

Avengers: Endgame - la recensione per chi ha visto il film
Epico, stratificato, imperfetto ed emozionante, ecco la nostra analisi di Avengers: Endgame, dedicata a chi ha già visto il film e non ha paura degli spoiler
La fine è parte del viaggio, dell’essere un eroe, lo dice Tony Stark negli ultimi momenti di Avengers: Endgame parlando alla sua famiglia, della quale fanno parte anche milioni di spettatori in tutte le sale del mondo. Basterebbe questa frase per sintetizzare il senso delle tre ore di Endgame: la conclusione, anche se temporanea, anche se aperta ad altri film, altre serie tv, della più grande operazione di cultura popolare degli ultimi anni.
In una storia conta soprattutto come apri e come chiudi ed era giusto che entrambi i momenti appartenessero all’eroe che ha inaugurato tutto questo: Iron Man , ma soprattutto Robert Downey Jr. che fin da subito è stato semplicemente perfetto ogni volta che è apparso sullo schermo.In queste ore gli aggettivi roboanti per definire Endgame si stanno sprecando e sono tutti giustificati. Siamo di fronte a qualcosa di unico, che travalica il concetto di qualità e intrattenimento per diventare evento globale. Non è un film perfetto dal punto di vista cinematografico, ma è quello che ci voleva per questo tipo di strategia. Un prodotto che non solo non potrebbe esistere senza il film precedente, ma ha senso solo come una progetto che dura da undici anni. Così come una katana nasce da strati e strati di metallo piegati su sé stessi, battuti e lavorati, così il Marvel Cinematic Universe ha accumulato anno dopo anno strati e strati di storie, personaggi, battute, ottime idee e pessime trovate per arrivare a questo momento.
Pur cercando ogni volta di cambiare registro tra la commedia, l'epica, il racconto familiare, l'esaltazione delle minoranze (cinematografiche), l'obiettivo era rimanere sempre fedeli a sé stessi, armonizzando le visioni autoriali in un qualcosa che fosse sempre e comunque riconoscibile. Una strategia che da una parte ha richiesto coraggio per essere attuata, ma che dall’altra ha saputo anche capire il momento attuale, fatto di serie tv che si avvicinano al cinema e di cinema che inevitabilmente fa qualche passo verso le serie tv, rimanendo però uno spettacolo che dà il meglio di sé in sala. Educando il pubblico a una continuità narrativa, a cui era già abituato grazie al trionfo della serialità, e sfidando l’idea che bisogna essere brevi, chiudendo con un racconto di tre ore.
Quando piangiamo per la fine di Endgame, per la morte di Vedova Nera o Iron Man e il commiato di Capitan America lo facciamo perché questi personaggi hanno rappresentato undici anni della nostra vita. Un tempo enorme per un essere umano, in cui tutto può cambiare, stravolgersi, nascere e morire. Chi ha iniziato a vederli quando aveva dieci anni oggi va all’università, è letteralmente cresciuto insieme a questo film. Quando sono entrato in sala per Iron Man vivacchiavo di esami, non pensavo di campare con la scrittura, pesavo decisamente meno, Firenze mi bastava e mio padre era vivo. Oggi la mia vita ha vissuto almeno tre rivoluzioni e mentre rivedi ancora quei personaggi non puoi non pensare“Hey, ma ti ricordi dove eravamo quando tutto è iniziato?”. Quando Tony Stark chiude gli occhi piangiamo qualcosa che stato con noi per undici anni e forse piangiamo proprio gli anni che se ne sono andati.
Endgame è senza dubbio un film imponente, emozionante e coinvolgente, eppure, pur prendendosi tutto il tempo che vuole per raccontare ogni storia, chiudere ogni arco narrativo, riallacciare ponti, stringere mani e salutare tutti nel mondo giusto, pur emozionando, coinvolgendo e donando forse un delle chiusure più degne di tutta la storia dei cinecomic e oltre... è ovviamente un film con dei difetti, in alcuni casi frutto di scelte particolari o di soluzioni che arrivano da lontano, che però non intaccano una visione d'insieme comunque magnificente.
