Vi ricordate quando da piccoli appariva in Tv quella cosa super fighissima che dovevate avere a tutti i costi diventando in pochissimo tempo la cosa peggiore mai capitata ai vostri genitori? Poi quando arrivava l’amichetto di turno “fortunato” che aveva uno di quegli aggeggi diventava la fine: mamma e papà dovevano, a tutti i costi, comprarlo anche a noi pur di smettere di sentirsi ripetere, con insistenza, che ne avevamo assolutamente bisogno.
Ecco, per me questo oggetto mistico era lo stramaledetto Tamagotchi: sentivo la necessità di quello stramaledetto animaletto digitale più di qualsiasi altra cosa. Era proprio necessario capite? Poi molti fra i miei amici ne avevano uno ed erano sempre li a smanettare con quei bottoncini per dare da mangiare a quelle creature che, non sentivo ragioni, dovevano far parte della mia vita.
Non ho mai avuto uno Tamagotchi però, o almeno non ne ho mai avuto uno “originale” perché costavano un accidenti e i miei non volevano accontentare un capriccio inutile quando per strada, sul lungomare della mia cittadina, era pieno zeppo di bancarelle con le versioni “pezzotte” di quell’aggeggio.
Se lo vuoi ti prendo questo.
“E va bene, prendimi questo, basta che me ne dai uno il prima possibile” è quello che pensavo costantemente. Sì, perché è vero che si trattava della versione economica ma è anche vero che si distruggevano con una facilità mostruosa così che fra me e mia sorella a casa di nonna, se scaviamo bene nei cassetti, potremmo trovare decine di queste carcasse digitali non funzionanti.
Ricordo che poi arrivarono anche delle versioni “tarocche ma originali”, come i Be Bit, che erano questi cagnetti digitali che le pubblicità promuovevano per i ragazzetti più grandi: se avevi un Tamagotchi dalle mie parti eri un moccioso, ma se avevi il Be Bit allora eri decisamente cool.
No, non ho mai avuto nemmeno uno di quei cagnolini. Ho avuto l’ennesimo affarino cinese che ho portato alla morte.
Poi arrivò il momento dei Tamagotchi Connection. Mio Dio, dovevo averne a tutti i costi uno: cioè è un animaletto virtuale che potevo collegare con altri animaletti digitali per fare le cose tipo i Pokémon con il Game Boy ma diverso.
Non lo ebbi mai, chiaramente. Al suo posto sempre la solita versione pezzotta MA con questo pezzo di plastica che andava a simulare l’infrarosso della versione originale (chiaramente solo estetica, come mi accorsi qualche giorno più tardi quando provai ad usarlo con l’affarino del mio compagno di classe).
E poi divenni troppo grande per averne uno secondo i miei genitori, anche se nel frattempo ne sono successe di cotte e di crude: ne volevo uno così tanto che mi abbonai ad un servizio via SMS con cui potevo curare una bestiola digitale. In pratica mandavo un messaggio con scritto “mangia” e quello mangiava. Il futuro.
Ogni messaggio costava un mucchio di soldini e quando me ne accorsi non volevo raccontarlo a papà così, ingenuamente, pensai che magari lasciandolo morire si sarebbe disattivato. Presi le botte il giorno in cui i miei scoprirono quanti soldi avevo buttato nel lasciare morire di fame quel cucciolo digitale.
Ci fu anche l’episodio in cui trovai un Tamagotchi abbandonato su una panchina e decisi che era mio (sì, ero una persona orribile). Non potevo nasconderlo ai miei quindi altre botte e restituzione del mio piccino al proprietario (che i miei conoscevano fra l’altro).
Certo, se mi avessero preso un Tamagotchi vero avrebbero speso molti meno soldi e avrei avuto molte meno botte ma non ne sono così certo, avrei sicuramente voluto questa o quell’altra generazione dello stesso aggeggio prima o dopo e i miei lo sapevano benissimo.
Ma perché vi sto raccontando questa storia? Perché in queste settimane, a 28 anni suonati, ho finalmente avuto il mio primo Tamgotchi vero. Sì, di quelli originali. Un Connection V3 per essere precisi.
La mia ragazza lo trovò dentro ad un cassettone di casa sua così me ne sono appropriato, tanto era li spento a fare la polvere sotto un mucchio di cianfrusaglie.
Ho cambiato la batteria, ho incenerito la bestiolina che abitava prima il mio piccolo ammasso di circuiti elettronici e ho dato i natali a Fion, una tenera patata di cui ero già follemente innamorato.
Ho iniziato ad indagare su come è meglio crescere queste bestiole scoprendo che esiste un mondo di appassionati sorprendente dietro: persone che hanno creato tabelle di nascite con tutti i parametri per avere questa o quella creatura, giocatori che sono scesi nella tana del Bianconiglio scoprendo i segreti dietro all’algoritmo che genera i codici con cui sbloccare alcuni oggetti e intere community che discutono di cosa sia meglio fare in certe occasioni.
Scopro quindi come e quando punire la mia “patata”, quando pregarla di smettere, quando giocare, quando dargli dei dolci, come non viziarla e come imparare il suo cibo preferito in base al nome che gli ho dato incrociato alla specie (pare che in base al numero di bit che escono fuori da questi incroci venga deciso se gli piace di più la carne o la pasta).
Io da piccolo mi ero perso tutta questa meraviglia? Sì. Intanto la patata cresce e io scopro di averla trattata malissimo, infatti diventa una specie di papera ninja che apprendo essere uno degli animaletti adulti peggiori che arriva solo se fai un certo numero di errori.
A questo punto avevo due scelte: fargli metter su famiglia o farlo morire di vecchiaia. Propendevo per la seconda ma… poi è nato il nuovo patatino e io gli voglio già di nuovo un sacco di bene ma, soprattutto, ho bisogno di capire come diventare bravo per avere un cosetto adulto carino e coccoloso.
Purtroppo sto continuando a fare errori, spero solo che siano meno di quelli fatti con suo padre.