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Game of Thrones 8 - il finale, nel bene e nel male

Un buon accordo è quello che scontenta tutti non è solo una frase che Tyrion dice nell’ultima puntata di Game of Thrones ma anche una grande verità. Il vero equilibrio si raggiunge solo cedendo qualcosa. Questo vale per i personaggi, per gli scrittori e per il pubblico.  Tyrion d’altronde è per tutto l’episodio la voce degli autori stessi : spiega (agli spettatori) e inquadra meglio le scelte di Daenerys (mi ha fatto un certo piacere sentirgli dire le stesse cose che ho scritto la settimana scorsa: finche bruciava gente cattiva ci andava bene), esalta (agli spettatori) il valore delle storie come vero legame tra uomini. Infine dichiara profeticamente (agli spettatori)  “chiedimelo tra 10 anni”, strizzando l’occhio all’inevitabile idea di un seguito ampiamente possibile con questo finale (e forse gli anni saranno non più di cinque). Metatesto puro, un po' come piazzargli sotto il naso un libro che si chiama Le Cronache del ghiaccio e del fuoco.

A fra 10 anni

Tyrion è anche il personaggio con cui si apre la puntata, esattamente nel punto in cui si era conclusa. Lo vediamo piangere (per la prima volta?) di fronte ai corpi di ciò che resta della sua famiglia, rinnegare Daenerys e cercare in tutti i modi di convincere Jon che “a volte l’amore deve morire di fronte al dovere”. Il peso di gran parte della puntata è tutto sulle sue spalle, l'uomo piccolo che quando si abbassa il sole getta una lunga ombra, e sulle abilità recitative di Dinklage.

Tutto ciò che era rimasto in sospeso dentro Daenerys, tutto ciò che si agitava nel suo cuore quando ha fatto quella scelta scellerata viene ampliato nella prima parte: ebbra di potere e salda nella sua filosofia, si è definitivamente convinta che l’unico modo per avere la pace sia azzerare completamente il passato e riunire tutto il mondo sotto la sua guida.

È ovviamente una visione megalomane e piena di controversie, ma nessun regnante, anche il peggiore, vi dirà mai di agire per il male, soprattutto quando fino al momento prima la cosa andava bene a tutti perché bruciava qualcun altro. Anzi, è sempre per il bene comune che si fanno scelte di questo tipo ed è una cornice di senso in cui non finisci mai di combattere, perché ci sarà sempre qualcuno da “liberare”. È un’idea seducente perché di base giusta, è l’impulso che ci porta ad eliminare ogni voce dissidente che si mette tra noi e che riteniamo “giusto”, un’idea che è stufa di nascondersi dietro piccoli atti di pietà, stanca dei giochetti, di tradimenti e di aspettare.

Ma anche un’idea che ci ha portato all’inquadratura di lei con le ali del drago, sua ultima spettacolare incarnazione, quindi, giusta o sbagliata che sia, va bene così. Visivamente la puntata conferma l'eccellente fotografia di quelle passate.

Ora è più chiaro?

Il piano di Daenerys è una idea insostenibile per un uomo come Jon, i cui ideali fanno tutta la differenza del mondo, per questo la sua difesa amorosa d’ufficio appare fin da subito molto debole e contraddittoria. Si blocca, non sa come rispondere, si contraddice. Proprio perché i motti delle casate non sono impressi sulla carne dei discendenti quella decisione è solo di Daenerys, è frutto del suo passato e di chi le è stato attorno, non di chissà quale linea di sangue.

Il momento della morte e del tradimento viene costruito con un’ansia e una inquietudine crescente, si posiziona nella metà esatta dell’episodio e, per quanto sia un momento estremamente prevedibile, resta comunque gestito col giusto pathos.

Fino all’ultimo, come Jon, speriamo che lei dica qualcosa di diverso, qualcosa che lo convinca a non affondare quella lama. Purtroppo, c’è ancora questa voglia di rappresentare Dany come un’amante respinta che cerca di tornare da Jon a ogni costo, questo bisogno di vederla ancora innamorata per dare al tutto un connotato ancora più tragico.

La fotografia si conferma a livelli altissimi

 È una morte intima, silenziosa, appena la lama entra nel suo corpo la musica si ferma, ci permette di raccogliere le nostre emozioni senza suggerircele, sentiamo solo Jon che piange e Drogon che arriva. 

Ecco, parliamo di Drogon e del momento in cui decide di sciogliere il trono, invece che mangiarsi Jon.

