Tales from the Loop, il sogno di Amazon che promette benissimo
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Tales from the LoopTales from the Loop di Amazon si mostra in un primo e convincente trailer, capace di tirare fuori l'immaginario di Simon Stalenhag in un minuto.
L’attesa per questo momento è stata una di quelle più dure della mia vita, ma finalmente Amazon ci ha graziato con il primissimo trailer di Tales from the Loop, la serie che porta alla realtà gli anni ’80 che non ci sono mai stati di Simon Stalenhag. Non conoscete questo autore? Male, è solamente una delle menti più visionarie degli ultimi tempi, famoso per aver realizzato un intero immaginario basato su una realtà svedese a limite tra la vita della campagna e la fantascienza più plausibile. I suoi lavori sono più noti per i suoi artbook pregni di narrativa, come dimostra in special modo The Electric State. Ma oltre questo Stalenhag ha prodotto numerose musiche disponibili gratuitamente su Spotify e i suoi mondi hanno dato vita, con il suo benestare naturalmente, a diversi giochi di ruolo omonimi.
Da tutto questo possiamo approfondire il trailer arrivato nelle nostre case moderne, forte di una lunga serie di produttori tra cui spicca senza dubbio Matt Reeves. Il filmato si apre nella neve, mostrandoci nei primi minuti i tre elementi che contraddistinguono l’anima di Stalenhag e dell’immaginario di Loop: i bambini, la campagna svedese e la contaminazione robotica/scientifica fuori dalla logica temporale. Non a caso, dopo il robot tra gli alberi, vengono inquadrate le tre torri di raffreddamento dell’impianto di Bona: icone principali della fotografia pubblicitaria ed elemento più visibile del Loop.
Ma che cos’è il Loop? Citando dal libro, si tratta di un enorme acceleratore di particelle circolare, nonché centro di ricerca di fisica sperimentale che si estende lungo le isole del Malaren settentrionale (dove è ambientata la serie ndr). Le Torri di Raffreddamento di Bona servono proprio a raffreddare il Gravitron, ovvero il nucleo principale del Loop e fonte di energia dell’intera area coperta da esso. Oltre a essere enormi, erano anche dotate di quindici grandi ventole in costante lavoro, ripristinate ogni giorno alle 18:00 attraverso un segnale acustico che echeggiava per tutta la regione come i corni dell’apocalisse, diventati però quello che per alcuni di noi può essere il rintocco delle campane orarie delle chiese. Il tutto accompagnato da un dolce tremolio della terra, ancora in grado di incantare o spaventare i bambini della regione.
Questa immagine più o meno sintetizza quanto Stalenhag abbia speso molto del suo impegno non solo nel disegnare, ma anche nel trasformare le sue visioni in una normalità rurale e scontata, come se macchinari senzienti e strane strutture fossero luoghi a cui chiunque si è abituato. Risultato che viene raggiunto solamente quando la prospettiva è affidata ai bambini nati e cresciuti lì, figli dell’innocenza di un mondo già impostato ma comunque ancora pieni di curiosità verso lo sconosciuto. Condizione sintetizzata dalla domanda rivolta a Jonathan Pryce: “cosa fai?”, la cui risposta è un “quando qualcuno dice che qualcosa è impossibile, io provo che sia possibile”.
Da qui lo scenario si allarga e vediamo sempre più bambini avventurarsi in luoghi favolosi e, allo stesso tempo, apparentemente spogli, perfetti per far capire il contrasto tra il reale e il fantastico. La telecamera si sposta poi su un bambino che si addentra inconsciamente in una capsula mentre un suo coetaneo sta giocando fuori di essa. Il rimando perfetto alla storia di Jans e Hakan: due fratelli che hanno trovato una capsula d’acciaio in un’area di sosta. Attirato da essa, Hakan decise di entrarci come nel trailer e, appena lo fece, si ritrovò catapultato nella macchina dei genitori al bordo della strada limitrofa, in attesa che lui facesse pipì prima di ripartire. Ritornando alla sfera in fretta e furia, ci ritrovò il suo corpo ma con la mente spaventata del fratello che si supponeva fosse ancora in macchina, arrivando a concludere che i due gemelli si erano scambiati i corpi senza che nessuno se ne accorgesse davvero mai più. Del resto erano identici e le storie che si inventano questi bambini sono davvero sempre più assurde.
