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Etichettare lo shipping: tag e rating e la nascita di Archive of our own

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Saper cercare attraverso le tag, saper interpretare e rintracciare qualcosa grazie alla segnalazione dei suoi contenuti, parlare insomma il linguaggio per etichette, diventa un’abilità che chi shippa acquisisce e affina e che mette il fruitore di fandom in quella fantastica posizione di consumo attivo, di ricerca consapevole, anche quando vien fatta con la massima leggerezza

Nel mondo dello shipping c’è un concetto di base attorno a cui ruota un po’ tutto ed è quello della scelta.
Shippare cose e persone non è un’imposizione, non si fa a discapito del resto, si fa perché si vuole fare e sin dalla nascita della shipping culture, il fatto che fosse una variante, un’opzione e non qualcosa che si impone è sempre stato importante.

È per questo che è diventato necessario, sin dall’alba del fandom, dare indicazioni molto chiare sui contenuti di quello che si stava per andare a vedere, a leggere, a guardare, a discutere, e per farlo è nata tutta quella terminologia che abbiamo esplorato fin qui.

Identificare, indicare, dare a chi verrà in contatto con il materiale un’idea di cosa ci troverà dentro, è un aspetto centrale del mondo dello shipping e lo strumento fondamentale con cui, allo sbarco su internet, queste indicazioni hanno finito per esprimersi è quello della tag.

Taggare, mettere un’etichetta a quello che si condivide, è un modo immediato di dargli un’identità, permettere di riconoscerlo, come abbiamo visto succedere con i nomi delle ship, che diventano sigle di identificazione, veri e propri cartellini da portare per farsi trovare da chiunque altro ne condivida lo spirito, e succede con i nomi dei fandom, naturalmente, con lo stesso risultato di aggregazione all’ennesima potenza.

Il tag significa, del resto, letteralmente etichetta, e anche se il termine a volte viene visto come negativo, associato ad un concetto di conformismo, di omologazione, non è il caso in questo contesto.
Taggare nello shipping diventa una pratica in uso sin dagli esordi, ma naturalmente diventa davvero rilevante quando lo shipping si digitalizza e le etichette che si applicano diventano ricercabili o escludibili, diventano strumenti utilizzabili per trovare quello che si vuole vedere e evitare invece quello che non vogliamo nemmeno avvicinare.

Nei forum e nelle mailing list, sui siti personali e anche nei primi aggregatori di storie, però il sistema di tag non era davvero presente. Non c’è mai stato davvero il modo di inserire automaticamente una ricerca o un’esclusione attraverso i metadata in maniera efficace fino alla nascita degli hashtag su twitter e successivamente sulle piattaforme di microblogging come tumblr, livejournal e, infine, con il sistema di tagging di Archive of Our Own.

Un sistema per etichettare i contenuti e filtrarli, anche senza ricorrere davvero tecnicamente alla tag, si comincia a vedere però già dai tardi anni novanta, intorno alla nascita di fanfiction.net, ed è quello del rating.

In fondo, il rating non è altro che un tag che si mette per dare un’indicazione di che tipo di contenuto ci andremo a trovare davanti prima ancora di aprirlo e non è certo esclusivo del mondo dello shipping, del fandom o delle fanfiction, ovviamente e, anzi, viene preso in prestito, sia come utilizzo che come terminologia, dai sistemi usati per il cinema, la televisione, il fumetto e tutti i vari media dove si raccontano storie.

Il sistema di rating delle fanfiction, per filtrare le storie a seconda dei contenuti, ma anche delle fanart, per indicare cosa si “rischia” ad aprire una determinata immagine, comincia ad essere utilizzato presto, ma la terminologia è diversa a seconda dei fandom e del “luogo” in cui si condivide.