Il momento in cui sfiora il corpo ormai inanimato del suo padrone è stato per me il momento più struggente, quello in cui si sfoga col simbolo del potere quello più complesso da decifrare senza riempirlo di sovrastrutture. Intendiamoci, la scena è bellissima, ha assolutamente senso dal punto di vista simbolico (tanto il prossimo re il trono se lo porterà sempre sotto il sedere), ma se vuoi farmi fare il salto logico del drago che lo vede come simbolo di rovina della sua padrona allora almeno prova a suggerirmelo. Io posso arrivare a capire che non uccida Jon in quanto Targaryen, quindi ancestralmente legato alla sua razza, ma questo giustifica solo il suo allontanarsi col corpo, non di distruggere il trono. Una cosa che andava fatta, ma si poteva fare meglio (frase simbolo di questa stagione).

Ma qua forse è meglio fare un passo indietro, forse sto sbagliando, sto pensando ai saggi draghi di Dungeons & Dragons ed è la mia voglia di collegare i punti che parla; più banalmente, Drogon sfoga la sua rabbia sparando di fronte a sé, senza uccidere Jon perché non ragiona come un uomo e non pensa che lui sia un assassino. Non si sfoga sul trono come simbolo di potere, ma solo perché è là davanti mentre lancia il suo urlo di fuoco. Una liquefazione più casuale, senza dubbio narrativamente poco elegante, ma non meno simbolica, e forse in linea con la decostruzione anticlimatica generale.

Ancora: si poteva fare meglio.

La distruzione del trono è un po’ come la distruzione dell’anello di Tolkien e ci porta a un momento molto simile, fatto di risoluzioni e chiusure generali. Un momento che viene furbescamente introdotto con una elisione temporale che evita di dover raccontare che succede ai Dothraki, come viene accolta la notizia del massacro dagli altri nobili, cosa succede alla popolazione o la cattura di Jon Snow. Tutte cose che occuperebbero almeno una puntata e che qua non hanno più spazio per esistere.

Bellissimo il momento in cui a Edmure viene gentilmente chiesto di tornare a sedere, sensatissimo e provocatorio quello delle risate di fronte all’idea della repubblica (e alle petizioni, o se lo aspettavano o vedono il futuro), struggente la celebrazione delle storie, che ci ricorda sia quanto Game of Thrones ci abbia unito, anche quando non eravamo d’accordo, sia quanto sia importante una narrazione nella nostra costruzione di senso della realtà e di quanto lo "storytelling" possa essere un potentissimo strumento politico. Alla fine siamo solo storie, ognuno è il risultato della sua e viviamo finché qualcuno ci racconta. Il problema è che nel frattempo mi mostri un tizio in incognito di Dorne e ci ricordiamo quanto quella parte sia stata dimenticata.

Grazie Edmure, le faremo sapere.

La scelta di Bran può sembrare spiazzante (e anche inquietante, vista la sua risposta, non è che il paralitico ha orchestrato tutto fin dall’inizio? Non è che la distruzione di Approdo del Re è stato un sacrificio necessario per unire tutti ed eliminare la regina, evitando un massacro ancora più grande? La famosa "Mossa Ozymandias?") ma è anche l’unico compromesso in grado di garantire un minimo di equilibrio. Bran è una figura neutra, privo di ambizioni personali, ricco di conoscenza, incapace di avere figli che distruggano il suo operato e anche l’unico in grado di accettare l’indipendenza del Nord, evitando un altro massacro. È una scelta anche simbolica, la sua è la “storia” più ricca e assurda (anche se a volte gli autori si sono dimenticati di fargli fare qualcosa che avesse senso per noi), quella che può essere raccontata di fronte a un fuoco o nelle canzoni e generare un mito. Certo, forse gli manca un po' dell'empatia tipica del regnante, ma per quello c'è Tyrion, che non vedeva l'ora di farsi i cazzi suoi e adesso dovrà "scontare" compensando tutte le mancanze umane di Bran, col peso di un passato pieno di errori.

 È una scelta che non soddisfa pienamente nessuno, perché è intrisa di un’epica triste e non eroica, perché è una scelta ragionata e non pensata per appagarci.  Una scelta in linea col tono di questo addio: non ci sono grandi fanfare o morti glorificanti, giusto qualche abbraccio, persone che si salutano per sempre, altre che tornano a una parvenza di normalità. Forse proprio per questo è la scelta giusta. Credo sia anche il finale che, con tantissime differenze e molte più spiegazioni, scriverà anche Martin.

