L'adolescenza vissuta tra spazio coloniale e identità di genere: intervista a Sarah Northway
Abbiamo intervistato Sarah Northway di I Was a Teenage Exocolonist: un simulatore vita in uno spazio inedito, pericoloso e inclusivo.
Simulare la vita è un qualcosa che I videogiochi hanno sempre provato a fare in una maniera più o meno diversa a seconda del genere. C’è chi come SimCity ci portava a creare la nostra città, chi come Two Point Hospital ci catapultava nei corridoi di un ospedale e chi come il famoso Stardew Valley ci posizionava nel bel mezzo di una città di agricoltori, con amori e fattorie da mandare avanti. Chiaro che il maggiore esponente su questo fronte è stato l’immortale The Sims, ma non è forse vero che a un certo punto anche questi giochi ci sono andati stretti?
La vita è più complicata di mangiare gli avanzi nel frigo, dormire, fare fiki fiki e guardare 7 ore la TV per aumentare la barra dell’intrattenimento. Poi certo, la fantasia di un lavoro stabile è proprio utopia da vivere oltre il cyberpunk, ma alle volte vogliamo che i voli pindarici vadano di paripasso con una rappresentazione che sia più nostra, o meglio di tuttə. Ecco, quando si parla di life sim e cultura inclusiva (sia visiva che tematica) penso sempre a quella gemma in lavorazione da diversi anni chiamata I Was a Teenage Exocolonist: un titolo che lascia poco spazio all’interpretazione. Ambientato in un pianeta alieno, questo racconto ci cala nei panni di unə teenager che cresce come abitante coloniale di un pianeta da studiare, partendo dall’essere infante fino all’età adulta. Pochi giochi, perfino considerando The Sims, elaborano la crescita oltre la semplice attesa dei giorni.
Oggi crescere è diventato uno sforzo enorme, un atto che va ben oltre il comprendere temi come responsabilità e dovere: è diventata un’avventura alla scoperta di sé e della propria identità, una sfida costante che cozza costantemente con uno stato di natura che tanto di natura non è, passando per muri di “No” e negazioni di pensiero, libertà ed espressione. In questo mare torbido e burrascoso, progetti come I Was a Teenage Exocolonist sono uno dei pochi spazi dove potersi sentire un po’ capiti e, in virtù di quanto questo sia raro al giorno d’oggi, siamo gratamente riusciti a parlare con chi il gioco l’ha creato, Sarah Northway di Northway Games. Perché, alla fin fine, è bello quando chi vuole comunicare qualcosa lo faccia in tutti gli spazi possibili, lontano dall’egomania della penna che invece dovrebbe servire unicamente per fornire spazi a messaggi ben più importanti della gratificazione personale.
Finalmente, I Was a Teenage Exocolonist sta per essere pubblicato questo agosto su tante piattaforme. Si tratta di un progetto che è stato in sviluppo tanti anni e ci sembra che sia cresciuto proprio come i personaggi del vostro pianeta. Qual è l’esperienza che volete trasmettere ai giocatori? E qual è stato il feedback più utile ricevuto dalla vostra community?
Sarah Northway: I Was a Teenage Exocolinist è, proprio come hai detto, un gioco enorme. Spazia per diversi generi: è un RPG, un gioco narrativo, un simulatore di vita e anche un gioco di carte. Una delle cose che più è cambiata basandoci sui feedback iniziali è stato l’espandere la dinamica narrativa e l’attenzione alla rigiocabilità. Il testo adesso ha raggiunto le 600,000 parole, il che può essere paragonato a sei libri, ma i giocatori vedranno solo una piccola parte di esso durante ogni vita.
Naturalmente una parte importante del fascino del vostro titolo parte dalla dote artistica di Sarah Webb e altri eccellenti artisti, i quali sono riusciti a dipingere uno nuovo strano mondo. Ma più di tutto credo che siano davvero, davvero bravi a creare personaggi che non solo sembrano unici, ma anche capaci di rappresentare i veri umani della nostra era. Puoi dirci di più su quali motivazioni vi hanno spinto a perseguire questo tipo di approccio e l’importanza di cambiare il loro aspetto nel corso della loro età?
Sarah Northway: Io vivo in una città progressiva e ricca di persone (Vancouver, Canada) perciò è iniziato tutto da me che volevo cercare di rappresentare la mia comunità e i miei amici. Tranne per le orecchie animali e altri miglioramenti genetici, le persone in I Was a Teenage Exocolonist non sarebbero affatto fuori posto qui a Vancouver. A livello culturale hanno tutti un background comune dopo aver vissuto insieme sulla nave coloniale, ma i loro antenati vengono dalla Terra, e perciò abbracciano una serie di identità sessuali ed espressioni di genere.
