Site icon N3rdcore

Quanto era diverso il mondo del cinema nel 2000?

A vent’anni di distanza viene da chiederselo: qual era lo stato del cinema nel 2000, nel momento di passaggio da un decennio all’altro, da un secolo all’altro, da un millennio all’altro? Ci sono state promesse mantenute? E quanto è cambiato da allora?

Facciamo un attimo il punto per chi se lo fosse perso o per chi, semplicemente, non c’era.

I grandi successi

Partiamo da un dato reale: il botteghino. Se fate un salto su uno dei siti più autorevoli (tipo Box Office Mojo) che analizza le entrate e le uscite dei film, potrete scoprire i maggiori incassi dell’anno 2000 a livello mondiale. Partiamo da questo dato, quindi.

Il film che più ha incassato è stato Mission: Impossible 2, il capitolo che seguiva il film di Brian De Palma, stravolgendone le regole e diventando espressione diretta delle esigenze autoriali del regista John Woo. Ecco, questo potrebbe indicarci qualcosa di interessante, che al momento non è riscontrabile nelle grandi saghe contemporanee (vedi Star Wars). All’epoca, ma anche prima, alcune saghe erano la piattaforma ideale per far sì che autori differenti declinassero quell’universo narrativo in funzione delle proprie esigenze autoriali.

Pensate ad Alien, a come ciascun capitolo sia intrinsecamente legato ai registi dei singoli film. Ecco, De Palma con il primo Mission: Impossible aveva espresso un cinema fatto di traiettorie, di incroci, di sguardi, incastonandolo nel genere action/spionistico. Woo, al contrario, si portava dietro il suo bagaglio culturale intriso di Wuxia, il cappa e spada. E come aveva fatto con il monumentale Face/Off, così aveva fatto con Mission: Impossible 2, regalandoci momenti di poetica sospensione, cinema adrenalinico che era danza. Mi pare che questa tendenza, oggi, non ci sia più, in favore di un appiattimento narrativo che regala sicurezza e rischia ben poco.

Al secondo posto di questa classifica c’è Il Gladiatore, l’opera-spettacolo di Ridley Scott. Su queste traiettorie di forti immaginari, di visioni all’eccesso, si ponevano le basi per il futuro del cinema mainstream: cinema irreale, antistorico, concettualmente basso ma visivamente enorme.

Al terzo posto troviamo Cast Away di Robert Zemeckis, uno di quegli autori che ha lavorato alacremente, sulla scia di Spielberg e della Nuova Hollywood, per coniugare cinema d’autore con intrattenimento. Zemeckis, che continuo a ritenere un autore gigantesco, restituiva con Cast Away una complessità esistenziale che, tra le sue maglie, analizzava la società capitalista, l’ossessione del tempo, il labile confine fra sogno e realtà, quindi fra cinema e spettatore. Bellissimo, incompreso, ottenne un grande successo. Sarà uno degli ultimi grandi successi di Zemeckis. Peraltro quello stesso anno, il papà di Ritorno al futuro era uscito con un altro film, teorico e citazionista, Le verità nascoste.

Il cinema supereroistico si affacciava timidamente con X-Men di Bryan Singer, un’opera assai distante da quelli che saranno i canoni Marvel (o DC) di oggi, ma c’era anche chi, la figura del supereroe, la riproponeva rivoltata come un calzino, in una forma intimista e iperrealista: Shyamalan con Unbreakable realizzò uno dei suoi film più belli, tra i più intensi e intelligenti. Da allora sono cambiate molte cose, soprattutto per Shyamalan che ha vissuto un periodo di esilio autoriale, ma Glass dell’anno scorso dimostra come l’autore indo-americano sia legato a un cinema-pensiero molto specifico e non sempre compreso.

Il cinema di genere

Come stavano, nel 2000, l’horror, la fantascienza, il fantasy? Vediamolo insieme.