Le immagini cominciano ad essere indicate come NSFW solamente dalla seconda metà degli anni 2000, quando il concetto di “non aprire fanart zozze a lavoro” diventa più comune, mentre prima di segnalavano semplicemente come X rated o associate a tag di “content warning” o CW per sangue, violenza o contenuti espliciti in generale, mentre per quanto riguarda le storie, le fanfiction, il termine che fa da padrone sarà per lungo tempo il meraviglioso e nostalgico “lemon”.

Lemon era il termine di rating con cui si identificavano le storie che avevano al loro interno scene sessuali esplicite, né più né meno. Il concetto di cosa fosse da considerare esplicito o meno era dibattuto, ma spesso abbastanza tagliato con l’accetta: se ci si limitava a descrizioni evocative ma poco esplicite o i personaggi si scambiavano effusioni senza passare a coinvolgere lo scambio di fluidi corporei e la rimozione di vestiti, allora eravamo ancora nel regno del lime, altrimenti si entrava nella zona del lemon.

Il termine viene preso in prestito, da un anime,o meglio, da un hentai, ovvero un anime esplicitamente a tema erotico, che si chiamava Cream Lemon. Una mailing list dedicata alle fanfiction che ruotavano intorno al mondo hentai venne chiamata in suo onore “The Lemon List” e da lì gli agrumi finirono per diventare sinonimi di contenuto sessuale esplicito, va te a vedere i casi della vita.

La scala agrumi, o la citrus scale ad un certo punto venne veramente utilizzata, per definire il rating di fanfiction e talvolta anche fanart, anche se mai presa davvero troppo sul serio, con il base citrus, dai contenuti quasi totalmente innocenti, come un abbraccio amicale, passando per orange, dove cominciano comparire baci e abbracci più intimi, il lime contiene già allusioni più esplicite, ma è con il lemon che arriva il sesso vero e proprio e le descrizioni dettagliate, mentre nel regno del grapefruit si possono trovare non solo atti sessuali espliciti ma anche tutto quello che si può considerare deviato, bizzarro, potenzialmente disturbante.

Se la citrus scale è però quasi un gioco, ad un certo punto diventa necessario fare delle distinzioni più precise, anche perché non si tratta di avvisare solamente quando ci sono contenuti di tipo sessuale, ma anche, come si diceva prima, di far presente se una storia abbia scene violente, tematiche o personaggi in situazioni problematiche, linguaggio volgare, si parli magari di alcol, droghe, morte, malattia mentale e via dicendo.

È qui che alcuni siti cominciano ad utilizzare sistemi di rating per gradi, come quello utilizzato dal cinema e dalla televisione, con sistemi diversi, come quello dell’indicazione di età (G, PG13, R, NC17) o per gradi di contenuto, come farà fanfiction.net con il suo sistema strettamente codificato.

Si parte da K, che è la classificazione per le storie adatte a tutti e tutte, libere da parolacce, tematiche problematiche e/o adulte, passando per il K+, poi il T che sta per Teen, M per Mature e infine MA per i contenuti espliciti e completamente privi di “filtri” che verranno presto peraltro proibiti sui fanfiction.net.

Il sistema del rating finisce per diventare naturalmente molto utile da un lato, estremamente prezioso per evitare che contenuti finiscano nelle mani di chi non dovrebbe e non vorrebbe vederli, ma dall’altro è un’arma a doppio taglio.

Vietare contenuti di un certo tipo su un determinato sito, limitare l’accesso a spazi online a chi non dimostri l’età giusta, stabilire che cosa sia o non sia adatto ad un certo rating, sono pratiche spinose che finiscono per dividere le community e creare dibattiti estremamente accesi, come quello che si sviluppa infatti intorno all’esclusione da fanfiction.net dei contenuti dal rating MA.

