Sul dizionario la distopia, o utopia negativa, anti-utopia, contro-utopia o cacotopia, è descritta come “previsione” di un futuro con caratteristiche altamente negative. Noi di N3rdcore preferiamo, invece, chiamarla perversione di un futuro con caratteristiche altamente negative. E c’è un motivo preciso. La distopia è, sostanzialmente, frutto di un ribaltamento, strumento classico della creatività: si prende ... Presente e Distopia: a distanza di sicurezza
Sul dizionario la distopia, o utopia negativa, anti-utopia, contro-utopia o cacotopia, è descritta come “previsione” di un futuro con caratteristiche altamente negative. Noi di N3rdcore preferiamo, invece, chiamarla perversione di un futuro con caratteristiche altamente negative. E c’è un motivo preciso. La distopia è, sostanzialmente, frutto di un ribaltamento, strumento classico della creatività: si prende qualcosa che, allo stato attuale, è dato per scontato e lo si ribalta.
Un futuro senza libertà di pensiero è una distopia. Un futuro di guerre dilaganti in cui nessun posto è sicuro è una distopia. Un futuro senza libertà di circolazione è una distopia. Quindi, a causa dell’emergenza sanitaria mondiale, oggi viviamo in una distopia? Non proprio. E perché no?
Il rapporto tra narrazione e attualità
Quello tra presente e narrativa di fiction è un flirt che dura da millenni. La relazione, per quanto prolungata, ha però sedimentato e rispettato delle regole. Se la narrativa vuole parlare del presente, specie per criticarlo, vi applica dei filtri, “nasconde” le sue reali intenzioni, oppure lo rielabora, lo sposta in un tempo o in un contesto diverso. Come nel caso delle distopie e, per fare un esempio, della dittatura voyeuristica di 1984.
Al contrario, per parlare senza filtri di un problema reale ed esplicito, la narrativa suole aspettare l’esaurimento di tale problema, se non il suo superamento perlomeno la sua elaborazione. Non è un caso che autori come Euripide e Aristofane abbiano introdotto nel proprio teatro elementi di ateismo dopo una discreta diffusione della crisi del politeismo nell’Antica Grecia, e non contemporaneamente al suo diffondersi. Oppure, che l’opera di Shakespeare portasse i segni evidenti del neonato Rinascimento, sviluppandone alcuni temi attraverso l’Uomo e prefigurandone altri, in anticipo sui tempi.
La narrativa non è un selfie della realtà: è uno strumento potentissimo nell’elaborare il passato, prevedere il futuro ed essere metafora, ma non cronaca, del presente. Tant’è che la cronaca, salvo casi eccezionali, è strumento della narrativa non-fiction.
Attualità e immaginario narrativo non sono quasi mai collegati da una porta aperta. Ma si osservano sempre l’un l’altro, attraverso un gioco di specchi morboso. A volte di sfuggita, sbirciandosi con la coda dell’occhio, tra riflessi dai contorni sfumati. Altre volte in modo brutale, mettendosi a nudo e fissandosi negli occhi, le forme e i colori nettamente a fuoco.
Benché la realtà del nostro presente sia, drammaticamente, definibile come “distopica”, non possiamo identificare l’attualità con una distopia. Anzi, tanto più il presente è distopico, quanto più allontana da se stesso l’orizzonte dell’utopia negativa.
Il rapporto tra le due cose, però, r-esiste. Distopia e presente sono distinti, ma si influenzano a vicenda. In che modo?
Cosa può trarre il presente dalla letteratura?
Come sempre in ambito di narrazione, dalle fiabe archetipiche ai migliori film di Hollywood, possiamo trarre dall’eredità dei racconti passati preziosi insegnamenti per il nostro presente. Le storie ci educano, nel senso più stretto e letterale del termine. Se oggi siamo in grado di affrontare al meglio delle nostre possibilità un’emergenza come quella attuale, che ci costringe per settimane, anzi, per mesi all’interno delle nostre case, è anche grazie all’allenamento cui ci siamo sottoposti immaginando distopie letterarie, cinematografiche, fumettistiche e videoludiche.
Sappiamo, o almeno confidiamo, che il sacrificio collettivo e individuale sarà ripagato e ci condurrà, nel tempo necessario, alla luce in fondo al nostro tunnel. Perché? Perché l’abbiamo visto accadere, non importa se attribuiamo (a torto?) più importanza alle storie universali di fiction, rispetto alla cronaca del passato e alla documentazione storica. L’importante è che quel pensiero, quel conforto, ci aiuti ad andare avanti. “Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza… Ma non è questo il giorno!”.
Pensate a questo, casomai vi venisse il dubbio che raccontare storie sia un mestiere socialmente importante.
Cosa può dare il presente alla letteratura?
In maniera speculare, la futura letteratura trarrà fortissima ispirazione dal momento presente. Ci saranno numerosi “figli della quarantena”, anche narrativamente parlando, e ci permetteranno di rivivere questi lunghi, lunghissimi giorni, da una prospettiva diversa.
Ricordate l’esempio di Euripide e Aristofane? È questo il motivo del loro lieve “ritardo” sulla società: finché non avremo tirato il nostro sospiro di sollievo, finché non avremo voglia di sentire storie ispirate alla grande pandemia di COVID-19, non ce le racconteremo. Anche perché a quello provvede già la cronaca di tutti i giorni. Potrebbe volerci molto, per arrivare al “C’era una volta…”, in termini di tempo e sacrifici, pericoli e dolore.
D’altronde, se così non fosse, non si chiamerebbe certo il viaggio dell’eroe.