David Twohy diresse Pitch Black, un B-Movie veramente ben fatto, con un protagonista azzeccato e visivamente accattivante. De Palma girava un film strano ma comunque affascinante come Mission to Mars, alternativamente usciva, sempre ambientato su Marte, il dimenticabilissimo Pianeta rosso. Il 2000 fantascientifico sforna anche uno dei peggiori film della storia, Battaglia per la Terra ma anche film come Supernova e Il sesto giorno. Insomma, la fantascienza, all’epoca, non se la viveva bene e fortunatamente oggi questa tendenza è cambiata anche grazie a un lavoro di riabilitazione che trova le sue fondamenta nella letteratura. Il miglior film di fantascienza, Pitch Black escluso, è Space Cowboys, che non è propriamente fantascienza, ma di questo parleremo dopo.

Horror: come si diceva, Le verità nascoste di Zemeckis citava Hitchcock e, al tempo stesso, faceva paura. Usciva la director’s cut di L’esorcista di Friedkin; Sam Raimi, maestro dell’horror splatter degli anni Ottanta, dimostrava la sua stanchezza con TheGift e Tarsem Singh si sbizzarriva in The Cell, salvando con la sua visione un film altrimenti dimenticabile.Per il resto, l’horror non se la passava benissimo: Final Destination, Lost Souls, The Calling, tutte cose che non sono rimaste nella storia né hanno inciso nell’evoluzione del genere. Nota di merito per American Psycho, che rappresentò un punto di vista interessante. In Giappone spopolava, sulla scia di Ringu, il genere noto come J-Horror e Ju-on di Takashi Shimizu ne fu un buon esempio.

Al fantasy andava decisamente peggio: il 2000 non registra nulla di significativo, solo il film Dungeons and Dragons, terribile con buona pace del boss Lorenzo Fantoni (no no, era veramente una roba irricevibile Nd Lorenzo). Era una stasi temporanea: l’anno dopo sarebbero usciti il primo capitolo de Il signore degli anelli jacksoniano e di Harry Potter.

Il cinema d’autore

Il cinema d’autore, nel 2000, ha vissuto un periodo straordinario i cui effetti si possono sentire ancora oggi. È stato un periodo di transizione, una sorta di rito di passaggio in cui i “vecchi” grandi autori salutavano per lasciar spazio ai nuovi.

Wim Wenders, per esempio, ha diretto The Million Dollar Hotel, film anomalo ma in qualche modo vicino all’universo cinematografico di Wenders, imperfetto, un cantico funebre al cinema che fu. Oliver Stone, esaurita la sua forza politica, realizza Ogni maledetta domenica, forse l’ultimo suo grande film. De Palma, come già detto, gira Mission to Mars che è assai distante rispetto ai canoni a cui ci aveva abituato; Woody Allen è, forse, nel suo periodo peggiore realizzando Criminali da strapazzo, salvo riprendersi qualche anno dopo rilanciandosi verso un periodo d’oro che inizierà con Match Point.

Di questa generazione, l’unico a dimostrarsi ancora ricco di soprese, teso verso un cinema sempre più lucido e maturo è Clint Eastwood che con Space Cowboys realizza un bellissimo discorso sulla vecchiaia e una riflessione sulla vita in generale che ancora oggi, a vent’anni di distanza, riecheggia per meraviglia.

Una nuova generazione di autori si sta affacciando e questi, in qualche modo, segneranno in maniera indelebile il cinema del futuro. Lars von Trier dirige Dancer in the Dark, musical atipico che vive di tutte le traiettorie folli eppure brillanti del regista danese. I fratelli Coen girano Fratello, dove sei?, reinterpretazione geniale dell’odissea di Omero e anche dei loro film più riusciti, sebbene dimenticati. È un film compres(s)o tra due capolavori come Il grande Lebowski e L’uomo che non c’era, eppure merita una nuova rivalutazione.