Avere questo tipo di rappresentazioni diverse nei videogiochi permette di introdurre ai giocatori nuove idee, culture e identità con cui potrebbero non essere familiari. Questo contatto potrebbe portarli a conoscere qualcosa sul mondo che li circonda o perfino su loro stessi. Questo è proprio uno degli obiettivi che perseguo per ognuno dei miei giochi.
Parlando del design dei personaggi, qual è stato allora l’approccio per il protagonistə? Perché ritieni sia importante sviluppare e visualizzare un “avatar” per il giocatore? Ci sono elementi che ritieni manchino negli altri giochi, magari proprio nei più commerciali, e che hai voluto includere in I Was a Teenage Exocolonist?
Sarah Northway: Visto che il protagonistə può crescere in un vasto spettro di persone differenti con abilità e personalità altrettanto differenti, ho voluto delle costanti per aiutare ad unirle tutte. Perciò, geneticamente, Sol (il nome standard del protagonistə) ha sempre gli stessi genitori e il loro aspetto non cambia molto di vita in vita.
Il giocatore può scegliere genere e aspetto (femminile o mascolino) attraverso degli slider, perché alla fin fine il genere è un valore che è difficile da definire con una casella da spuntare. Il gioco supporta anche dei pronomi personalizzati, il che è stato più facile da implementare di quanto mi aspettassi, considerando la complessità e la dimensione di I Was a Teenage Exocolonist (c’è voluto un pomeriggio). Più giochi dovrebbero considerare i pronomi personalizzati e degli slider per il genere se è nelle loro possibilità. Anche se questo ha un impatto insignificante nel gameplay, può essere invece un grande incentivo per il gioco di ruolo e l’inclusività.
Crescere è un termine che non vediamo spesso nei videogiochi, o almeno non lo vediamo descritto nel corso dei tanti anni di cui è composto I Was a Teenage Exocolonist. Eppure questo tema ha un’importanza particolare oggi, poiché crescere nel nostro mondo può essere pericoloso tanto quanto farlo in un pianeta alieno. Perché avete scelto di concentrarvi su questa tematica e, se ci sono, avete incluso delle “sfide” con cui vi siete scontrati nella vostra vita reale?
Sarah Northway: A essere onesti, ho pensato che scrivere I Was a Teenage Exocolonist sarebbe stato un viaggio catartico per i ricordi della mia adolescenza, per lo più infelici. Ma quando ho cercato ispirazioni dalla bambina introversa che ero, non ne trovai molta: ero riuscita a bloccarla del tutto e dimenticare quegli anni. Nonostante questo, il personaggio Dys è quello che più mi somiglia, e la sua missione di trovare se stesso scappando nella natura è simile alla mia.
Alcuni membri del nostro team sono transgender, perciò abbiamo lavorato insieme al design nei nostri personaggi trans. Nel mondo di I Was a Teenage Exocolonist l’identità di genere non è un argomento controverso in nessun modo, ma ovviamente ogni tipo di cambiamento può essere difficile da affrontare per dei bambini. La tristezza di crescere lontano dalla propria famiglia o dagli amici mentre diventi adulto e diverso è qualcosa che molti di noi hanno vissuto sulla propria pelle.
Parlando di rappresentazione e sfide, noi di Nerdcore e Indie Comune abbiamo spesso parlato di come la scena indie degli ultimi anni è riuscita a farsi avanti nel dipingere con rispetto la comunità LGBTQ+, parzialmente perché crediamo che quei piccoli studi sono quelli dove la diversità è qualcosa che fa parte dei loro membri e non un qualcosa di cui parlare in una scena o due. Dato che al momento ci sono ancora pochi posti in cui sentirsi rappresentati per davvero, pensate che come industria ci sia un motivo per cui stiamo ancora arrancando su questo fronte, come l’avere un cast variegato o affrontare temi come identità e crescita? E, soprattutto, come possiamo migliorare secondo voi?
Sarah Northway: Credo sia tutto riconducibile al budget. I grandi studi tripla A con un budget di centinaia di milioni di dollari non possono permettersi di affrontare nessun rischio su nessun aspetto del loro gioco. Quando i videogiochi dovevano essere venduti sugli scaffali l’industria è stata portata a specializzarsi su un pubblico specifico con temi altrettanto stretti, accompagnati da un gameplay che il team marketing dichiarava meno rischioso. È diventato qualcosa che poi ha iniziato ad autoalimentarsi ed è stato davvero difficile fuggire da quel trend, perfino quando internet ha reso possibile vendere videogiochi con un budget inferiore.