Parola d’ordine: sorprendere
Endgame aveva un compito difficile: ripartire dopo un finale così devastante, anche coraggioso, per un film di intrattenimento. Una chiusura tetra simile a L’Impero Colpisce Ancora, che aveva lasciato molti con una domanda: “e ora?”.
La risposta dei fratelli Russo è spiazzante: e ora in neanche dieci minuti uccidiamo Thanos, così che tutte le tue aspettative siano azzerate e tu possa essere sorpreso di nuovo, ricostruendo il racconto e sperimentando un po’ dell’amaro calice dei protagonisti: il lutto. Lo uccidiamo, anche per mostrarti una cosa: la vendetta alla fine non ha alcun valore, perché dopo aver mozzato la testa al Titano folle non ci sono fanfare e festeggiamenti, solo il vuoto . Lo uccidiamo perché non è ciò che vuoi, così che quando arriverà ciò che vuoi lo amerai di più.
Dopo questa sopresa , ognuno dei sopravvissuti finisce per rappresentare una delle fasi di attraversamento del dolore. Vedova Nera è nella negazione, va avanti mantenendo uniti i Vendicatori, concentrandosi sul lavoro. Capitan America sta accettando la cosa attraverso i gruppi di sostegno. Occhio di Falco vive da anni nella rabbia di Ronin, una rabbia che vede anche la minima speranza come minaccia. Iron Man, dopo il suo ritorno, il rimorso e la rabbia è andato molto oltre, riuscendosi a farsi una nuova vita che valesse la pena vivere.
Poi ci sono i due casi più estremi, le scelte più coraggiose (o folli, o stupide, dipende da come la volete vedere). Thor, che vive nella negazione depressa più completa, fatta di sbornie e partite a Fortnite, sfoggia la panza, la barba non curata e il disimpegno verso ogni forma di responsabilità o stress. A lui (e alle battute acide di Rocket Racoon) sono affidati i momenti più ironici. Una scelta frutto del lavoro fatto sul personaggio da Taika Waititi che distrugge il possente dio norreno che abbiamo visto in Infinity War per mostrare le nostre debolezze.
Inizialmente ero disturbato da questa soluzione, chi non lo sarebbe? Ma col tempo mi sono reso conto che sì, si ride di Thor, ma sotto il lardo del buffone si nasconde una maschera tragica, una psiche annientata dall’insuccesso e dalle aspettative tradite, un dio che non è riuscito a sopportare il peso della sua carica e che adesso si è rifugiato dentro sé stesso . Ovvio che un personaggio risulta simpatico, so che stare accanto a persone così è divertente (a volte quella persona sono stata io) perché sono sempre disposte a fare festa e a prendersi una sbronza, basta non pensare. Dietro l'ironia c'è uomo che di fronte al passato ha un attacco di panico, che non ha mai processato la morte della madre e che sente sulle spalle la responsabilità della morte di miliardi di esseri viventi, incapace di mettere in fila due pensieri, perennemente alla ricerca del disimpegno, perché basta dire "Thanos" per farlo crollare.
Infine, Hulk, l’unica soluzione veramente sbagliata del film. Ci eravamo lasciati con una idea interessante: il personaggio più forte di tutti che non riesce a combattere a causa della paura. Ci dava l’idea della potenza di Thanos e ci immaginavamo un percorso di ritorno alla gloria. Invece, ci ritroviamo una specie di Professor Hulk impacciato, privo di rabbia e di dualità che non fa assolutamente niente di interessante ed è là solo perché a un certo punto qualcuno dovrà indossare la copia del Guanto dell’Infinito e sopportare la potenza delle gemme. La Marvel ha sempre avuto problemi nel trattare il Gigante Verde, l’unica soluzione degna di nota che ricordo è il primo Avenger (e fra poco ci torniamo) e alcuni sprazzi di Thor: Ragnarok.
Anche se nei fumetti abbiamo avuto versioni “sagge” e capaci di controllarsi, come Amadeus Cho, non si capisce perché privare così tanto il personaggio della sua natura, risolvendone il conflitto in due battute e senza dargli un vero momento di riscatto, come con Thor. E no, lo schiocco delle dita non basta, perché finisce per essere un mero strumento e non è un caso che sia l’unico eroe senza uno sviluppo o una evoluzione. Lo troviamo già compiuto e la sua massima crisi è farsi male a un braccio.
