Il film di Dragon's Lair: il sogno di Don Bluth e la strategia di Netflix
E se la produzione del film di Dragon's Lair fosse stata anticipata all'interno di Stranger Things? E lo sapete che Don Bluth ci aveva già provato?
Quando qualche giorno fa Netflix ha annunciato di aver comprato i diritti di produzione del videogioco arcade Dragon’s Lair per farci un film, la notizia non mi ha stupito più di tanto. Cioè, ho ovviamente esultato ma me lo sentivo da luglio 2017 che qualcosa bolliva in pentola. Era fin troppo strano che avessero dato al videogioco tutto quello spazio nel trailer di lancio della seconda stagione di Stranger Things senza avere in mente qualcosa. Ve lo ricordate? Il trailer presentato tre anni fa al San Diego Comic-Con.
Il titolo in bella vista, il jingle caratteristico, i ragazzini esaltati, le animazioni old-school. Da quando Mike, Will, Dustin e Lucas entrano nella sala giochi a quando il cavaliere Dirk muore incenerito dal drago passano ben 20 secondi. 20 secondi di un’utilità alla trama di ST2 pari allo zero. Sembra uno spot. Uno di quegli spot che appaiono all’inizio di un video su YouTube. E poi, appunto, la scena è proprio a inizio trailer. È troppo. Qui c’è sotto qualcosa.
Qui si va oltre la strizzatina d’occhio in favore di nostalgia, questo era un test: vediamo quanta discussione genera tra gli spettatori rivedere questo vecchio videogioco, quanti apprezzamenti ottengono questi frame, quante condivisioni, quanti tweet facciamo. E soprattutto vediamo se la risposta è tale da generare fomento dovessimo un giorno annunciare il ritorno delle avventure di Dirk nelle vesti che decideremo di fargli indossare. Chessò, una miniserie autoconclusiva, un lungometraggio animato, un film live action. Intanto facciamogliela annusare, poi si vedrà.
Il risultato è che quei 20 secondi di amarcord videoludico hanno creato un interesse tale che qualche giorno fa Netflix ha annunciato che è effettivamente in cantiere la terza delle mie ipotesi, quella del film live action e avrà come protagonista Ryan Reynolds, che figura anche tra i produttori.
Se volete il mio parere, credo che qualcosa bolla in pentola anche per La storia infinita. Dopo aver visto Dustin e Suzie cantare a squarciagola e PER INTERO il tema musicale di Limahl nell’episodio finale di ST3 mi aspetto progetti anche su questo fronte. Intanto dal 1 marzo di quest’anno, guarda caso, La storia infinita è disponibile sulla piattaforma. Così, giusto per ricordarci che a luglio scorso eravamo letteralmente impazziti per quel duetto al walkie talkie (su YouTube il video originale della canzone registrò un incremento di views dell’800%, su Spotify lo streaming della traccia salì dell’825%), non sia mai che ci scenda la fotta in attesa di novità. Hanno pensato a tutto, questi, non sono stupidi.
Tornando a Dragon’s Lair, del videogioco in sé ve ne avevamo già parlato in questa disamina del nostro boss Lorenzo Fantoni. Era un arcade, uscì nel 1983 pubblicato da Cinematronics ed era difficilissimo da giocare ma bellissimo da vedere. Se da una parte infatti superare i livelli era quasi sempre una snervante questione di tempismo e fortuna (schiacciare il pulsante al momento preciso), dall’altra la grafica era incredibile, basata su vere e proprie animazioni fatte a mano in un momento storico in cui, per capirci, solo due anni dopo sarebbe uscito il primissimo e ultra pixelato Super Mario Bros.
Come ben sappiamo il merito di tutto questo va allo straordinario lavoro di uno dei maestri dell’animazione americana: Don Bluth, al tempo fresco fresco del successo di Brisby e il segreto di NIMH, tuttora il suo capolavoro imbattuto.
Ora, nonostante Dragon’s Lair incassò molto bene e da esso nacquero due seguiti e Space Ace, ovvero lo stesso gioco ma nello spazio, Bluth e Gary Goldman, suo sodale fin dai tempi dell’apprendistato come animatori alla Disney, hanno covato per anni il sogno di realizzare un’avventura per il cavaliere Dirk che fosse slegata dalle castranti meccaniche di gioco.
