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Kaiju No.8: mostri giganti e una musica che sta cambiando

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Come Kaiju No.8 è diventato uno dei manga e degli anime più visti e apprezzati degli ultimi anni pur non inventando niente, ma lavorando molto bene sul suo protagonista e... con la musica della sua sigla.

Circa due anni fa, più o meno tra i mesi di marzo e aprile, la fermata Porta Genova della metro di Milano veniva completamente rivoluzionata in termini grafici. Le pareti, da un giorno all’altro, si tinsero completamente di rosso: apparvero numerose immagini di un mostro con il volto scheletrico e quelle di diversi soldati armati fino ai denti. Tra lo stupore dei passanti, che non riuscivano a comprendere cosa avessero davanti agli occhi, e le prime foto scattate da chi invece conosceva bene quel tratto, si stava svolgendo una delle più importanti promozioni di un manga di sempre - o almeno che io ricordi.

Dietro tutto quel lavoro c’era Star Comics, che con quella campagna pubblicitaria decise di far conoscere anche in Italia il nuovo fumetto Kaiju No. 8 di Naoya Matsumoto, portato nel Belpaese direttamente dalle pagine giapponesi di Shōnen Jump+. Una mossa assolutamente giustificata, poiché in quel momento l’opera stava riscuotendo un enorme successo nel paese del Sol Levante.

Nel 2024, nello stesso periodo dell’anno in cui venivano affissi quei cartelloni pubblicitari a Milano, arriva in tutto il mondo l’adattamento animato del manga: ulteriore conferma che, a tutti gli effetti, quella storia stava ottenendo tanto affetto dal Giappone, e non solo. Avere il proprio anime, per un mangaka, è fondamentale: fa incrementare le vendite e rende molto più famosa l’opera principale. Perché? Beh, immaginate di essere su un palco al vostro primo concerto, davanti a un pubblico di poche persone, dopo aver provato per mesi nella sala prove del quartiere.

Avete un piccolo amplificatore per la vostra chitarra e l’acustica non è delle migliori, ma comunque riuscite a suonare e a far cantare le persone che sono venute ad ascoltarvi. Bene, in questa metafora l’elemento “anime” corrisponderebbe all’impianto d’amplificazione utilizzato dai Metallica al Rock am Ring: potente, d’effetto e, soprattutto, in grado di raggiungere la povera coppia d’anziani a chilometri di distanza che vorrebbe semplicemente andare a dormire.

Non è proprio un caso, dunque, se in questo momento è Kaiju No. 8 a essere l’anime più popolare in circolazione. In molti lo stanno guardando e ne stanno apprezzando la semplicità, me compreso. Quest’ultima, infatti, credo sia proprio la caratteristica più importante di un’opera che non si è voluta diversificare da quelli che sono i classici cliché di un manga shōnen (ossia pensato per giovani ragazzi, come i famosissimi Dragon Ball e One Piece). Anzi, tutt’altro: sembrerebbe proprio come se Naoya Matsumoto avesse voluto prendere gli elementi migliori di manga di successo come Attack on Titan, My Hero Academia e Jujutsu Kaisen per dar vita a una storia che lascerà sempre quella sensazione di già visto, ma che comunque rimarrà costantemente funzionante.

Cruciale in tal senso il buon ritmo della narrazione, che procede spedita verso gli elementi più importanti della storia, senza perdersi troppo in chiacchiere: è un prodotto che si assapora in poco tempo e che punta dritto al sodo. In un periodo storico in cui è importante tergiversare per capire se la serie tv avrà abbastanza successo da poter ottenere una seconda stagione, Kaiju No. 8 rappresenta una bella boccata d’aria fresca.

Perché leggerlo?

Ok, ma se la struttura del manga assomiglia tanto ad altri titoli usciti in precedenza, perché bisognerebbe leggerlo? Perché il contesto in cui viene ambientata la storia è ben realizzato. Nel fumetto di Naoya Matsumoto c’è un Giappone che viene assaltato costantemente dai kaiju, ossia quegli enormi mostri nipponici di cui Godzilla è il rappresentante più popolare. Sulla terra ferma ne arrivano così tanti che il governo, a un certo punto, decide di formare delle Forze di Difesa apposite: un corpo militare che sfrutta tecnologie avanzatissime in grado di abbattere quei colossi, evitando alla popolazione di assistere alle misere sorti di piccoli aerei schiacciati da una zampata, come nel più classico dei film. Ma una volta capitolati a terra questi palazzi fatti di scaglie e artigli, chi sistema tutto?

La squadra speciale di smantellamento, dove lavora il personaggio principale della storia: Kafka Hibino. Il protagonista, oltre ad avere il nome di un grande della letteratura, ha una peculiarità che lo rende totalmente differente dagli eroi degli altri shōnen: ha trentadue anni e, nel momento in cui lo conosciamo, il suo sogno sembra oramai svanito. Kafka vorrebbe diventare un soldato anti kaiju, ma i vari esami d’ammissione falliti nel corso degli anni lo hanno portato a demordere. L’età avanzata è diventata un problema, specialmente per i test fisici, e quella promessa di combattere contro i mostri fatta all’amica d’infanzia, nel frattempo divenuta capitana della Terza Divisione delle Forze di Difesa, si è fatta sempre più lontana.

