"Pelle d'uomo" di Hubert-Zanzim: viaggio nel corpo dell'Altro
"Pelle d'uomo" di Hubert e Zanzim racconta le differenze di genere sullo sfondo di una immaginaria città del Rinascimento italiano.
“Pelle d’uomo” di Hubert e Zanzim, recentemente edito da Bao con la traduzione di Francesco Savino, è un’opera di estremo interesse sia per i temi che tratta, sia per il modo di svilupparli. L'opera, l'ultima dello sceneggiatore Hubert Boulard, viene a costituire quasi un suo testamento spirituale, ed è stata accolta con grande interesse da pubblico e critica in ambito francese, vincendo la maggior parte dei premi di settore.
Il titolo, fedele alla versione originale, Peaux d’Homme, chiarisce subito il tema, aiutato dalla efficace copertina: la protagonista, Bianca (che in tutto il racconto è effigiata come eccezionalmente candida di pelle) è una fanciulla rinascimentale data in sposa giovanissima, come d’usanza, che eredita una magica “pelle d’uomo” di famiglia che le consente di tramutarsi in maschio e provare, solo prima del matrimonio in teoria, cosa si provi nella pelle (letteralmente) dell’altro sesso.
La pelle è fatata quindi la trasmutazione è reale – notevole la sequenza di p. 18, che riesce a essere graficamente esplicita senza cadere nel volgare, e non era facilissimo – e non un semplice “travestimento” (preso gusto, Bianca opererà anche questa scelta, quasi a rimarcare però che è l’esplorazione di due modalità differenti). L'esplorazione della fluidità dei generi è un tema che ultimamente sta trovando ampio spazio nel fantastico, in particolare in fantascienza (vedi qui) ma non solo.
Appare logico quindi che tocchi anche il fumetto, e anche nell'ambito non strettamente realistico.
La metafora fiabesca funziona molto bene, ed è evidente l’attualità del tema, in un periodo storico che sta vedendo compiersi trasformazioni radicali nella percezione del genere e, tendenzialmente, una maggiore graduale comprensione della sua fluidità.
Una trasmutazione, tuttavia, che ha le sue radici profonde, e che probabilmente, in Occidente, affondano nel complesso processo del Rinascimento, che non riportò in vita una maggiore libertà presente (in modo non omogeneo e ovviamente non a-problematico: e questo fumetto ne sa rendere ragione) nell’età classica.
Nel mondo classico vi erano numerosi casi di trasmutazione dal maschile al femminile, sia nella forma del mascheramento, sia in forma di trasformazione magica (o forse, meglio, iniziatica).
Eracle, vinto da Onfale, è costretto a vestire abiti femminili, come Achille viene fatto vestire abiti da donna dalla madre Teti per nasconderlo ad Ulisse che lo cerca per la guerra contro Ilio. Ma c’è anche, appunto, la trasmutazione vera e propria: Atena appare spesso ai mortali con aspetto maschile, mentre l’indovino Tiresia viene tramutato in una donna e vive sette anni in un corpo femminile.
Ma il Rinascimento, sulla base di queste sviluppò una nuova sensibilità ancor più radicalmente libera che apre per la prima volta le porte a sensibilità che solo oggi iniziano a divenire universalmente riconosciute (e non ancora altrettanto universalmente accettate). Pensiamo al culto di Ermafrodito, che ha basi classiche, ma che nel Rinascimento ispira l’alchimia, che ha come scopo allegorico la creazione del Rebis androgino.
“Pelle d’uomo” ha quindi da un lato la libertà del fiabesco (ci sembra quasi evocare, per tramutarla, “Pelle d’asino”, fiaba di tradizione francese narrata da Perrault), ma dall’altro riflette in modo credibile su un processo storico.
La città è chiaramente ispirata alla Firenze dei Medici: non a caso la pelle si chiama Lorenzo e frate Angelo è abbastanza scopertamente ispirato a Savonarola, anche se la fine è più indulgente.
Anche il suo nome parlante è raffinato: Angelo vuole infatti la donna “angelicata”, imprigionata in una gabbia di cristallo creata sia dalla tradizione ecclesiastica che da quella laica. Bianca risponderebbe a questo stereotipo esteriormente, ma vi si ribella – non senza sforzi contraddizioni – e incrina gradualmente il monolitico potere patriarcale di padre Angelo.
Il segno stilizzato ed elegantissimo di Zanzim si presta bene ad evocare un certo gusto da tardo-gotico fiammeggiante, esplicitamente richiamato nei frontespizi dei vari capitoli dell’opera e nel disegno del risguardo (la pagina immediatamente dopo la copertina, anche detta guardia).
Naturalmente, rispetto a un segno gotico quello di Zanzim stacca tuttavia per l’incredibile leggerezza delle figure, che si muovo con incredibile ariosità sulla tavola. Anche le cromie scelte evocano – non pedissequamente – le tonalità di certi libri d’ore istoriati, un sorta di “etimologia visiva” che favorisce l’immersione nella trama.