A partire dal 2002, quindi appena quattro anni dopo la sua creazione, dell'archivio comincia un progressivo ban delle storie a rating MA o NC17 e non solamente. Vengono gradualmente limitati diversi contenuti che si possono o non si possono pubblicare, come le RPS, le Real Person Stories, basate su attori, cantanti, personaggi pubblici dello spettacolo, dello sport e della politica, ad esempio, oppure le storie scritte in formato chat, che riportano solamente dialoghi tra personaggi, scritti appunto come se fossero delle conversazioni riportate da una chatroom.

Non si tratta quindi solamente di un limite per le storie a contenuti sessuali, ma in generale una stretta su cosa si vuole pubblicare o meno sull’archivio e il malcontento si fa sentire immediatamente.

Ci vorranno però quasi dieci anni prima che avvenga la grande purga e che le storie comincino a venir eliminate dall’archivio in massa: nel 2012, anche grazie all'attività di un gruppo di utenti di fanfiction.net chiamato Critics United che si proponeva di rivedere, giudicare, migliorare gli standard delle storie pubblicate sul sito, inizia la cancellazione attiva di storie e relativi commenti e recensioni. Una parolaccia nel titolo o nell'introduzione, una scena giudicata troppo esplicita o descrittiva, a volte anche un tipo di scrittura giudicato inappropriato o povero o un formato di storia considerato pigro o comunque non ammesso e via, la storia sparisce, senza possibilità di appello.

Succede a centinaia di fanfiction e chi le aveva scritte naturalmente si solleva e si lamenta pubblicamente e ad alta, altissima voce, ma serve a poco, perché l’epurazione dei contenuti proibiti prosegue e si conclude, senza incontrare di fatto una vera resistenza.

A quel punto, l’unica strada percorribile è quella dell'esodo e la creazione di nuovi spazi, se non la migrazione di massa verso quelli che già esistevano.

Se siti come Fictionalley o AdultFanfiction.net esistevano già da anni e spazi come LiveJournal ospitavano da tempo un crescente numero di community dedicate allo shipping e alle fanfiction, è verso un nuovo archivio che si dirige una grande parte del mondo in fuga dal grande ban, un archivio tutto per sè: Archive of Our Own.

Archive of Our Own, in breve chiamato anche AO3, è la “next big thing”, il luogo che si identifica subito come la casa delle storie, di tutte le storie, un archivio, appunto, dove pubblicare qualunque cosa, senza limitazioni di nessun genere, forma, contenuto, con la promessa che nulla verrà epurato, limitato o escluso, a patto di… taggare come si deve.

L’arma segreta di AO3 sono proprio le tag, le etichette, applicate con scrupolo, dedizione e abbondanza, pronte a categorizzare, avvisare, prendere insomma per mano chi legge e fargli vedere cosa aspettarsi, cosa evitare, come evitarlo serenamente, cosa invece cercare con cura, per andare a trovare proprio la propria nicchia, le proprie ship, il proprio angolino di fandom specifico, in cui sentirsi al sicuro.

Il sistema di tag di AO3 è, come dicevamo, piuttosto sofisticato sin dal principio e negli anni è diventato ancora più elaborato, tanto che il sito ha un esercito di volontari che lavorano col titolo eroico di tag wrangler, praticamente domatori di tag, il cui compito non facile è quello di analizzare, collegare, categorizzare le varie etichette e fare in modo che tutto funzioni come deve.

Si tagga, ovviamente, per cominciare, il rating, che è presente anche su AO3, ma in maniera leggermente più semplificata e fatta per guidare chi legge, non tanto per tener fuori una fascia di età o l'altra, ma si taggano anche le ship, ovviamente, che diventano tag ricercabili e filtri selezionabili quando si cercano storie da leggere.
Si taggano gli avvertimenti che precedono la storia, come i potenziali trigger warning, le menzioni di argomenti sensibili, ma anche la morte di personaggi o la presenza di personaggi minorenni nella storia e si taggano le categorie, i tipi di relazione, dal gen per nessuna relazione, alle categorie di M/M, M/F, F/F, multi o other.