Come fa ben intuire la copertina del manga, diverse circostanze porteranno un giorno il nostro protagonista a trasformarsi proprio in un kaiju, il peggior nemico dell’umanità. Al tempo stesso, però, questa assurda trasformazione riaccenderà quel fuoco che Kafka aveva perso nel corso degli anni. Può un trentenne che ha perso di vista la sua meta permettersi ancora di sognare? Secondo Naoya Matsumoto assolutamente sì. E non è un concetto da sottovalutare in un paese come il Giappone, dove si deve sempre iper performare.

Kaiju No.8

Nell’anime, sin dai primi episodi, si riesce ad assaporare la passione che gradualmente torna a farsi spazio nel cuore del protagonista. Episodio dopo episodio, tra una gag e l’altra, gli occhi di Kafka si faranno sempre più accesi fino a diventare un giorno quelli del pericoloso mostro rinominato dall’umanità Kaiju n° 8. A farci notare tutti questi dettagli, va detto, ci pensa anche lo studio d’animazione che ha lavorato all’anime, ossia Production I.G. (gli stessi di Heavenly Delusion e Haikyu!! per intenderci), che è riuscito ad esaltare diverse fasi cruciali del racconto.

Il suono europeo

L’anime di Kaiju No. 8, uscito il 13 aprile 2024 e oggi disponibile su Crunchyroll, non ha portato sulle nostre TV soltanto un’altra cosa interessante da guardare. No, perché questo prodotto ci sta mostrando anche l’evoluzione di un fenomeno che ha a che fare con il mondo dell’intrattenimento nipponico, ma anche con quello legato all’industria musicale. Tutto si può intuire attorno ai primi minuti di ogni episodio, quando parte la sigla che contraddistingue ogni sceneggiato seriale: il brano d’apertura in questo caso è cantato da un artista europeo, non giapponese. Si tratta di un aspetto per nulla casuale che va sottolineato, anche perché gli anime, nel 99% dei casi, sono caratterizzati proprio dall’avere canzoni realizzate da artisti autoctoni.

Per un cantante, il fatto che un proprio brano venga utilizzato come sigla per un prodotto d’animazione è, in termini di popolarità, una delle cose migliori che possa capitargli: quella traccia musicale verrà riprodotta a ripetizione in tutte le televisioni o smartphone in ogni parte del mondo. Certo, molto dipenderà dal successo che l’anime riuscirà a ottenere, è vero, ma con la crescente diffusione dei prodotti d’animazione giapponesi in tutto il globo non è complicato intuire che gli ascolti su Spotify aumenteranno comunque a dismisura.

In Asia potremmo infatti dire che oggi ci sono due modalità distinte, ma che hanno gli stessi obiettivi, di promuovere un proprio brano (o addirittura un disco): gli artisti del K-Pop associano un balletto alla propria canzone, così da mandarlo virale su TikTok e ottenere numerose riproduzioni giorno dopo giorno; in Giappone, invece, si sfrutta la sigla di un anime. Lo scopo resta comunque quello di ottenere nuovi ascoltatori attraverso altri media: un processo di conversione che oggi sta diventando essenziale in un mercato musicale sempre più competitivo, popolato da produzioni indipendenti. I risultati di questa strategia di promozione musicale sono straordinari ed è Spotify stessa a dimostrarcelo.

Kaiju No.8

Basta, infatti, andare sulle pagine degli artisti che hanno realizzato la sigla d’apertura di alcuni degli anime più famosi degli ultimi anni per accorgersi dell’incredibile numero di riproduzioni che continuano a ottenere giorno dopo giorno. Gurenge di LiSA, opening della prima stagione di Demon Slayer, ha più di 430 milioni di ascolti; Kick Back di Kenshi Yonezu (Chainsaw Man) supera i 360 milioni; Kaikai Kitan di Eve e SPECIALZ dei King Gnu (prima e seconda stagione di Jujutsu Kaisen) superano rispettivamente le 400 milioni e le 175 milioni di riproduzioni.

È una lista lunga e potrebbe proseguire per ancora molte righe, ma mi fermo qui limitandomi a dire un’altra cosa che rende tanto speciale questo fenomeno: tutte le canzoni citate sono le più ascoltate dei vari artisti riportati finora. Non è un caso, dunque, che proprio in Kaiju No. 8 sia Abyss a dare il via a ogni episodio: una canzone realizzata da un artista giovane e in ascesa come Yungblud, appartenente a una generazione cresciuta con i media giapponesi. In Europa, ma più in generale nel panorama musicale occidentale, ci si sta sempre più accorgendo di quanto sia importante l’industria degli anime per far conoscere la propria arte.

Guardando ad esempio nei nostri confini, appena un anno fa i Måneskin collaboravano con l’autrice di Beastars, Paru Itagaki, per la realizzazione del videoclip del loro brano Timezone. In futuro, allora, possiamo aspettarci sempre più crossover di questo tipo? Sì e, perché no, anche molte più sigle cantate da artisti non di origine giapponese. L’amplificatore degli anime, che rende tanto famosi i manga da cui sono tratti, potrà diffondere e far conoscere tanta musica internazionale. Ed è bello che uno degli artisti che ha premuto “on” sull’interruttore di quell’impianto d’amplificazione sia stato proprio Yungblud, il cui nonno si esibì negli anni ’70 assieme ai T. Rex: la band che ha dato vita alla canzone 20th Century Boy, da cui nasce l’omonimo e famosissimo manga di Naoki Urasawa.

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