I Was a Teenage Exocolonist: quando un videogioco ti insegna a crescere
I Was a Teenage Exocolonist ci porta su una colonia dove crescere, non come semplici avatar digitali bensì come persone reali.
Lo spazio è diventato un tema ricorrente negli ultimi anni videoludici, tra progetti usciti e annunci futuri. Per numerose e valide ragioni, cerchiamo le risposte tra le stelle a domande e immaginazioni di ogni giorno, rimanendo affascinati dal reame di possibilità che anche il solo pensare a quei corpi celesti ci offre. Tra lo spazio sogniamo anche di trovare la nostra identità, le giustificazioni ai nostri perché o alle cose che nella vita non ci vanno bene. Ecco, lo spirito della missione di I Was a Teenage Exocolonist è proprio quello di costruirsi una nuova vita su un pianeta sconosciuto, arrivandoci fin da quando si è dei bambini.
Non tanti giochi affrontano la crescita, il dolore e il senso di responsabilità come fa questo piccolo titolo di Northway Games e FINJI ed è un peccato: se tutti lo facessero come Exocolonist, il mondo sarebbe un posto migliore e i videogiochi avrebbero molto di più da donarci che la solita storia di vendetta e amore in un mondo di zombie a spore. Di life sim ne ho giocati molti, passando dalle novel a pietre come Stradew Valley o Rune Factory, ma mai nessuno mi aveva preso come ha fatto I Was a Teenage Exocolonist, tanto da rendermi difficile staccarmi dalla vita su Vertumna.
Se avete letto la nostra intervista alla sua creatrice, Sarah Northway, avrete già idea di che cosa parla Exocolonist, ma in generale possiamo dire che si tratta di un titolo di sopravvivenza sia metaforico che letterale, dove voi sarete un personaggio completamente personalizzabile sia nell’aspetto che nei pronomi. Il “compito” è vivere la vostra vita arrivando ai 20 anni partendo dai 10, seguendo quelle che sono le vostre aspirazioni di vita, idee e relazioni (romantiche e non) con gli altri membri della colonia.
Fin da subito I Was a Teenage Exocolonist ci mostra un character design robustissimo, uno dei migliori presenti sulla piazza. La cura è evidente nel modo in cui ogni personaggio è dotato di una distinta identità visiva che non per forza deve essere caricaturale delle sue idee sulla sessualità o sull’identità legata al singolo, piuttosto sono le convinzioni e le aspirazioni a plasmare i vari “eroi” del racconto, i quali oltretutto si evolvono in tre fasi diverse fra loro. Esattamente come i vostri amici d’infanzia oggi vi paiono l’opposto di quel che erano, così Exocolonst vi fa vivere la realtà di oggi e del domani, dove “corpo” e “io” non sempre corrispondono alla stessa risposta.
Ciò che mi sorprende da un punto di vista visivo è la cura maniacale della parte artistica nel creare uno scenario e dei personaggi credibili seppur quasi al limite del possibile. Ogni elemento immaginifico appare reale, logico e connesso a quelle che sono le dinamiche sociali riproposte nella società del gioco. L’importanza di fauna e flora, ad esempio, diventa uno studio reale che il giocatore deve compiere al fine di capire da sé che tipi di rapporti esistono su questo particolare pianeta, quasi intraprendendo un effettivo viaggio della conoscenza che porta a risposte solo se si è abbastanza determinati a seguirne il sentiero fatto di briciole.
Altresì indagare la tecnologia per incrementare le difese della colonia richiede altri campi di ricerca e con loro tutta una serie di fattori ed estetiche che diventano consequenziali al percorso iniziato. Questa precisione porta a una varietà enorme di possibilità all’interno di Exocolonist ed è senza dubbio la cosa che mi ha lasciato di stucco rispetto a tutto il gioco, poiché nessuna di queste strade perde di profondità rispetto all’altra, tantomeno risulta meno interessante o curata nella scrittura di dialoghi ed eventi.