Tyrion è sempre stato il favorito di Martin e si vede

 Credo che il patto narrativo di ciò che doveva succedere sia stato ampiamente rispettato  (c'è un limite alle sorprese che si possono utilizzare, soprattutto alla fine), perché tutti i pezzi trovano una loro collocazione senza particolari sorprese (e forse questo non è piaciuto a molti, la mancanza di una sorpresa forte e gradita), chiudendo quasi tutto in una maniera persino troppo positiva. Un finale che passa dal conciliatorio a un lungo e anticlimatico addio, in cui mostrarci le discussioni di ordinaria amministrazione del nuovo Consiglio Ristretto, un momento assolutamente necessario per ricordarci che no, questo non è Tolkien, la vita è fatta di massacri e intrighi, ma anche questioni molto meno eroiche e più ironiche, siamo qua per seppellire l’epica, non per lodarla.

E niente seppellisce la solennità meglio di Ser Davos, vero eroe normale, simbolo di chi si è sempre sentito fuori posto, ma è comunque andato avanti, che chiede a Verme Grigio se la pronuncia è corretta, che vota, premettendo di non sapere se può votare.

La finale sequenza col triplice montaggio parallelo fatto di gesti, strumenti e passi in avanti ci dice che alla fine è sempre stata una storia degli Stark (o presunti tali). Un gruppo che ha sofferto, che ha preso scelte dolorose, che ha perso tutto prima di poter lottare per qualcosa di nuovo, ma che non ha mai perso un concetto di famiglia e di legame, quello che permette al branco di sopravvivere. Ognuno di loro è in una condizione agrodolce ma ideale: Sansa, algida regina del nord che ha ciò che vuole, ma ha pagato un prezzo alto, Arya Vespucci verso nuove sfide, ma lontana da chi la ama, perché il mondo le sta stretto e Jon, ormai ridotto a un guscio vuoto di rimpianti, ha finalmente trovato quella vita semplice e ritirata, lontano da un potere che non ha mai voluto, accanto a un popolo finalmente libero con cui ha stretto un legame di sangue. Ho invece delle riserve sulla scena di Brienne che scrive l’epilogo di Jaime, avrei decisamente preferito vederla scrivere l’inizio della sua storia.

Un atipico Azor Ahai

 Mi sia consentita una nota di fanservice: che bello vedere finalmente Jon che ritrova Spettro, meno male che qualche soldo di budget è avanzato. Ammetto che è stata l’unica scena in cui mi sono veramente commosso, sentivo che Jon aveva bisogno di qualcosa di positivo in una puntata dove il suo mondo viene azzerato o forse ne avevo bisogno io. 

L'ultimo momento è una una simbolica chiusura del cerchio: avevamo iniziato con una piccola pattuglia di Guardiani della Notte che supera la barriera e si avventura nei boschi per venire uccisa, concludiamo con Jon attorniato da famiglie che tornano in quei boschi, ora sicuri.

 Un finale è un finale, ed è spesso il risultato di tutto ciò che è arrivato prima, impossibile chiedergli più di tanto, difficile che ti possa piacere se fino a questo momento le scelte ti hanno allontanato.  Non capisco la rabbia di chi dice di aver "perso tempo". Al di là che sarei curioso di capire come lo avreste impiegato, in questi anni avete comunque visto qualcosa che non si può giudicare solo dal finale o da qualche episodio, ma va visto nel suo insieme.

Leggo molta gente incazzata, capisco la rabbia, perché il coinvolgimento emotivo in qualcosa che poi non si rivela come speravi è legittimo (e Game of Thrones non è certo una serie perfetta, anche se il crollo credo sia meno verticale di quello che pensano molti detrattori dell'ultimo periodo). Tuttavia, è sempre difficile capire se lo è perché non gli tornano alcune cose, e ci può stare, se volevano qualcosa di diverso o se semplicemente amplificano il fastidio al massimo perché sui social devi sempre esagerare per essere notato. Io onestamente, pur essendo arrivato esausto e quasi emotivamente distaccato, non lo ritengo un cattivo finale.

Troppo didascalico anche per questa didascalia

Abbiamo avuto guerre, tragedie, morti e lutti, false piste, amori, profezie, sorprese e tradimenti. Tutte queste sei puntate sono state un lungo, emozionante finale. Vero, molti di quelli che pensavamo sarebbero morti sono ancora vivi e fanno ciò che amano alla faccia della cattiveria a cui siamo abituati, ma è il tono la cosa interessante, quel  senso di dimesso ritorno a una normalità con schizzi di sindrome post traumatica. 

Game of Thrones è stato un caso abbastanza raro: una storia diventata fenomeno mondiale che nasce sui libri e finisce sullo schermo prima di aver trovato la sua conclusione cartacea. È stata una narrazione enorme, un pachiderma impossibile da ignorare che a volte ci ha emozionati e altre ci ha delusi, perché ci aspettavamo di più. Un esempio di come la cultura popolare si nutre e alimenta a sua volta storie, archetipi e idee.  Ha fatto convivere l’epica con la politica, il passato col presente, lo spettatore casuale ed il nerd. 