A tratti, in ambito cartoonistico, viene in mente la Principessa Sapphire del “dio dei manga” Osamu Tezuka, che presenta un tema simile in un medioevo ancor più fiabesco (e, in seguito, tale tema sarà sviluppato da Ryoko Ikeda ne “La rosa di Versailles”, ambientandolo nella rivoluzione francese con la figura di Lady Oscar, con un segno però meno stilizzato e più “realistico” all’interno del segno nipponico).
Una soluzione brillante di "Pelle d'uomo", molte volte, è quella di splash pages in cui i protagonisti si muovono liberamente, con la ripetizione più volte della stessa figura (p.6); soluzione adottata anche in certe vignette oblunghe (p.11).
Una tecnica legata, qui da noi in Italia, alle scelte di De Luca nei suoi fumetti shakespeariani, e che di nuovo De Luca riprende da alcuni dipinti rinascimentali.
Tali citazioni visive, se pure sono tali, non appesantiscono il discorso in modo “erudito” limitandosi ad un efficace effetto quasi subliminale. La città alle soglie del rinascimento appare così come un vitalistico labirinto (p.21) dove le vite si possono intrecciare modificando almeno in parte le rigide gerarchie prefissate.
Molto efficaci anche tavole totalmente smarginate dove ci si concentra sul movimento dei personaggi, evidenziando come la costruzione del maschile e del femminile passi anche tramite la prossemica dei movimenti, la diversa e non casuale occupazione dello spazio.
Il segno mobilissimo, vibrante della storia rende godibilissime e chiare sequenze come p. 19 e molte altre, dove tale riflessione corporea si fa precisa e accurata (c’è anche un piccolo excursus sulla significativa bizzarria – ai nostri occhi oggi - del sospensorio).
La forza della storia emerge così in tutta la sua potenza.
Bianca, come detto, all’inizio di "Pelle d'uomo" è candida, quasi come il Candide volterriano che sempre chiuso nel suo castello si trova a comprendere come va il mondo una volta scaraventato in esso. Un’esperienza che Bianca può fare solo con la pelle del suo alter ego maschile, e imparando oltre al resto anche l’esistenza di una diversa “città notturna” sotto quella solare apparentemente ancora legata alla cupa cappa della penitenza religiosa. Una libertà che scorre nella scena artistica, e di nuovo il parallelo con la Firenze pittorica e neoplatonica è forte, ma che lambisce tutti gli strati sociali in una battaglia tra “Carnevale” e “Quaresima” che cova sotto la cenere.
La predicazione di Angelo si struttura con meravigliosi (nella forma: il contenuto è terribile e malvagio) cartigli medioevaleggianti, quelli che hanno anticipato le vignette fumettistiche.
Sembra quasi di cogliere un influsso degli studi di Smolderen (e altri) sul protofumetto, per cui i cartigli sono bloccati, etichette e non vere parole, contrapposti alla libertà dell’”ectoplasme”, la nuvoletta che rappresenta realmente un suono. In ogni caso è evidente che qui mettono in scena la contrapposizione tra la parola che condanna e quella che libera, in modo molto efficace.
La raffinatezza di "Pelle d'uomo" sta anche in una certa poliedricità critica: perfino Bianca e la sua madrina (che ha il ruolo dell’aiutante magico delle fiabe, che è spesso appunto Fata Madrina) non sono personaggi integralmente positivi, ad esempio nel modo sprezzante con cui la seconda tratta i poveri, senza che la prima prenda le distanze; e nel finale ci sarà una ulteriore svolta che mostra la complessità del reale, superando la pura allegoria fiabesca.
Si implica come, in questo contesto e non solo, la storia di liberazione di Bianca in fondo rimanda anche a un privilegio di classe.
Il sopravvento di Angelo porta a una nuova ondata penitenziale che allenta la fragile libertà concessa, e che si scaglia soprattutto contro l’elemento femminile, anche se gli stessi “piagnoni” (il nome tecnico dei seguaci di Savonarola, che qui appaiono in forma pressoché identica, nelle loro vesti lugubri, al seguito di Angelo) partecipano poi spesso, ipocritamente, alla città della notte e ai suoi eccessi gioiosi.
Più "Pelle d'uomo" prosegue, più si rende evidente lo scontro Angelo / Bianca-Lorenzo, man mano che questa non si accontenta più di ritagliarsi piccoli spazi segreti ma decide di reagire.
Brillante anche il finale, che non sveliamo, ma che è coerente con la riflessione impostata.
Insomma, un albo che affronta con delicatezza tematiche importanti, e che al tempo stesso evita il rischio di noiosi didascalismi con una narrazione per immagini fresca e coinvolgente, invitando il lettore a mettersi idealmente, qualche volta, nel corpo dell’altro, per capirne il punto di vista e la diversa sensibilità.