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In Giappone, se sei single, Tinder te lo passa il comune

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Se ci sono degli studenti che dopo tanti anni non hanno smesso di stupirmi, quelli sono i giapponesi. In classe sono i più silenziosi, educati, attenti. Quando non conoscono una parola non te la chiedono perché sono troppo timidi: piuttosto la cercano sul loro dizionario-computerino, dando spesso il via a situazioni esilaranti. Come quando un ... In Giappone, se sei single, Tinder te lo passa il comune

Se ci sono degli studenti che dopo tanti anni non hanno smesso di stupirmi, quelli sono i giapponesi.

In classe sono i più silenziosi, educati, attenti. Quando non conoscono una parola non te la chiedono perché sono troppo timidi: piuttosto la cercano sul loro dizionario-computerino, dando spesso il via a situazioni esilaranti.

Come quando un giorno chiesi se, nei vari paesi, esistessero modi di dire basati sul binomio aggettivo-animale, come “testardo come un mulo” o “sano come un pesce”. Yumika, diligente studentessa di Kyoto, digitò qualcosa sul suo computerino con dizionario INGLESE/ITALIANO, alzò la testa tutta soddisfatta ed esclamò: “in Giappone diciamo Sei superbo come il cazzo”. Perfetto, la cara Yumika si era fermata alla prima traduzione di cock, passando, così, dal gallo al fallo.

Loro sono quelli che mi affascinano con la loro cultura fatta di vita frenetica e meditazioni al tempio: lavorano come matti ma poi hanno anche il tempo di cantare al karaoke, come in Aggretsuko, geniale cartone animato in cui una piccola e remissiva femmina di volpe rossa viene vessata dal capo e dai colleghi in ufficio ma poi la sera si sfoga urlando canzoni death metal.

 

L’ultima storia che mi ha affascinato me l’ha raccontata Eiko, paffutella pianista con la passione per il badminton a cui faccio lezione su Skype.

Eiko abita nella prefettura di Tochigi e mi ha raccontato che un paio di anni fa il governo centrale si è accorto che quella era la prefettura con meno matrimoni e meno nascite. Allora hanno deciso di istituire un ufficio comunale che si occupasse esclusivamente di “abbinare” i single in base ai loro gusti e interessi con il fine di farli sposare e procreare.
In giapponese si chiama Omiai, e su Wikipedia si può leggere che è una pratica antica di matrimoni combinati, ma che ancora esiste tra le famiglie che cercano per i figli il classico buon partito.

La parola Omiai significa molto romanticamente guardarsi negli occhi, ma in questo caso è un gigantesco Tinder organizzato dallo Stato.

La parola Omiai significa molto romanticamente guardarsi negli occhi, ma in questo caso è un gigantesco Tinder organizzato dallo Stato. Eiko è andata in questo ufficio con un'amica: ha lasciato i suoi dati personali, hobby, preferenze, interessi e infine uno pseudonimo per essere contattata dai pretendenti. Qualche giorno dopo l'impiegaTinder l’ha ricontattata per dirle che aveva trovato un potenziale partner per lei e le ha organizzato l’incontro ma senza dare le vere generalità, nel caso in cui la scintilla non fosse scoccata. In realtà si sono piaciuti e al primo incontro ne sono seguiti altri due, in cui si sono potuti dire il nome vero e scambiare i numeri di telefono- E io già me la immaginavo l'impegaTinder che si sfregava le mani, pensando “E vai, anche questa è fatta ahahahah” (risata satanica).

Invece no. Perché lui ha pensato bene di portare Eiko a una partita di baseball e di scolarsi, alle tre del pomeriggio, quattro pinte di birra e due whisky. Quando poi ha voluto riaccompagnarla a casa, lei gli ha dato il benservito, dicendogli che non era in grado di guidare, che era stato maleducato e insistente e così fine della favola.

 

Ma quanto accaduto non l'ha scoraggiata: mi ha detto che a breve tornerà in quell'ufficio e ci riproverà. Chissà se c’è un numero massimo di tentativi, dopodiché ti assegnano un fidanzato d'ufficio. Glielo chiederò.

Per chiudere vorrei parlarvi di una delle cose che mi piacciono di più dei giapponesi: i loro nomi. Hanno tutti un significato meraviglioso e siccome spesso è qualcosa che i genitori si augurano per il futuro dei figli, sono composti dalla parola bambino/bambina associata ad altre come libertà, pace o intelligenza.

Un giorno chiesi a una signora il significato di Honoka, nome dato alla figlia. Mi disse che rimandava al nome della pianta del riso. Io le chiesi perché avesse scelto quel nome. “Perché quando il chicco di riso arriva alla massima maturazione, fa piegare in avanti lo stelo in quanto si trova alla sua estremità. Questo per ricordare sempre a mia figlia che, anche nel momento di maggior successo, dovrà sempre essere umile, inchinarsi e portare rispetto agli altri”.

Chissà come si dice chapeau in giapponese.

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