Poi a un certo punto le politiche di identità hanno iniziato a legarsi ai videogiochi dopo che il pubblico ristretto di un tempo, al centro dell’attenzione delle compagnie, aveva iniziato a crescere. Qui sono entrati i videogiochi indipendenti e hanno preso dei rischi con piccoli team e nuovi tipi di esperienze. Io sono una persona che ha legato la propria identità ai videogiochi per la maggior parte della propria vita e posso capire il senso di perdita quando i “tuoi” giochi non sono più fatti a misura per “te”. Ciò che non capisco è l’insidiosa e deviata rabbia che è arrivata con questo moto. Una rabbia che ha portato tante persone giovani e intelligenti su una corrente di pensiero oscura e ristretta votata ad odiare chiunque fosse diverso da se stessi.
In questo ambiente sensibile, è comprensibile che tanti studi grandi e aversi ai rischi stiano ancora facendo piccoli passi dalla tradizione dei loro temi e del gameplay. Ma credo ci siano soldi da guadagnare se si riesce ad ampliare il proprio pubblico e per fortuna le persone che fanno i giochi – perfino gli ingegneri nei grandi studi tripla A – sono composte da gente diversa e dalla mentalità aperta, le quali stanno facendo di tutto per spingere e migliorare la rappresentazione in tutti i giochi.
Affrontare le difficoltà della vita è sicuramente parte del processo di cui abbiamo appena parlato, un qualcosa che I Was a Teenage Exocolonist punta a mostrare. Uno potrebbe essere ingannato dai colori pastello del gioco ma, come dice la vostra pagina Steam, ci sono tanti pericoli nel vostro mondo. Potete descrivercene qualcuno senza spoilerare troppo?
Sarah Northway: Ecco, a prescindere dalla sua stupenda art direction (o specificamente in contrasto con essa) Vertumna è un pianeta pericoloso e sopravvivere su di esso ha un prezzo. Il gioco inizia innocentemente proprio come lo vedrebbe un bambino di 10 anni, protetto dalla campana di vetro dalla realtà. Ma più cresci più il tono del gioco diventa oscuro. Ti formi vedendo la verità dietro gli adulti della colonia e di quello che hanno fatto per proteggerti, fino a che non sarai tu a essere la prossima generazione di adulti e dovrai decidere cosa quel ruolo voglia dire per te.
Sono anche una fan del genere horror e sono conosciuta di più per la mia serie di giochi strategici, Rebuild, che è ambientata durante un’apocalisse zombie. Credo di averne messo un pizzico anche in questo gioco, perciò direi che I Was a Teenage Exocolonist ha un bilanciamento tra bellezza e umorismo, ma ha anche una buona dose di angst.
Infine, I Was a Teenage Exocolonist è un simulatore di vita che punta ad avere azione, giochi di carte, lavori e anche appuntamenti. Però spesso vediamo che i dating sim sono trattati dalla massa un po’ male, anche se in realtà non solo sono il posto dove albergano i design più inclusivi ma anche dove le storie più intime e profonde hanno luogo. Qual è la vostra opinione al riguardo e perché per voi è stato importante includere questo aspetto nel progetto?
Sarah Northway: Onestamente, la parte dating sim è stata quasi un pensiero passeggero per me nel design originale del gioco. Doveva esserci perché gli adolescenti del mondo reale passano una buona parte del loro tempo a pensare al sesso e alle relazioni, ma ero anche preoccupata che potesse sovrastare le altre meccaniche del gioco e causasse problemi di marketing se I Was a Teenage Exocolonist venisse visto come “solo” un dating sim.
Ma come hai detto, l’incontrarsi è il posto dove le storie più cariche di emozioni hanno luogo e durante i playtest ci fu una grande richiesta di volere più “dating” nel gioco. Per mia felicità, Lindsay Ishihiro ha più talento e interesse nello scrivere di relazioni rispetto a me, perciò ha approfondito quell’aspetto del gioco in maniera considerevole.
Inoltre rompiamo alcune regole formali dei dating sim con relazioni che si formano naturalmente e non sono ricompense per aver dato abbastanza regali (anche se trovare i doni favoriti dei personaggi è una meccanica dell’amicizia nel gioco). I personaggi si frequentano addirittura tra di loro e non stanno ad aspettare che il giocatore sia quello a iniziare con l’interesse.