Altra piccola nota stonata: il ritorno di Ant Man assolutamente accidentale, una soluzione che ha scritto sopra a caratteri cubitali "Non sapevamo come altro fare". Forse era quella unica realtà su 14 milioni in cui un topo lo riportava indietro.
Su questa base si costruisce tutta la prima parte del film. Il risultato è spiazzante e un po’ confuso: ero entrato in sala immaginando una cosa e mi ritrovo gli eroi che litigano, il cattivo morto, Thor con la buzza e Hulk che si fa i selfie coi ragazzini, in un continuo alternarsi di tristezza e commedia. Posso capire chi alla fine del film ha storto il naso, anche se ammetto che a una seconda visione tutto sembra più chiaro, ma dall'altra parte non posso che apprezzare ancora la voglia di non offrire subito allo spettatore tutto ciò che vuole, così che dopo sia ancora più bello averlo.
We can turn back time
La trovata del viaggio nel tempo è estremamente intelligente perché permette Endgame di diventare metanarrativo: raccontando sé stesso racconta alcuni momenti chiave della sua storia e li celebra. L’invasione dei chitauri, il padre di Stark, Asgard prima della sua caduta, la spettacolare entrata in scena dei Guardiani della Galassia, a cui si aggiunge il tornare sul pianeta della gemma dell’anima per un nuovo sacrificio. Inoltre, introduce un elemento importante per gli anni a venire: le dimensioni parallele (anche se Spider-Verse ci aveva già pensato ma la diffusione del film è differente), i viaggi nel tempo ed educa il pubblico a intricate connessioni temporali che per chi mastica fumetti sono la normalità
Partiamo dal segmento dedicato alla gemma più problematica: quella dell'anima. In teoria sarebbe stato bello vederci Capitan America, vista la presenza di Teschio Rosso, ma Occhio di Falco e Vedova Nera mettono comunque in scena un momento molto inteso, fatto di amicizia e dolore in cui fino all’ultimo momento non sai chi dei due si sacrificherà per l’altro, senza negarsi qualche mazzata, perché alla fine le botte sono pur sempre la grammatica dei supereroi.
Il ritorno al primo Avengers è fatto di alti e bassi. Anche qua Hulk non ci fa una bella figura, né quando Professor Hulk picchia svogliato le auto (ma perché?) né per tutta la manfrina del vecchio Hulk arrabbiato perché deve fare le scale, quando potrebbe lanciarsi dal palazzo, utile solo a far cadere il Tesseract di mano a Stark (a proposito: secondo me questa fuga di Loki ce la ritroveremo nella sua serie). Però dall’altra parte abbiamo il colpo di genio di far dire Hail Hydra a Cap, citando gli ultimi fumetti, e farlo menare contro sé stesso, inoltre rivedendoli possiamo avere l'ulteriore consapevolezza di quanto siano stati iconici alcuni momenti di quel film, come la carrellata attorno al gruppo originale che si riunisce prima dello scontro, che ancora fa venire i brividi.
Ma non basta, bisogna di tornare ancora più indietro nel tempo agli anni ’70, nei laboratori di Stark padre, in un segmento che si lega profondamente a quello di Thor. A margine, il ringiovanimento degli attori ha fatto passi da gigante e Michael Douglas nei panni del giovane Pym è impressionante.
In entrambi il tema principale, al di là del McGuffin, è l'incontro con una persona amata con cui, nel caso di Thor e Stark, c’è anche un momento di incontro e commiato, mente Cap può solo vedere Peggy Carter al di là di un simbolico vetro. Ci troviamo senza dubbio di fronte ai minuti più intimi, dolci e potenti di tutto il film e non è un caso che si collochino più o meno al centro. È l’abbraccio mai dato, l’ultima parola a un genitore che non hai mai visto e a cui chiedi o dai il perdono, il conforto di poter recuperare i non detti, la chiusura del cerchio prima della fine . Un momento che in Thor è reso ancora più potente dal suo aspetto meno eroico e più simile a tanti uomini in cui la figura materna e ancora forte e centrale e che è fondamentale per la sua evoluzione. Stark invece rivede sé stesso nel padre, pregi e difetti inclusi, come accade anche a noi e anche se non può dirgli niente gli è concesso almeno di ringraziarlo.