Segue una casa venir decomposta verso l’alto, probabilmente per colpa di un’anomalia gravitazionale del Loop, riproposta verso la fine del trailer. Una breve immagine che fa però spazio alla Sfera di Allarme in cui il protagonista sembra addentrarsi: un rimasuglio di un vecchio impianto di ricerca ormai dismesso. Non tutto nell’immaginario di Stalenhag è infatti in funzione, anzi spesso molti dei luoghi e delle invenzioni sono ormai abbandonati per tutta una serie di anomalie riscontrate nella ricerca, ponendo la comunità svedese in una sorta di limbo tra l’età dell’oro tecnologico post bellico e la decadenza economica di una civiltà avanzata in caduta. Non a caso, la scena immediatamente dopo ci mostra il Guanto di Controllo a Distanza per accentuare il contrasto: uno strumento di lavoro in grado di controllare un robot di servizio semplicemente indossando uno zaino e muovendo i propri arti. Un gioco da ragazzi, fin troppo incline a essere oggetto di bravate al limite del legale da parte dei bambini più indisponenti.
Vediamo poi dei segni peculiari su un albero, al momento senza una direzione precisa in cui poterli ricondurre. L’ipotesi più plausibile è che siano frutto dei dinosauri che popolano alcune aree della regione, usciti da distorsioni spazio temporali e protagonisti di numerose storie raccontate dai ragazzini del vicinato, intenti a giurare di aver visto un essere preistorico nel giardino di quella casa isolata al limitare del bosco.
Segue un mezzo a Volo Magnetrin, molto comuni nel periodo del Loop e distribuiti commercialmente durante il boom delle imprese legate all’impianto. Sostanzialmente si tratta di veicoli che sfruttano il campo magnetico terrestre, nati dalla scoperta di Mikhail Vorobyev nella Seconda Guerra Mondiale. Lo scienziato russo osservò come una costruzione (un missile, nel suo caso) dotata di giroscopi tendesse a respingere il campo magnetico terrestre se veniva inserita una barra di neodimio in una capsula di ferro a forma di piatto. Ben presto capì le derivazioni della sua teoria e, per farvela breve, vennero costruiti centinaia di veicoli (pesanti e leggeri) basati sul Magnetrin. Sono alimentati a diesel e la loro sicurezza – e capacità di trasporto - è impareggiabile, visto che una barra carica lasciata senza corrente ci metterebbe tre centimetri ogni settimana per cadere. Naturalmente non è una tecnologia accessibile a tutte le famiglie, specie se abitano su delle isole svedesi immerse nel verde.
Da qui il trailer si conclude mostrando la comunità e i pregi che ha guadagnato nel lavoro all’impianto del Loop, cambiando così tanto il loro stile di vita da connetterli davvero tutti ai kilometri di cavi e bizzarrie che compongono l’enorme reattore circolare. “Niente di cui aver paura” dice il trailer, ed è abbastanza vero quando si parla di Stalenhag nello scenario svedese del Loop. Gli eventi inspiegabili come i dinosauri e lo scambio di menti non sono visti come pericoli, piuttosto sono avventure dei ragazzini che gli adulti faticano a credere, consci di volersi lasciare alle spalle dei ricordi amari riguardo un passato (per noi futuristico) che ormai fatica a stare al passo. Ma per i bambini, il Loop è la storia del loro paese, dei ricordi fisici mai appartenuti a loro che riaffiorano per dire ancora qualcos’altro, raccontando un mistero perso tra i soldi industriali e le innovazioni scientifiche a cui ancora si era decisamente impreparati.
Tales from the Loop di Amazon NON è Stranger Things, come è stato definito erroneamente giusto per accoppiare le keyword. È tutt’altra pasta, è un racconto realistico basato più sull’ambiente che sui suoi teenager. Non ci sono misticismi da gioco di ruolo, non ci sono eroi né cattivi da combattere, tantomeno superpoteri convenienti con cui contrastare gli orrori. C’è la normalità della campagna, la neve del Nord e una realtà lacerata da tanti squarci che tentano di coesistere in un bislacco ecosistema. Un luogo dove le fantasie dei bambini che giocano in cortile non sono solamente nella loro testa, trasferite in scenari visionari dove la fantascienza e i piccoli conglomerati urbani diventano una cosa sola. L’unica condizione per viverci è quella di essere pronti ad accettare Tales from the Loop per quello che veramente è: la scoperta di un mondo ameno attraverso l’innocenza degli occhi fanciulleschi che abbiamo perso negli anni.