Il sistema, insomma, si evolve per includere quanti più possibili filtri, che permettano di non finire casualmente su qualcosa che non si vuol leggere e, al contrario, arrivare a trovare proprio quello che si stava cercando, nel modo più facile possibile.

La tag diventa anche un modo per aiutare a trovare specifici tropes, situazioni, tipi di storie che si sviluppano in modi stabiliti, ship che fanno parte di una certa categoria, come nel caso delle storie etichettate come hurt/comfort, come found family, coffee shop AU, il famigerato Omegaverse o A/B/O, l’angst o il crossover.

Taggare in maniera efficace una storia diventa un’arte importante quanto saper scrivere un sunto che attiri l'attenzione o dei dialoghi interessanti, ma a volte tra le tag si nascondono anche battute, commenti, modi di identificare un certo tipo di storia attraverso il metalinguaggio del definirsi, insomma.

Ed è così che ci troviamo davanti a tag che hanno un mondo dentro, come quelle relative, naturalmente alla sfera sessuale e alle storie di categoria esplicita che possono avere una lunga lista di kink in tag, in modo da poter escludere o trovare proprio quello che si vuol leggere e nulla di meno o di più. Ma non è solo questione di sesso: ci sono tag che definiscono i tipi di relazione tra i personaggi, tag come manipulation, fluff o unrequited, per storie che parlino di rapporti psicologicamente malsani, al contrario momenti di beatitudine leggera o relazioni di amore non ricambiato, per fare tre esempi.

E poi ci sono le tag che avvisano, questa è una fix-it fic, nata per aggiustare questa cosa che in canone è andata malissimo, o le Slice of Life, dove leggeremo di momenti di vita di una ship, magari senza che succeda qualcosa di eclatante nella storia, fino ad arrivare al fondamentale  DEAD DOVE DO NOT EAT, una delle mie tag preferite e una delle universalmente più ignorate per poi pentirsene amaramente.

Significa che la storia che si sta per leggere contiene qualcosa di pesante, potenzialmente disturbante, contenuti forti, o reprensibili, che chi legge potrebbe non voler trovare e che se si procede lo si fa sapendo a cosa si va incontro (generalmente nel resto delle tag vengono poi forniti ampi indizi e indicazioni per capire quali sono questi contenuti nello specifico).

La sua origine è una scena della serie tv Arrested Development, dove uno dei  personaggi trova in frigo una busta con su scritto “colomba morta, non mangiare”, apre la busta, ci trova in effetti dentro un cadavere di piccione e la richiude disgustato e dicendo “Non so cosa mi aspettavo”. Come dire che non si può dare la colpa a chi scrive: ci aveva avvertito.

Ecco, il sistema delle tag funziona un po’ così: è un avvertimento, sì, ma anche un richiamo. Sai a cosa vai incontro e sai a cosa non vuoi andare incontro. Richiede un po’ di consapevolezza da parte di chi vuole fruire di un contenuto, richiede, ancora una volta, come sempre nel mondo del fandom e dello shipping, un ruolo di lettore, di fruitore attivo, non di passivo consumatore di quello che viene somministrato.

Taggare il proprio lavoro è importante, lo diventa sempre di più mano a mano che le lo shipping lascia i confini delle fanzine, dei siti dedicati e raggiunge gli archivi, sì, ma anche i social, dove una tag ben piazzata diventa l’unica ancora di salvezza per non perdersi completamente nel mare di contenuti.

Ma saper cercare attraverso le tag, saper interpretare e rintracciare qualcosa grazie alla segnalazione dei suoi contenuti, parlare insomma il linguaggio per etichette, diventa ancora una volta un’abilità che chi shippa acquisisce e affina e che mette il fruitore di fandom in quella fantastica posizione di consumo attivo, di ricerca consapevole, anche quando vien fatta con la massima leggerezza e la voglia magari solo di leggere qualcosa di terribile, offensivo, breve e meravigliosamente, delirantemente specifico.

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