Resta fuori il flashback dedicato ai Guardiani, a cui viene data la funzione di essere il meccanismo che introduce la fase finale, ma in cui è comunque presente una forte necessità di fare i conti col proprio passato, in questo caso quello di Nebula. Qua non ci sono genitori da abbracciare o a cui chiedere consiglio, ma gli errori del passato, la persona che eravamo che non vorremo più essere, ma che torna a tormentarci e con cui dobbiamo fare i conti, ancora una volta.
Sacrificio per gli altri, nostalgia di un passato irrisolto e gli errori che ci tormentano, questi i temi che emergono forti nel secondo atto e che entrano in risonanza con lo spettatore, offrendogli una metafora della sua esistenza, come si confà ai miti, anche a quelli moderni come i fumetti e il cinema di intrattenimento.
Resa dei conti
Messe sullo scacchiere tutte le pedine è il momento di arrivare all’inevitabile, anzi, l’ineluttabile scontro finale, un momento atteso, costruito e cesellato non in due ore, ma in anni e anni, lo spazio in cui finalmente gli eroi devono emergere e brillare in tutto il loro potenziale, diventando la parte migliore di loro stessi.
È questo il momento in cui veniamo trascinati in una giostra di emozioni che partono con la trinità dei Vendicatori che, come vuole la tradizione degli scontri finali, sembra soccombere, per poi consacrare definitivamente Captain America come il simbolo dei giusti, così giusto da poter finalmente impugnare Mjolnir.
Ma non basta, perché questo non è il finale di un film qualunque, è la fine di un’epoca e come tale va celebrata, esibendo tutto il name dropping della Marvel, che offre uno spazio a chiunque abbia vestito almeno una volta i panni di un supereroe e mettendo in scena uno scontro che sembra la risposta definitiva a chi giustamente si lamentava della “rissa nel parcheggio” di Civil War. Una dimostrazione di potenza non solo visiva, ma anche contrattuale, una vetrina di stelle che la Disney può permettersi di schierare anche solo per qualche secondo. Perché di fronte alla strategia generale non esistono divismi e in squadra tutti devono fare la loro parte.
L'ultima battaglia contro Thanos è qualcosa su cui c’è poco da obiettare: ogni momento è una splash page, una sinfonia di gesti e combinazioni di attacchi che rivaleggia con gli scontri epici del fumetto, un’orgia visiva in cui l’occhio non sa mai dove posarsi e ogni minuto regala sorprese ed emozioni. Manca forse il guizzo di qualche soluzione registica particolare, ma per il resto è tutto al suo posto. Al di là di questo, io c'ho visto qualcosa de Il Signore degli Anelli, saranno stati i bestioni simili ai troll, ma d'altronde il primo Avenger aveva uno scontro che riprendeva i Transformers (senza però l'occhio di Bay).
Le uniche note stonate sono forse l’utilizzo di Captain Marvel, inevitabilmente poco sfruttata perché troppo potente e ridotta a semplice strumento di distruzione privo di grande personalità, (però quando regge la testata di Thanos ho applaudito) e la scena del supergruppo femminile. Non perché non sia esaltante, ma perché palesemente costruita senza alcun retroterra narrativo, senza un pregresso e senza un vero motivo, a differenza del momento condiviso da Vedova Nera, Scarlet e Okoye, che appariva molto più naturale. Dà fastidio anche sotto un altro punto di vista: ci si poteva pensare prima, perché di potenziale in questo supergruppo al femminile ce n’è veramente tanto.
Ma al di là di questi dettagli come costruzione, messa in scena, effetti e coreografia questo è il momento più alto nel mondo dei cinecomic e se la gioca con tutto il genere d’azione. Senza ricorrere mai, neppure per un secondo, alla tentazione di fare una scena al rallentatore per aumentare la spettacolarità e riuscendo comunque a mostrare tutto ciò che va mostrato.
Io sono Iron Man
E poi arriva quel momento, quello in cui viene scritta la parola fine di un personaggio e di un film di undici anni fa in cui credevano solo gli appassionati. Un momento di umanità intensa in cui un amico ci lascia e lo fa come è giusto che sia: da eroe, circondato dall’affetto dei suoi cari. In quel momento finisce l’azione e si lascia spazio all’epica, a quella conclusione vogeliana del viaggio di cui abbiamo bisogno perché le storie rimangano immortali. E l'immortalità raramente la si ottiene senza un sacrificio.
