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Tunic: The Legend of Zelda che gioca a fare il soulslike

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Tunic è quel gioco che riesce ad essere assolutamente perfetto in ogni sua caratteristica rappresentando un must have per chiunque.

Risulta sempre più difficile, oggi, riuscire a trovare un titolo che riesce ad eccellere in ogni suo aspetto: si devono compiere tagli di qua o di là e quindi dare, per forza di cose, più valore a questo o quell’aspetto del videogioco penalizzando qualcos’altro.

Spesso, processi di questo tipo, non vanno ad inficiare sulla qualità finale del prodotto completo, o almeno il peso è così piccolo da non riuscire a scalfire il risultato: si veda, per citare un nome importante, Elden Ring.

 

From Software, come sempre, non da troppo peso a quello che possiamo identificare come comparto tecnico, “mascherando” la carenza con un world design e world building tale che non frega niente a nessuno di asset riutilizzati, motore vetusto e cali di frame rate.

 

Allo stesso tempo, prendendo sempre in analisi uno dei “grandi” delle ultime settimane, Leggende Pokémon Arceus propone non solo un comparto tecnico inesistente ma anche un world design imbarazzante, puntando (quasi) tutto su quella che è “la nuova esperienza Pokémon”, con tutti i pro e i contro del caso.

Tunic, sviluppato da una sola persona e nel dettaglio da Andrew Shouldice (con qualche aiuto nella soundtrack), invece fa bene generalmente tutto. E non si accontenta nemmeno del compitino, eccelle in ogni caratteristica immaginabile per un videogioco.

 

Se proviamo a tenere un’ipotetica “checklist” di quello che deve essere fatto in un certo modo per poter ambire ad avere uno di quei due numeretti abbastanza alti nelle recensioni, con ogni probabilità Tunic spunterebbe ogni casella.

 

Per sua fortuna non mettiamo questo numeretto e questa non vuole essere una vera e propria recensione altrimenti ci sarebbe un conflitto interiore sullo scegliere un 9 o un 10, soprattutto visto che il gioco non è stato portato a termine.

E si, mettiamo pure da parte le torce e i forconi, perché se è vero che non ho visto i titoli di coda e quindi non sono ancora riuscito a capire quale dei (due) finali sono riuscito a portarmi a casa è anche vero che da circa 6 ore sono bloccato dentro la battaglia contro il boss finale (di cui ho già visto almeno 10 video senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Eppure in uno dei tentativi ci ero così vicino).

 

Mi sento, quindi, lo stesso in grado di poter parlare di Tunic con voi continuando a sorreggere la tesi della (quasi) assoluta perfezione di questa produzione? Sì, assolutamente.

 

Tunic, visto che ancora non è stato presentato come si deve, è un soulslike travestito da Link che fa finta di essere Captain Toad fra una schermata di Game Over e l’altra.

In soldoni siamo una simpaticissima volpetta che si sveglia su una spiaggia e senza che nessuno ci dica niente sul nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro dobbiamo avventurarci in un mondo di cui non sappiamo nemmeno il nome.

 

Se l’incipit ricorda vagamente quello di quella serie importante e famosa di Nintendo, sì. Tunic vuole fare esattamente quello che faceva il primo e storico The Legend of Zelda: lanciarti in acqua e sperare che tu non sia così arrendevole da annegare senza aver provato ad agitare le braccia.

 

E se Nintendo era stata così magnanima e buona da mettere le informazioni dentro un manuale di gioco (per chi aveva la fortuna di avere una cartuccia con la scatola originale), Tunic prova a simulare la stessa esperienza del ragazzino che si trova questa cartuccia in mano, prestata dall’amico o ritrovata in soffitta (sì, anche dell’adulto che lo raccatta dentro ad un mercatino dell’usato o su eBay) che di questo manuale ne ha solo sentito vagamente parlare.

 

Ma letteralmente.

Nel gioco, infatti, ci troveremo a trovare, fisicamente, pagine strappate di questo fantomatico manuale tramite il quale possiamo imparare a giocare, con tanto di appunti a penna del fantomatico giocatore che ci ha giocato prima di noi. E le sorprese, meravigliose, non finiscono qui.

 

Il titolo prova ed essere così “meta” da fornici, costantemente e ripetutamente, input su questo altro proprietario del gioco e sui suoi ragionamenti fino a culminare con l’esplorazione del… Lo scoprirete da soli, perché quel momento, squisitamente opzionale, vale quasi tutto il prezzo del biglietto.

 

Questo meccanismo legato al manuale di gioco riesce ad essere così interessante da influenzare in modo intelligente e massiccio l’intero world design: dovessi ricominciare il gioco proprio adesso “perderei” moltissimo meno tempo poiché ho guadagnato il “potere della conoscenza”. Se servono tot ore per arrivare ad una pagina di manuale che ti spiega come interagire con un determinato elemento di gioco, ne serviranno molte meno per compiere quell’azione, subito, senza dover prima accedere all’informazione.

 

Un meccanismo del genere non lo vedevo da Outer Wilds, uno dei titoli più belli esistenti al mondo per quanto concerne l’esplorazione e la conoscenza, e francamente mi chiedevo quando, qualcun altro, avrebbe deciso di mettere mano ad concept del genere per qualche altro videogioco.

Sotto questo aspetto Tunic è, senza troppi fronzoli, perfetto: fornisce un ritmo all’avanzamento e alla narrazione pazzesco, “nuovo”, intelligente e che offre un costante senso di scoperta e appagamento al giocatore.

 

Sì, proprio come quando si inseriva dentro al proprio NES quella cartuccia senza manuale e si riusciva a trovare un dungeon a caso e superarlo. Ma ciò non vuol necessariamente dire che Tunic parla solo ai nostalgici perché, per l’appunto, partendo da quel tipo di sensazione ed emozione costruisce qualcosa di unico e “moderno” capace di inserirsi alla perfezione nel momento storico videoludico che stiamo vivendo.

 

E parlando proprio di momento storico preciso, Tunic esce nel bel mezzo di Elden Ring (che non ho citato a caso prima) proponendo un modo differente di gestire un soulslike (proprio come Elden Ring, sì, ma non credo che questo fosse voluto).

Se dai trailer si poteva ipotizzare di essere di fronte ad un’esperienza molto più simile a The Legend of Zelda e quindi focalizzata sull’esplorazione e sui segreti, pad alla mano ci si rende conto che anche il combat system è magnifico con tanto di boss per cui è necessario pianificare attentamente il proprio equipaggiamento e le proprie mosse.

 

Se aggiungiamo anche il suo essere un gioiello estetico e tecnico, la sua lore particolarmente stuzzicante e una soundtrack da urlo è facilmente intuibile come mai si tratti di un titolo eccellente in praticamente tutto.

 

Non esiste un singolo motivo per cui un qualsiasi giocatore non dovrebbe giocare Tunic, e non esiste alcun motivo per cui Tunic non debba essere un gioco assolutamente perfetto. E, appunto, lo è.

 

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