Gus Van Sant firma Scoprendo Forrester, il suo film più debole, quello in cui si concede troppo alla Hollywood che ha sempre cercato di fratturare con le sue opere underground. Era solo un momento: mancava poco alla Trilogia della Morte iniziata con Gerry e proceduta con Elephant e Last Days. Steven Soderbergh dirige Erin Brokovich, forse il film con cui ha avuto più successo, si potrebbe dire quello più commerciale, eppure splendido cinema di denuncia, sempre brillante.

Infine tre autori che, ancora oggi, lavorano su un crinale che sta definendo il cinema autoriale contemporaneo. A parte Shyamalan, c’è da segnalare il Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, autore che non è mai riuscito a entrare nelle grazie di pubblico e critica ma che, come la sua filmografia dimostra, è sempre attento a un cinema delle idee che sia in grado di riconsiderare il concetto di visione: The Wrestler, Il cigno nero, Madre!.

Paul Thomas Anderson gira Magnolia, opera enorme (per durata e aspirazioni), imperfetta ed eccessiva come tutto il suo cinema, eppure necessaria. Infine Christopher Nolan gira Memento, con cui inaugura (se si esclude il suo esordio Following) un meraviglioso percorso autoriale che, tuttora, sta ridefinendo il nostro modo di intendere la Settima Arte.

A Oriente, le forze innovative spingono senza sosta. Alcune riescono ad arrivare in Occidente, trovando fortuna. È il caso di La tigre e il dragone di Ang Lee, addirittura al diciannovesimo posto per incassi nel mondo. Takeshi Kitano vive il suo apice dirigendo Brother negli USA e recitando in Battle Royale. Infine Edward Yang realizza Yi Yi - … E uno… E due, splendido dramma esistenziale ambientato a Taipei.

L’animazione

Negli Stati Uniti l’animazione viveva un periodo non florido. La Disney era bloccata da un vuoto di idee che si ripercuoteva anche sul piano dell’innovazione: Le follie dell’imperatore e Dinosauri dimostrno tutta la pochezza della casa di Topolino (ok, qua mi hai fatto male Nd Lorenzo). La vera rivoluzione, in quel periodo, era da un’altra parte: la Pixar l’anno prima aveva prodotto Toy Story 2 e l’anno successivo avrebbe sfornato un piccolo capolavoro, Monster & Co.

Le case di produzioni rivali (Dreamworks, Fox) non si trovano in una situazione diversa: se si esclude La strada per Eldorado, Titan A.E. è un pallido tentativo di creare qualcosa di nuovo senza distaccarsi da dinamiche cinematografiche già note. La bellissima animazione a passo uno di Galline in fuga di Peter Lord e Nick Park o la delicatezza di Principi e principesse di Michel Ocelot sono le punte di diamante dell’animazione occidentale dell’epoca. Fortunatamente, da questo punto di vista, le cose sono radicalmente cambiate e oggi l’offerta è nettamente più variegata e ricca.

Dove, invece, l’animazione eccelleva era, strano a dirsi, in Giappone. Di quell’anno consiglio in particolare Blood: The Last Vampire di Hiroyuki Kitakubo (per la presenza massiccia in fase concettuale di Mamoru Oshii) e Vampire Hunter D: Bloodlust del grande Yoshiaki Kawajiri. Ci aggiungo anche Digimon – il film, per un motivo semplice: è stato l’esordio di un autore che sarebbe, con il tempo, diventato tra i più importanti nell’animazione contemporanea, Mamoru Hosoda.

Questa lunga e per forza di cose riduttiva carrellata sull’annata cinematografica del 2000 ci dimostra come in un periodo in cui le direttrici del cinema erano assai diverse rispetto a quelle di oggi si stavano, in realtà, ponendo le basi per l’audiovisivo che sarebbe stato e, parzialmente, per le contaminazioni mediatiche che ne sarebbero conseguite.

Exit mobile version