E fu allora che vidi il Pendolo
Come imparai a non avere paura e amare la Rosa (Croce). Il racconto di come iniziò la mia storia d'amore con il Pendolo di Foucault di Umberto Eco.
Una delle domande oziose da giornale culturale in stagione estiva è: quale libro vorresti con te naufragando su un’isola deserta? Non avrei molti dubbi al proposito: Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco. Ma sulla motivazione è bene spendere alcune parole, e raccontare del difficile avvio di una lunga storia d’amore.
Il Pendolo di Foucault è del 1988. All’epoca avevo dodici anni, e per me il romanzo passò totalmente inosservato. Invece, in casa nostra c’era – inevitabilmente – il Nome della Rosa. Il film di Annaud del 1986 mi aveva blandamente incuriosito per via della presenza di Sean Connery, che ovviamente conoscevo per via di 007 (i film classici, all’epoca, venivano trasmessi abbastanza a ripetizione in tv): l’avevo visto qualche anno dopo, in videocassetta, senza particolari entusiasmi. Non ho mai giocato il videogame, un po' mi spiace (della serie tv ho scritto qui).
Invece, in prima superiore mi capitò la fortuna di un docente di lettere molto bravo e molto esigente sulle cose che mi riuscivano senza grosso sforzo: ad esempio, un numero e una tipologia di letture extrascolastiche fuori scala per una prima superiore di un liceo di provincia (oltre al programma, era normale per lui consigliare e dare per scontata la lettura di uno o più romanzi settimana). Lessi così, tra gli altri, il famoso Nome della Rosa. E rimasi affascinato. Incredibile: un libro poteva essere davvero meglio del film corrispondente.
Naturalmente, perfino nella biblioteca maledetta non ero andato oltre al primo livello del videogame: avevo riconosciuto la citazione di Holmes, ma mi ero limitato a leggere il tutto come un buon giallo di ambientazione medioevale.
Ne volevo ancora. Abituato alla prolificità di Asimov, King, Lovecraft, Poe e compagnia scrivente, restai stupito nel notare che ci fosse solo un altro romanzo di quell’autore nemmeno poi così giovane. Batteva la fiacca, Eco.
Comunque, mi procurai il libro, con una certa perplessità dei miei genitori, che a ragione lo ritenevano piuttosto complesso per la mia età. Ma mi salvò il fumetto.
Dylan Dog era esploso quando ero alle scuole medie ed era un must anche per chi ostentava disinteresse verso qualsivoglia aspetto della cultura. Ma a Dylan Dog, che preferivo per tipo di scrittura, naturalmente (Sclavi aveva creato una trappola mentale per adolescenti perfetta), avevo da tempo affiancato il fratello maggiore, Martin Mystere, in cui Alfredo Castelli ha convogliato le stesse identiche tematiche frullate da Eco nel Pendolo. Templari, rosacroce, uomini in nero, massoneria, complotti, esoterismo, linee di ley.
Naturalmente, il Pendolo di Foucault è molto di più che un perfetto romanzo esoterico. Eco vi convoglia tutta la sua polemica semiotica sulla sovrainterpretazione, e tramite la griglia dell’occultismo legge anche le evoluzioni politiche di quegli anni. Aglié è certo un grande vecchio esoterico come Rol, ma è anche una metafora di Gelli e delle sue trame molto più concrete. Di tutto questo mi importava inizialmente poco.
L’effetto del romanzo fu ugualmente dirompente. Tutte le teorie che avevo acquisito, in forma sparsa, sui fumetti, nei film confluivano in un solo filone coerente, in una sorta di grande avventura di Martin Mystere portata all’ennesima potenza, che poteva divenire anche una sorta di libro di testo alternativo.
Mind-blow.
Eco mi aveva spalancato un modo.
Al tempo stesso, credo di poter dire senza troppa ironia che Eco mi abbia salvato. Nel presentare l’enorme fascino che l’esoterismo può avere su molti, se non su tutti, gli umanisti, inseriva la giusta ironia relativistica nel mettere in discussione il gigantesco castello che aveva creato.
“La cultura ufficiale non ne parla”, per citare un motto caro ai complottisti. Per i miei prof, in prevalenza di impianto marxista, erano fole per minus habens di destra. Per il mondo cattolico postconciliare che mi circondava, era roba in fondo quasi satanica. Eco riconosceva il fascino dell'esoterico – e, vistosamente, lo provava – ma al tempo stesso metteva in guardia dai suoi pericoli.
Non divenni un cultista, e di questo devo essere grato a Eco. Divenni però un cultore, questo è innegabile. Recuperai tutto quanto poteva avere attinenza col tema.
Lo trovai deludente, è chiaro. Ma Eco mi aveva fornito una griglia di lettura. La noiosità di Evola recuperato in biblioteca, la banalità dello pseudosaggio sul Graal recuperato su una bancarella, il geniale esoterismo pop di X-Files: tutto poteva rientrare in un grande gioco di corrispondenze. Nessuna lettura è totalmente sprecata, se può entrare nel piano.
Lessi anche l’Eco saggista, incluse le opere più ostiche. Non era paragonabile ovviamente al Pendolo, ma ci ritrovavo il piacere di una scrittura brillante che tesseva collegamenti sorprendenti. Mi piaceva di più qui rispetto ai romanzi – li comprai e lessi tutti all’uscita, ovviamente – in cui il confronto col Pendolo era per me impietoso.
E, naturalmente, iniziai a scrivere. Se prima mi ero orientato su una confusa e vaga fantascienza cyberpunk, il modello del Pendolo, mastodontico, era inaccessibile. Ma non quello delle Bustine di Minerva. Ancor di più da quando la rete iniziò a fornire a tutti un gigantesco Speaker’s Corner.
In parallelo, iniziando Lettere e ampliando i miei orizzonti letterari, ridimensionai in parte il Pendolo di Foucalt da capolavoro assoluto del Novecento a ottimo, stratificato e complesso romanzo postmoderno. Ma la razionalizzazione non cambiò di una virgola il culto irrazionale. Come compravo ogni mese il Dylan Dog in edicola, anche nel periodo in cui aveva smesso di piacermi (ci fosse una linea editoriale più stimolante potrei provare a scriverne, mi dicevo), così continuavo a giocare il gioco del Pendolo di Foucault: leggere la cultura pop alla ricerca di simboli e trame nascoste per gioco, con ironia, senza mai cadere del tutto nell’abisso della sovrainterpretazione.
Umberto Eco, quando gli si chiedeva quale libro avrebbe portato con se naufragando su un’isola deserta, raggelava il giornalista alla ricerca di facezie estive replicando: l’elenco telefonico. E poi argomentava: avrei infiniti personaggi e ambientazioni con cui inventarmi storie per il resto del tempo. Ecco: per me quell’elenco telefonico è il Pendolo di Foucault: il vero elenco telefonico d’Atlantide. E da allora non ho ancora smesso di telefonare.