A rendere grande questa storia ci hanno pensato i personaggi, gli autori e la macchina produttiva, ma anche il pubblico, che ha discusso, litigato, amato e odiato, ed è giusto dirlo. Non esiste qualcosa di così grande senza un pubblico che ne amplifica le emozioni e discute per giorni. Tutta la storia delle petizioni è stata ridicola e, secondo me, resa più grande del dovuto da una industria dell’informazione che non vede l’ora di fare qualche click in più trasformando una collina in una montagna.

Anche stavolta qualcuno ha giocato a Dark Souls

È giusto che ogni spettatore dica la sua, non trovo giusto che la sua opinione debba diventare una sorta di imposizione sull’autore, mai. Una storia che non ci piace è come una stanza arredata come non vorremmo: siamo liberi di uscirne quando vogliamo e a volte dovremmo imparare a farlo con maggiore grazia, a volte invece ci incaponiamo a prendere a martellate i muri, anche se di fatto il martello neanche lo abbiamo in mano.

 Uno spettatore che pretende di avere solo cose che incontrano il suo gusto con infallibile precisione è uno spettatore pericoloso per sé e per un mondo creativo che già compiace anche troppo il pubblico condannandoci piano piano a una realtà di algoritmi, sequel e fanservice in cui niente ci spiazza e tutto ci conforta.  Ma soprattutto, è uno spettatore che non ascolta e non c’è niente di peggio.

YES! YES! YES!

Parliamo di sensazioni: finita la puntata sono stato assalito da un prevedibile horror vacui, perché ogni storia acquista valore solo se finisce, ma quando finisce è un piccolo lutto: qualcosa muore per tutti e continua dentro di te.  Sono triste e sollevato che tutto questo sia finito, da una parte ne avrei voluto di più e la fretta di dover concludere è stato un po' come salutarsi di corsa perché parte il treno, dall'altra va bene così, perché ci saranno altre storie da raccontare e altri dibattiti da imbastire, ma questo doveva concludersi, perché le emozioni dell’arrivo sono parte del viaggio e forse eravamo anche un po' stanchi .

Ma cavolo se mi mancheranno queste facce, queste chiacchiere, anche quelle che oggi eviterei. Ho parlato di Game of Thrones con tutti, da mia madre agli assistenti di volo che in mezzo all'oceano avevano paura che gli spoilerassi qualcosa, dai ragazzini ai sessantenni. L'ho amato, odiato e come tutte le relazioni con prodotti così lunghi e complessi è difficile separare il bene dal male e mettere tutto su una bilancia. Credo oltretutto che abbia fatto molto di più per sdoganare certe nicchie rispetto al tanto sbandierato Big Bang Theory, altra cosa che sta finendo e sul quale sento spendere grandi parole d'amore nonostante fossero le solite quattro gag ripetute da anni con le risate finte.

Più ci penso e più credo che questa sia la fine giusta, molto più umana di quello che mi sarei aspettato, molto più nomale, una fine in cui le vite devono in qualche modo continuare dopo l’orrore.

Vite che in qualche modo sono anche le nostre perché, forse ancora più che con Endgame, un racconto corale così lungo è inevitabilmente un racconto in cui ti specchi e cerchi qualcuno che ti assomigli. Ho sentito dentro di me gli echi misantropi del Mastino, e il suo esprimere affetto senza mostrarlo, la voglia di fare la cosa giusta e i dubbi di Jon Snow, conscio delle coltellate, l’emozione di Brienne e il suo bisogno di riconoscimento, la voglia di utilizzare l’ironia per gestire un mondo che non ti ama e che a volte ti fa schifo di Tyrion. Sua è anche la lezione più grande, quella di trasformare le debolezze in un’armatura.

E inevitabilmente pensi che il 2011 sembra oggi un altro mondo: anche tu hai avuto i tuoi lutti, i tuoi tradimenti, le tue battaglie in cui tutto era perduto. Forse per questo le fini di saghe così lunghe ci lasciano sempre un senso di angoscia, torniamo per un attimo al punto di partenza e ci ricordiamo con smarrimento del tempo che passa. Se è stato bello sentiremo la nostalgia, se brutto invece farà un po' male la ferita. È un attimo fugace, ma potente, prima che la prossima grande storia ci rapisca (e infatti ecco puntuale il trailer di Westworld).

Mi sento un po’ come gli Stark rimasti: sono felice di dove sono e di chi ho al mio fianco, sono curioso di esplorare ciò che si trova “west of Westeros” e continuerò a farlo, ma che fatica portare questa armatura e tenere la spada affilata.

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