Oltre ai carnotauri c'è di più – Recensione Kids with guns 3: Coda
Il terzo volume di Kid with guns, fumetto di Capitan Artiglio edito dalla Bao Publishing, porta la saga alla sua naturale conclusione.
Kids with guns
Kids with guns
Taking over
But they won’t be long
They’re mesmerized
Skeletons […]
In questa prima strofa della canzone dei Gorillaz si possono già trovare le principali suggestioni che fungono da base per Kids with guns di Capitan Artiglio, di cui è di prossima uscita il terzo e conclusivo volume, Coda. L’omonima canzone della band inglese è solamente uno dei tanti riferimenti che possiamo trovare nella saga dell’autore torinese, ma di certo è una delle ispirazioni principali. Le tematiche della canzone fanno da sottofondo all’intera vicenda dei fratelli Doolin, della Bambina senza nome e di tutti i personaggi che hanno avuto un ruolo nelle vicende narrate.
I bambini a cui si riferiscono i titoli di entrambi i lavori hanno molte cose in comune.
Sono bambini il cui destino è ereditare una terra un tempo idilliaca e fondata su determinate scale di valori, caduta via via in un decadimento senza fine. Bambini portati a fecondare il caos e la distruzione a causa dei disvalori che hanno imparato a leggere come normali. Bambini, insomma, che impugnano armi come gli adulti, senza essere in grado di gestirle.
Proprio come gli adulti.
I Kids with guns di Capitan Artiglio si muovono in un mondo già andato in malora, una terra quasi completamente desertica in cui tante città somigliano a delle enormi baraccopoli, in cui vige la legge del più forte e, proprio per questo, sono costretti a crescere il più velocemente possibile.
Il lavoro più impegnativo svolto dall’autore nella stesura di questi tre volumi è rinvenibile proprio nella costruzione del mondo in cui hanno luogo gli eventi, con le sue regole, la sua mitologia, le popolazioni che lo abitano, le atmosfere che mescolano il western con il punk con la cultura di strada. Il tono che Capitan Artiglio ha voluto dare al suo mondo è l’attrazione principale di questa epopea ancestrale.
L’autore ha costruito un enorme parco giochi che fosse a misura sua e della storia che intendeva raccontare, inserendo al suo interno ogni sorta di riferimento culturale con cui si è formato. In questa operazione il suo particolarissimo stile grafico (che, guarda un po’, deve tanto all’estetica dei Gorillaz) ha indubbiamente dato al tutto una (ma anche due) marce in più.
Videogiochi, dinosauri, arti magiche, antiche civiltà, scontri a fuoco fra banditi, vecchi cartoni animati, sono tutti piccoli pezzi di un enorme puzzle di cui si riesce ad ammirare la complessità passo dopo passo.
E più ci si allontana più si riesce a vedere il disegno d’insieme.
Anche in questo si nota il minuzioso lavoro di preparazione, considerando il fatto che il rischio di creare una miscela
in cui la forma valesse più del contenuto era molto alto, ma Capitan Artiglio è riuscito a gestire ogni elemento alla perfezione.
Dopo aver messo ogni tassello al proprio posto nei primi due volumi, in Coda Capitan Artiglio tira le fila di tutte le questioni imbastite, conducendoci mano nella mano verso l’inevitabile “scontro finale” che, a discapito dell’ambientazione filo-western si rivela essere di scala molto più ampia del classico scontro a due degno di un mezzogiorno di fuoco qualsiasi. La struttura perfettamente tripartita degli eventi, trova il suo apice proprio in questo terzo volume, in cui ogni caratterizzazione, ogni sottotrama, ogni relazione trova un punto.
Sono tanti i personaggi messi in campo ed ognuno ha il suo momento di gloria, il suo ruolo ben definito nell’economia del racconto.
Dai protagonisti ai membri del Mucchio selvaggio, da Orecchio Assoluto a sua figlia, non ce n’è uno che risulti essere inutile, compresi quelli che appaiono giusto in qualche tavola.
E a proposito di tavole, un’altra scelta interessantissima è stata quella di replicare una dinamica già vista nel secondo volume, ovvero quella di dare alla narrazione visiva, nuda e cruda, tutta la responsabilità di alcuni dei passaggi più cruciali della saga. In Tribe questa direzione era stata data al racconto di alcuni passaggi fondanti nella crescita della Bambina senza nome, in Coda è la battaglia finale a ripulirsi da dialoghi che, in quel contesto, sarebbero risultati ridondanti.
È la sublimazione del disegno, della dinamicità del tratto, a rendere la conclusione del racconto perfettamente in linea con il tono utilizzato sino a quel momento. D’altronde in tutti e tre i volumi Capitan Artiglio imprime una direzione ben precisa al lato visuale. Forte dinamicità, disegni e personaggi che spesso escono dai confini della tavola, vignette che si sovrappongono e che in ogni caso, non sono quasi mai uguali per dimensioni le une alle altre.
Tutto ciò serve non solo a dare un tono molto personale alla narrazione visiva ma anche a fare in modo che i confini naturali della pagina sembrino adattarsi alla materia della narrazione.
In alcuni passaggi di questo terzo volume si ha la sensazione che il piede sia premuto un po’ troppo sull’acceleratore, che alcune parti siano trattate con troppa superficialità. È una chiara decisione autoriale, lo si intuisce dalla direzione che prende la narrazione e dal ritmo che sin da subito viene imposto allo svolgersi degli eventi, ma in qualche frangente resta comunque una sensazione di disorientamento. Non basta questo, però, a rendere meno epica non solo questa conclusione ma, come dicevo prima, l’intera saga della Bambina senza nome e dei fratelli Doolin. Una saga dalle dimensioni epiche ma nella quale, paradossalmente, la dimensione familiare ha un’importanza fondamentale.
La canzone Kids with guns dei Gorillaz partiva da una visione pessimistica del futuro (di un futuro), nel lavoro di Capitan Artiglio, invece, i bambini hanno imparato a maneggiare le loro armi, non si sono arresi al decadimento di ciò che li circondava.
E hanno conosciuto l’amore, l’amicizia, il concetto di famiglia e di relazione. Con giusto un pizzico di violenza in più.