La parola “sacrificio” ha un significato ben preciso: rende qualcosa sacro e si lega il bisogno di ottenere qualcos'altro con uno scambio. Questo di solito prevede uno sforzo ulteriore rispetto a una preghiera o un giuramento solenne. Nel sacrificio dobbiamo perdere qualcosa, qualcosa che ci è caro, persino noi stessi, per un bene più grande.
Solo pagando il prezzo possiamo aspirare a un bene superiore. Solo perdendo Iron Man, solo lasciando che Captain America invecchi e passi lo scudo (Però anche qua, se vuoi che lo passi a Falco prima dammi almeno un motivo per cui io mi esalti della cosa no? Qualcosa che giustifichi il passaggio di consegne al di là dell'ispirazione a fumetti. Vabbè) la Marvel poteva ottenere la chiusura sperata. Si poteva entrare nella storia e chiudere degnamanete solo straziando emozioni che hanno sedimentato per anni e che adesso esplodono con forza, mostrandoci quanto i personaggi immaginari che scegliamo per rendere la nostra esistenza sulla terra più bella, lieve e interessante finiscano non solo per farci da specchio ma per toccarci nel profondo, alla faccia di chi li vorrebbe solo come innocui passatempi. Perché se tutto fosse tornato veramente come prima allora tanto valeva non imbarcarsi neppure nell’impresa, perché non avremmo avuto quella chiusura, quel sacrificio, che ha reso tutto così importante.
Un aspetto curioso è che vedendo la seconda volta, quindi sapendo già quali erano gli aspetti più sorprendenti e divisivi, alcuni difetti sembrano meno evidenti, mentre l’emozione resta intatta. L'unico vero dubbio che mi resta e che mi hanno fatto notare è: ma Cap come la porta indietro la Gemma dell'Anima? E se è andato a invecchiare in un altra linea temporale che ci fa là? Fottuti viaggi del tempo.
A posteriori, la grandissima intuizione dei Russo e di Feige è stata capire che i personaggi andavano trattati come persone, perché nelle persone vivono, che ci voleva rispetto per la materia originale, ci voleva cura, non bastava spiattellare il nome su un film che non fosse almeno il tentativo di fare una bella cosa. Bisognava inoltre far evolvere un linguaggio, capire cosa avrebbe funzionato, seguire la corrente e anticiparla, costruire un disegno gigantesco che avesse senso solo una volta completo, tenendo duro anche di fronte alle critiche peggiori e a film che, oggettivamente, non sono riusciti bene.
Il risultato finale è un mosaico che lascia stupiti, un mondo in cui, come nella migliore tradizione della cultura pop fatta bene, i livelli di lettura sono differenti in base al momento della tua esistenza in cui affronti l'opera e alla tua formazione, ma senza che sia compromesso il divertimento o l'emozione a livello globale.
Non è obbligatorio che vi piaccia, ma non volerne riconoscere i meriti, lo sforzo e la magnitudo non vi rende persone più raffinate o intelligenti, lo snobismo è la più semplice forma di conformismo.Endgame non è un film perfetto, probabilmente è meno bilanciato e raffinato di Infinity War, ma è un grande film, lo è nella narrazione epica, sempre in bilico tra umano e superumano, nella sua capacità di mostrare sentimenti nobili senza essere pedante, nel suo scatenare emozioni forti e violente e nel non essersi tirato indietro rispetto a una fine che andava scritta.
Lo è come evento capace di catalizzare il dibattito, di emozionare milioni di persone, lo è come rappresentazione in movimento di un mondo a fumetti che ha cambiato il novecento, lo è nei genitori che portavano i figli e adesso portano i ragazzi, lo è come ultima tappa di un cammino che è stato anche una scommessa e che dimostra ancora una volta il nostro bisogno di storie che ci facciano battere il cuore. Lo è anche nel suo messaggio più importante, quello che ha portato gli Avengers a riunirsi ancora una volta: finché c’è memoria ci può essere qualcuno che lotta per la giusta causa.