Grazie a un generoso periodo di prova della versione “finale” del gioco, sono riuscito a godermi più vite con impostazioni diverse sia. Nella primissima ho inseguito l’amore per la scienza e la logica, studiando xenobiologia e innamorandomi della “fredda” Tangent, con cui ho perseguito una relazione romantica. In questo mio primo assaggio mi sono reso conto di quante strade avrei potuto intraprendere se in quei 10 anni di vita avessi interagito di più con specifici personaggi, se avessi coltivato i parametri giusti per fronteggiare una determinata situazione o se avessi esplorato di più fuori dalle mura della città. E ogni decisione è stata dannatamente sofferta quando ha portato a conseguenze non desiderate. Ma in I Was a Teenage Exocolonist tutto non deve andare sempre e solo come volete, alle volte le cose succedono e sfuggono dal nostro controllo perché la vita è così nel mondo reale e quello che potete fare è elaborare i vostri sentimenti e fare del vostro meglio.
La delicatezza con cui il team di sviluppo affronta la perdita dei cari, il lutto e il dover andare avanti anche quando non si vuole è quasi disarmante e, per la prima volta in un gioco, libera di essere elaborata come preferiamo. Possiamo scegliere di prenderci un mese di tempo per piangere e ricaricare le nostre batterie (ogni anno è diviso in periodi di 13 mesi), possiamo scegliere come reagire con chi ci circonda e cosa proviamo, così come possiamo scegliere di ingoiare il rospo, beccarci il malus dell’aver fatto “man-up” ma continuare a lavorare, deteriorandoci alla lunga.
L’onestà delle emozioni, chiamiamola così, di i Was a Teenage Exocolonist è un vento fresco sulla scena videoludica, che fin troppo spesso ha paura di mostrare la fragilità in un senso meramente umano e impacciato, non cinematografico in contesti particolari. Alle volte siamo semplicemente un macello dentro e fuori, fatichiamo a scegliere la reazione giusta e l’istinto è l’unica cosa a guidarci, non delle scelte multiple fluttuanti. Questo il gioco lo sa e a un certo punto impone la natura sull’azione del giocatore, senza però mai strafare.
La colonia infatti si evolve anche senza di noi, chi ci sta intorno prosegue nella sua storia, nei suoi obiettivi e nelle sue relazioni. Capita infatti che dei personaggi finiscano per innamorarsi tra loro o abbiano proprie aspirazioni che realizzano o meno, alle volte questi cambiamenti non vengono neanche mostrati al giocatore se non è di suo interesse, ma ci sono e fanno capolino tra una scena e l’altra. Questo perché, per quanto i filoni da seguire siano decine, la scrittura riesce con astuzia e legare tutto a temi comuni e a far sì che nessun dialogo sia fuori posto, anzi devo dire che le interazioni di I Was a Teenage Exocolonist fanno impallidire nomi ben più illustri del settore, pur declinando il tutto in ambito teen.
Il lato novel però non è l’unico punto che I Was a Teenage Exocolonist azzecca in toto, anzi piuttosto viene espanso da strumenti ludici significativi e anche molto divertenti, oltre che competitivi. Primo fra tutti è il sistema di carte che regola ogni singola “prova” di Exocolonist e che si basa su dei colori da accoppiare in una o più righe in round diversi. Il mazzo che utilizzerete sarà composto principalmente dai vostri ricordi, esattamente come ciò che avete visto, fatto o pensato definisce il vostro io nella realtà.
Le prove avranno indole diverse a seconda del colore richiesto e che in generale possiamo raggruppare come Fisico, Mente ed Empatia. Le sfide proposte da I Was a Teenage Exocolonist sono parecchio difficili in alcuni casi e il gioco ammette candidamente che non è un errore di bilanciamento, piuttosto il fallimento è parte integrante della narrazione e non per forza ha un’accezione negativa, anzi spesso mi è capitato di ottenere possibilità nuove da prove fallite.
