delle suggestioni, a cui lui accenna, e che sarebbe affascinante approfondire per un rapporto in parallelo nell’evoluzione delle due rispettive tradizioni di arte sequenziale. In occidente, infatti, vi è la tradizione delle colonne trionfali romane avviate dalla colonna traiana; mentre in era medioevale, possiamo trovare l’arazzo di Bayeux (anch’esso dell’XI secolo, quando inizia in parallelo l’era dell’emaki in Giappone).
In Europa prevale poi la tradizione del libro illustrato, avvicinabile al fumetto in alcune forme come la Biblia Pauperum, che dà prevalenza all’immagine sul testo per venire incontro a un pubblico scarsamente alfabetizzato; certi cicli di affreschi dell’arte sacra sono parimenti sequenziali (basti pensare alla classica Via Crucis). La differenza che ci pare di poter cogliere è quella sul tipo di closure: le opere nipponiche presentano una closure più stretta, mentre quelle occidentali si compongono di meno sequenze (e delineate in modo più definito nel singolo “quadro”, come del resto tipico del fumetto occidentale classico), essendo solitamente più brevi sotto il profilo narrativo. Una caratteristica che permane ancora in un precursore del fumetto come William Hogart, nella prima metà del Settecento, mentre il padre del fumetto occidentale, il ginevrino Rodolphe Topffer, nella prima metà dell’Ottocento realizza già opere dotate di una certa ricchezza di vignette in proporzione alla storia da rappresentare.
È curioso che sia, in parallelo, il periodo in cui inizia la grande diffusione dell’arte giapponese in Occidente, di poco successiva all’operato di Toppfer, ovvero tra 1850 e 1870. L’influenza sull’arte occidentale è ampiamente attestato: sarebbe intrigante (benché ovviamente difficile) verificare eventuali connessioni col fumetto.
https://it.wikipedia.org/wiki/Giapponismo
A parte queste considerazioni, comunque, il volume di Milone resta particolarmente interessante per una prima introduzione all’argomento, grazie alla combinazione di brevità complessiva dell’opera (180 pagine) e densità di informazioni e argomentazioni. Due aspetti tenuti insieme dalla prosa precisa ma leggera, che con una buona affabulazione ci conduce alla scoperta di questo mondo affascinante. Un saggio, dunque, che riempie un vuoto su un tassello culturale piuttosto importante, una prima monografia su un aspetto della storia dell’arte di grande influsso anche sulla cultura pop a livello globale.