Trump I, l'Impresidentabile: la satira di Dwyer per DoubleShot
Double Shot pubblica in Italia "Impres(id)entabile", la raccolta delle caustiche vignette di Kieron Dwyer contro l'ormai ex presidente Trump.
L'elezione di Donald Trump nel 2016 ha costituito indubbiamente uno spartiacque nella storia degli USA, del mondo e della cultura pop, evento a cui ovviamente Nerdcore stesso non poteva rimanere insensibile (a parte vari riferimenti, si veda questo articolo qua).
Il quadriennio appena concluso (e coi fuochi artificiali dell'allucinante assedio di Capitol Hill) ha ispirato un profluvio di produzione satirica incentrata sul "President Orange", che si è rivelato un ottimo spunto per le penne più aguzze, da entrambi i lati dell'Atlantico.
Tra le vignette più caustiche, spiccano indubbiamente quelle di Kieron Dwyer, che Double Shot ha voluto riproporre in questo volume. "Impres(id)entabile. Donald Trump secondo gli americani", riprende il gioco di parole (per una volta, traducibile) della raccolta originaria, mentre in copertina vediamo che il Re, ovviamente, è Nudo, sotto la corona e la lacera bandiera degli USA che gli fa da mantello. In pugno, a mo' di scettro, stringe una penna con su scritto "BigLie", e più in piccolo "Not-so-fine-point".
Un rimando alle molteplici "verità alternative" (per citare le giustificazioni del suo staff) del presidente: ma anche un buon indice dello stile di Dwyer, basato su vignette estremamente icastiche e comunicative, ma talvolta arricchite da qualche piccolo dettaglio da apprezzare con uno sguardo più attento. Così come curato è tutto il volume, a partire dalla scelta non casuale dell'arancione nella grafica.
L'introduzione italiana al volume è di Fernando Masullo, giornalista politica esperto nello scenario americano, corrispondente USA della RAI e ideatore del programma di politica "Ballarò", che traccia un succinto quadro della sorprendente ascesa trumpiana. Shannon Wheerler, vignettista del New Yorker, ricostruisce invece il percorso di Dwyer (n. 1967), che ha avviato la sua carriera fumettistica con Marvel e DC Comics, occupandosi come disegnatore dei più noti supereroi di sempre.
Il suo passaggio alla satira con LCD, Lowest Comic Denominator, nel 1997, lo rivela autore satirico di sublime ferocia, che gli porta anche alcune grane legali risoltesi poi col riconoscimento della legittimità satirica. Come si può notare anche in questo volume, la forza di Dwyer sta nell'unire la spietatezza propria della migliore satira d'oltreoceano, fermentata ai velenosi umori dell'underground, con un segno di enorme chiarezza ed efficacia comunicativa, che lo rende indubbiamente estremamente molesto ai suoi bersagli polemici.
Nella sua prefazione, lo stesso Dwyer sottolinea il carattere schieratissimo e militante di queste vignette: non che possa esservi alcun dubbio sfogliando anche superficialmente l'albo. Messe insieme, le immagini diventano un attacco a tutto campo al trumpismo, una demolizione programmata dell'avversario politico che tocca ogni suo aspetto, minandone i poliedrici aspetti della sua arcinota megalomania, fino alla velleità di incidere su pietra la propria autopercepita grandezza con l'ossessione di finire sul Monte Rushmore. Trump si sovrappone alle grandi icone di villain americani, da It a Freddy Krueger, fino al Demogorgone di Stranger Things.
Ma oltre Trump, sono protagonisti del volume tutti i comprimari delle sue ossessioni, a partire da Putin presentato quasi come un sogno erotico del presidente arancione. Appaiono anche le figure minori, da noi meno note, della corte repubblicana di Trump, dal più noto Steve Bannon a Mitch McConnell - che appare come una soporifera tartaruga - a Kellyanne Conway in stile Desperate Housewife. Un particolare, inquietante spazio viene riservato all'aitante Paul Ryan e allo smantellamento della poca sanità pubblica introdotta da Obama, seguendo le linee dell'iperliberismo di Atlas Shrugger di Ayn Rand.
La graffiante satira, come detto, funziona bene grazie alla estrema efficacia grafica, che permette all'autore di usare al meglio i rimandi alla cultura pop per sbeffeggiare Trump, galvanizzare i suoi oppositori e, ne siamo certi, far infuriare i sostenitori del MAGA - americani e probabilmente anche italici. Un'opera, come detto, militante, che all'eleganza preferisce in ogni caso una dirompente efficienza (come del resto appare necessario per contrastare il caterpillar arancione). Proprio questa estrema efficacia rende difficile analizzare oltre misura la indubbia vis comica dell'autore, perché la sua forza distruttiva sta proprio in un'immediatezza che ogni discorso finisce per depotenziare. L'accumulo della raccolta delle vignette in un albo, viceversa, dona loro maggiore forza: fruite singolarmente è il singolo eccesso polemico della satira: unite tutte insieme formano una torrenziale pars destruens che ne incrementa la virulenza (mostrando anche, in questa selezione almeno, l'assenza di ripetizioni negli assalti al vetriolo).
Per certi versi potrebbe venire in mente, tra gli italiani, la satira di Forattini: anche se il disegno di questo autore, autodidatta, era meno elegante graficamente, e contraddistinto per temi inizialmente da una satira erga omnes, e poi in modo più acuminato contro la sinistra negli ultimi tempi di attività. Ma resta simile - ovviamente non per derivazione diretta, ma per un certo modello comune di satira di larga presa popolare - la scelta della massima riuscita tramite battute icastiche, soluzioni visuali che, quando riuscite, sono di incredibile efficacia, una caricaturalità intrisa della dovuta cattiveria. Dall'Italia, se vogliamo, Dwyer riprende piuttosto un certo immaginario romano, tipico dei presidenti più imperialisti, al fine di rovesciarlo, con un Trump che si vuole Cesare ma risulta tra Nerone e Vespasiano, apertamente citati.
La riuscita del volume si deve comunque anche, nella versione italiana, alla azzeccata traduzione di Lorenzo Corti, che riesce a mantenere una chiara scorrevolezza del testo anche in presenza di rimandi come detto non sempre immediati per il lettore nostrano, riuscendo perfino a creare dei giochi di parole coerenti con l'originale ("Zio Scem", dal titolo di una sezione), e chiosandone alcuni in nota quando, come spesso accade, sono intraducibili.
Il volume si chiude con una perorazione di Dwyer che implora il lettore a impegnarsi per evitare "four more years", alla soglia delle complicate elezioni del 2020. Come arcinoto, le sue invocazioni sono state ascoltate, e Trump ha fallito nel suo tentativo di secondo mandato (cosa abbastanza rara per un presidente in carica) trincerandosi dietro accuse di brogli. Forse l'emergenza Covid ha anche contribuito a fermare la corsa alla riconferma, e nonostante l'impantanarsi delle successive procedure di empeachement volte a impedire a Trump una candidatura, per il momento la sua stella appare in declino.
Ma se Trump è per ora sparito dalle scene come un classico villain di un fumetto supereroico alla fine di un ciclo o di un episodio, il trumpismo è più vivo e presente che mai: una metà dell'America (e dell'occidente) in attesa del prossimo "uomo forte" in grado di incarnarne le aspirazioni. E, naturalmente, del prossimo autore satirico che giungerà a schernirlo.