Il problema però è che dopo il periodo d’oro segnato da Brisby, i videogiochi arcade e la successiva collaborazione con Steven Spielberg, che gli varrà Fievel sbarca in America e Alla ricerca della valle incantata, per Bluth inizia un lento declino. Un declino nel segno di opere sempre meno redditizie e sempre più mediocri, tra cani che vanno in paradiso, galli rockettari e pinguini che inseguono pietre verdi. Intendiamoci, io riesco a trovare interessante anche il suo film più brutto, ma occorre essere obiettivi: i fasti di Brisby, Fievel e Piedino non furono mai più replicati. La caduta sembra arrestarsi solo nel 1997 con il successo di Anastasia, per poi riprendere inesorabile fino al 2000 con il flop clamoroso di Titan A.E., tuttora il suo ultimo film.
In mezzo a tutto ciò il sogno di fare un Dragon’s Lair per il cinema non trova mai la possibilità di concretizzarsi e se per Bluth stava diventando difficile lavorare già durante gli anni del declino, dopo la botta finale di Titan A.E. molla il colpo e sparisce dalle scene.
Poi un giorno, quando ormai non avevamo più sue notizie da anni, ecco che il maestro, alla veneranda età di 78 anni e senza più né i soldi né le amicizie di un tempo, ha la straordinaria umiltà di avviare con il suo socio storico Gary Goldman una campagna crowdfunding prima su Kickstarter e poi su Indiegogo per produrre un’autentica follia: Dragon’s Lair: The Movie, un film d’animazione in tecnica tradizionale che parla di draghi, principesse e cavalieri. Nel 2015.
L’internet fa la sua parte, tra i tanti ne parla anche il comico Doug Walker nel suo web show Nostalgia Critic in una puntata dedicata a Dragon’s Lair con ospite Bluth in persona. Su Kickstarter inizialmente la campagna racimola quasi 242.000 dollari. Non male ma ne servono almeno 500.000 per realizzare quattro minuti di video pitch da presentare alle case di produzione. È quando si spostano su Indiegogo che le cose vanno decisamente meglio: per i fan che intendono fare una donazione Bluth mette in palio poster autografati, art book, riproduzioni di tavole da disegno, qualunque cosa tratto dai suoi film, non mi sarei stupito se ci avessi trovato pure un paio di mutande con la faccia del ratto Nicodemus. E la raccolta sale a 730.000 dollari.
Il pitch viene fatto e Bluth e Goldman lo fanno vedere a mezza Hollywood finché non approda sulla scrivania di Roy Lee, presidente della Vertigo Entertainment. Dopo un anno di negoziazioni Bluth e Goldman raggiungono con Lee l’accordo annunciato qualche giorno fa e figureranno loro stessi tra i produttori. E se volete il mio parere, era da almeno tre anni che Netflix teneva d’occhio la situazione e intanto calava le sue carte per ottenere questo.
Certo, non è un film d’animazione, per cui potremmo lamentarci di non avere avuto l’esito effettivamente desiderato, ma siamo sicuri che un adattamento targato Netflix con protagonista Ryan Reynolds, al momento una delle star più amate del mondo, sia poi un finale così deludente?
E soprattutto: siamo sicuri che questa sia la mossa finale? No, perché Netflix sta mostrando enorme interesse per l’animazione, eh. Soprattutto per quella tradizionale.
Love, Death + Robots, Devilman Crybaby, Castlevania, Glitch Techs, BoJack Horseman, Big Mouth, Klaus – I segreti del Natale. Son tutti lì sul catalogo a dimostrarlo.
Chi ci dice che questo live action con Reynolds non possa suscitare un interesse ancora più grande per il progetto originario di Bluth e Goldman e quindi dar loro la possibilità di realizzarlo con ancora più mezzi e soldi?
Ecco perché, a prescindere da tutto, non posso che essere felice per Bluth, 83 anni quest’anno, una delle ultime leggende viventi dell’animazione classica, il padre di alcuni dei miei film preferiti dell’infanzia, che dopo vent’anni di lontananza dal giro di quelli che contano fa il suo trionfale ritorno sulle scene realizzando il suo sogno con un film di respiro internazionale.
Sarà bello? Sarà brutto? E chi lo sa. Io credo in Reynolds. L’importante è che si fa.