C’erano una volta Simone e Nicola, due amici intraprendenti pieni di idee originali e di voglia di metterle in pratica. Quei due ne avevano già combinate di tutti i colori: avevano creato un podcast simpatico, “Il pube in primo piano” e poi un altro buffo, “Power Pizza” (che esce quasi ogni venerdì alle 10.30 su Spreaker); si erano messi in mente di visitare il Giappone, così avevano preso la bicicletta e ci erano andati; lo stesso avevano fatto con le isole Svalbard, glaciali terre nordiche popolate da orsi, e in generale un po’ con tutta l’Islanda, che a quanto pare è visitabile comodamente su due ruote.
Un bel giorno i nostri eroi decisero di cimentarsi in una nuova impresa: collaborare come volontari nei centri gestiti dal Centro di Solidarietà l’Ancora, andando a prestare aiuto nei CAS della zona di Imperia. Per chi non lo sapesse, i CAS sono i Centri di Accoglienza Straordinaria, creati per sopperire temporaneamente alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie, qualora ci fosse un ingente numero di persone richiedenti asilo.
Come nel più comune dei racconti, i protagonisti agiscono in trio: nella maggior parte delle avventure passate sono stati accompagnati dal prode Lorenzo, ma la storia che vi voglio raccontare oggi ha a che fare con Andrea Zammataro, il vice-coordinatore Settore migranti presso l’Ancora. Simone, Nicola e Andrea si sono organizzati, hanno creato il progetto nei minimi dettagli e preparato tutti i documenti necessari per potersi cimentare nella nuova impresa. Storiemigranti ne è il risultato: una raccolta di trentadue storie, semplici e vere al pari di questa, che sono state raccontate da trentadue persone venute da lontano a chi le ha volute ascoltare.
Simone Albrigi, noto ai più come Sio, ha dato vita con i suoi disegni semplici e immediati ai racconti narrati dai migranti durante il periodo di volontariato nei CAS. Non sono tutte testimonianze tristi e strappalacrime come forse qualcuno potrebbe supporre, non c’è nessun desiderio di passare per sconfitti , anzi: la fortissima voglia di vivere che ciascun narratore ha saputo trasmettere al fumettista, emerge da ognuna delle trentadue storie. Molte delle esposizioni motivano il viaggio, spiegando a volte il perché sia stato necessario partire, altre come mai si voglia fare ritorno al più presto; qualcuna è semplicemente un qualcosa di bello che vuole essere condiviso, non per forza realmente accaduto; poche sono testimonianze di condizioni drammatiche, raccontate con la speranza che un domani non lo siano più.
Storiemigranti è realizzato a più mani: le linee di Sio, chiare ed efficaci come sempre, sono corredate dai colori di Davide “Dado” Caporali. I due non sono nuovi alle collaborazioni, dai volumi di Dragorboh alla raccolta Tretrighi abbiamo già avuto le prove di quanto il dinamico duo funzioni bene. Le vignette sono riempite da campiture cariche di tonalità sgargianti che danno vivacità a tutte le trentadue storie; qualche sfumatura per dare spessore all’insieme, ma senza la pretesa di ottenere un risultato verosimile, conservando lo stile “a cartoon” che caratterizza da sempre il fumettista veronese.
La parte migliore di tutta la raccolta però, più delle singole storie, dei disegni e dei colori, sono le foto di Nicola Bernardi. Ciascun fumetto è infatti preceduto da un mezzo busto della persona che l’ha raccontato, che spicca su uno sfondo completamente nero grazie all’ottimo bilanciamento luminoso. Volti sorridenti, speranzosi, tristi, preoccupati, sorpresi, nascosti e l’elenco degli aggettivi utili a descrivere gli sguardi dei trentadue narratori potrebbe continuare a lungo . Focalizzandosi sullo sguardo catturato e intrappolato nel libro si ha la percezione decisiva di quanto quei viaggi, quelle storie e quelle speranze appartengano a dei reali esseri umani, a delle persone che in quanto tali si aggrappano alla vita con tutta la forza di cui dispongono nonostante tutto. Proprio qui, secondo me, risiede il colpo di genio di Storiemigranti: i racconti non sono firmati da nomi ma da sguardi.
In genere ogni narrazione porta con sé almeno un nome: quello del protagonista o quello dell’autore, anche se spesso compaiono entrambi. Un articolo di giornale, una poesia, un’opera epica o una semplice storia come “C’erano una volta Simone e Nicola” ha con sé l’etichetta che permette di rintracciarla facilmente, così come si fa con le persone, identificate dal proprio appellativo.
L’unico problema è che, abituati come siamo ad ascoltare racconti fin da piccini, è un attimo iniziare a confondere realtà e finzione. Così una storia che non ci tocca da vicino, se troppo drammatica o scomoda, si trasforma velocemente in un qualcosa di verosimile (e perciò di non reale) dal quale è più facile prendere le distanze. Scegliere di firmare le storie con un volto e con uno sguardo concreto sfavorisce il distacco, perché l’etichetta identificativa non è più un nome, fatto di lettere o simboli, ma un insieme di elementi quali occhi, naso, bocca, muscoli contratti, segni del tempo, del sole, della paura e della speranza, che esistono davvero qui e oggi.
Tutto questo è Storiemigranti, il fumetto edito da Feltrinelli e uscito in libreria lo scorso 9 maggio. Le 144 pagine alternano nel lettore momenti di risate ad attimi di occhi lucidi, fornendogli uno spunto di riflessione che possa favorire il dialogo e l’accettazione del prossimo.
Ecco quindi che si conclude un’altra delle storie di Nicola e Simone, che nell’ottobre 2018 hanno deciso di intraprendere una nuova avventura e di raccontarne altre trentadue in Storiemigranti. L’obiettivo è chiaro: lanciare un messaggio di sensibilizzazione rivolto a tutti quanti per ricordare, là dove servisse, che tutti gli esseri umani, prima di essere numeri, dati statistici, “immigrati” o “migranti”, sono persone con una storia da raccontare.