In particolar modo ciò avviene, per quanto ho notato, nelle esplorazioni delle zone esterne e nei loro molteplici punti di interesse. Parlare di esplorazione per un titolo in 2D è atipico, però Northway Games non solo ha trovato la formula per rendere l’idea alla perfezione, ma anche rigiocabile al 100% e significativa dal punto di vista della trama e delle relazioni con il cast. Ci sono una marea di misteri da scoprire su Vertumna e nessuno di essi è obbligatorio per finire il gioco, così come non lo è nessuna cosa in realtà. L’unica richiesta è quella di approcciare il tutto senza pensarla in termini da “gioco da completare al 100% col finale migliore”, almeno né io né il gioco ve lo consigliamo. Il punto di I Was a Teenage Exocolonist è comprendere il suo viaggio, vivere una crescita personale che si raffronta al rapporto che noi umani abbiamo sia con noi stessi che con ciò che ci circonda, sia esso natura o tecnologia o socialità.
Tra tutti i temi, oltre quello naturale che ritengo predominante, credo che quello che sia reso meglio è il rapporto con il corpo e l’identità legata o meno a esso. Prima ho parlato di Tangent, una ragazza fredda che vive di tecnologia e che proprio in virtù delle possibilità offerte da essa ha iniziato a modificare il proprio corpo con impianti e modifiche cibernetiche. Il suo arco narrativo verte proprio sui limiti del corpo umano, su quello che come specie ci sentiamo o meno in dovere di fare nel momento in cui ci troviamo su una nuova colonia per far ripartire l’umanità.
Come non ripetere gli errori del passato? Come poter sfruttare gli strumenti che si hanno per comprendere qualcosa di completamente sconosciuto? E come farlo nel momento in cui l’orologio della rovina inizia a tichettare quando scarseggiano le risorse a disposizione?
Queste e altre domande si evolvono con Tangent, la cambiano sensibilmente e, in base anche ai dialoghi che avrete con lei, anche il rapporto con i propri problemi può essere un ostacolo o un trampolino. Similmente ci sono ragazzi con altri impianti di diverso tipo, persone che cambiano sesso o che non si identificano con uno specifico genere, così come persone con disabilità di diversa entità. Insomma, l'umanità.
Ma ci sono altri esempi virtuosi, come Recalcitrance: un ragazzo amante della natura e della vita organica, uno che lotterebbe per qualsiasi forma di vita anche nel momento in cui quest’ultima finisce per essere l’unica minaccia per la colonia in cui vive. Del resto, chi ci garantisce il diritto di disturbare un ecosistema che esisteva prima di noi? Perché dobbiamo ricorrere alla violenza senza pensare a delle strade alternative? Domande, domande e domande che i tanti volti di I Was a Teenage Exocolonist incarnano come non ho mai visto fare a nessun personaggio finora, forse salvo giusto Monster Camp e qualche visual novel virtuosa del lato nipponico.
Se gli si perdona qualche ripetizione nella quotidianità dei 10 anni su Vertumna, per quanto mi riguarda darei un voto di 10 netto a I Was a Teenage Exocolonist, perché azzecca tutto quello che si prefiggeva di fare e addirittura supera se stesso in molteplici occasioni. Alcune scene vi faranno piangere davvero, altre vi rimarranno impresse per le cose che verranno dette in un contesto particolare, alle volte vi ritroverete ad arrabbiarvi di fronte all’impotenza del vostro personaggio nonostante gli sforzi compiuti. Le sfaccettature dell’esperienza di questo gioco sono così tante che è impossibile elencarle e tutte vi garantiscono una vita piena sempre diversa, sorprendente e coinvolgente come pochissime opere in circolazione.
E se non vi basta una vita, I Was a Teenage Exocolonist vi accontenta con la sua dichiarata struttura multiversale e temporale, donando al vostro avatar la consapevolezza di vite mai vissute e la coscienza di alcuni eventi per indirizzarvi verso le verità dell’universo immaginato da Northway Games. Non posso dirvi cosa si nasconde dietro tutte quelle stelle e la palette rosata, posso solo dirvi che I Was a Teenage Exocolonist è uno di quei rari giochi in grado di cambiare la vostra prospettiva su voi stessi, il mondo che vi circonda e coloro che vi stanno vicino.