Game of Thrones 8 - analisi della quarta puntata
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Game of ThronesDopo la scorsa puntata era lecito aspettarsi un po' di calma, ma la calma è un lusso che non ti puoi concedere se ti mancano due puntate
Dopo l’incalzante scontro della puntata precedente arriva l’inevitabile decompressione del dopo, o almeno, questo dovrebbe succedere in una serie con una decina di episodi a disposizione, ma quest’ultima stagione di Game of Thrones si basa sulla scellerata decisione di basare tutto su sei episodi, quindi il riposo del guerriero dura giusto il tempo del primo atto, poi è di nuovo il momento di far tritare i personaggi dentro la ruota del potere.
Sì, perché archiviato il Night King restano sul tavolo questioni che fino a quel momento erano rimaste in sospeso. Eliminati i nemici esterni (anzi, estranei) rimangono quelli interni e interiori, le colpe del passato e le ambizioni per un futuro a cui ci si sente predestinati, ma torniamo a tavola.
La prima parte della quarta puntata è da una parte un necessario momento in cui prendere il fiato tra brindisi, drinking game e risate. Onestamente a me sarebbe bastato rimanere per tutto il tempo a bere con Tyrion, Pod, Brienne e Jaime, ma è anche un’occasione per ribadire quanto già detto: Daenerys è un’esterna, non ha legami con il popolo che vuole governare, nonostante abbia anch’essa cavalcato un drago non viene esaltata come quando lo fa Jon.
Perché questo? Difficile dirlo, potrebbe essere perché gli autori vogliono mostrarci il classico caso di una donna che deve fare il doppio di fatica per essere notata come un uomo oppure (mi sa di no), oppure Jon si sporca le mani da tempo in battaglia e gode di un carisma innato, legato magari al suo non voler regnare, dettaglio importante sottolineato successivamente da Varys, che lo rende immediatamente degno di esserlo.
È un po’ come quando non vuoi una relazione e diventi subito attraente per l’altro sesso perché non puzzi di fallimento e ansia di andare a letto.Di sicuro è da qua che prosegue il cammino di Daenerys verso una rabbia interiore che è stata messa da parte giusto il tempo della battaglia ma che arriva da lontano, dai soprusi e dalla sua convinzione di essere strumento del destino, e che emerge ogni volta che le cose non vanno secondo i piani o qualcuno si mette nel mezzo . Non è questione di pazzia o di mad queen, ma di un obiettivo che senti alla tua portata e sfugge ogni volta, mentre quei pochi che puoi considerare vicini muoiono.
Tutto l’episodio sembra creato appositamente per dare una cornice di senso al suo voler bruciare ogni abitante di Approdo del Re ed è in questo che si mostrano gli aspetti più interessanti di Game of Thrones, quelli che l’urgenza dello scontro con gli estranei aveva sopito: le sfaccettature del potere, il fascino della sua corruzione e le macchinazioni necessarie e fondamentali prima che si passi alla grammatica delle spade, delle frecce e del fuoco.
Ma torniamo quell’unico momento di pace, perché è là che finalmente viene coronata la storia d’amore più bella dei sette regni, suggellata dal bacio tra Jamie e Brienne, che dopo aver metaforicamente sciolto i nodi più difficili del loro rapporto si trovano finalmente assieme. È una storia estremamente stratificata la loro, una storia in cui nessuno dei due si è mai sentito degno dell’altro. Lei si ritiene troppo brutta, grezza e “non-donna” per puntare a un uomo così bello, lui invece sente sulle spalle, nella lunga barba e nei solchi sotto gli occhi il peso del suo passato spregevole, un passato con cui non vorrebbe sporcare la purezza di Brienne.
È una relazione ben descritta proprio perché parte dai presupposti di una storia assurda e impossibile, basata però su una chimica, un linguaggio comune che c’è sempre stato. Per certi versi mi ha ricordato gli stereotipi dei personaggi anime: Jaime è un po’ un mayadere/tsundere, quei personaggi fortemente negativi che nascondono però un cuore buono che col tempo li porterà a cambiare il proprio allineamento, senza però tradire alcuni dei tratti distintivi, tipo Vegeta o Mark Lenders. Brienne invece è una kuudere, l’archetipo del personaggio chiuso in sé stesso che dimostra l’affetto più con le azioni e i gesti che con le parole.
La loro è senza dubbio la storia d’amore più interessante e attesa dagli spettatori, più di quella di Jon e Dany, che per colpa dei tempi ristretti si consuma in pochi minuti ed è già poi costretta a cedere il passo al dramma della separazione, così che Jamie possa completare il suo cammino di redenzione e tornare (forse) a guardare negli occhi la sua compagna senza sentirsi sbagliato.
E per un Jaime che lascia c’è un Gendry che viene lasciato, perché anche Arya ha una missione da compiere ma soprattutto sfugge ogni logica femminile legata al focolare. Ciò che ha visto, fatto e vissuto l’hanno resa indifferente alla vita della mogliettina e si trova forse più a suo agio accanto al Mastino, personaggio che rifugge ogni fronzolo e ogni orpello, devastato dentro e fuori, del quale apprezza la sincerità e la mancanza di ogni tipo di barriera sociale. Tra i due c’è un legame particolare, un po’ padre/figlia, un po’ mentore/allievo, un po’ compagni d’arme e lei, dopo tutto ciò che ha passato si sente più simile a lui che al resto del mondo.
Un’altra che ne ha passate tante è Sansa, che non è più il “little bird”, ma è diventata forse una delle giocatrici più abili, capace di andare anche contro la parola data al fratellastro pur di incasinare la situazione. Per molti il suo discorso è stato visto come una sorta di "apologia dello stupro come strumento di evoluzione", ma onestamente credo che Sansa sia più di una sopravvissuta a uno stupro. Di merda ne ha mangiata tanta, come tanti altri personaggi.
Tutti sono cambiati e tutti hanno cercato di trarre il meglio dalle sfighe che gli sono capitate. Il cambiamento di fronte alle avversità è senza dubbio una costante. Chi non cambia è invece Jon, che continua a dimostrarsi un inetto quando si tratta di fare qualcosa di più del combattere o urlare ai draghi zombie. Informare delle sue origini è agire nel giusto, ma è anche il miglior modo per incasinare ulteriormente le cose, come gli fa notare Daenerys. Nel suo addio ai compagni d’arme (perché non hai accarezzato Ghost, maledetto?) si capisce ciò che realmente vorrebbe fare: vivere al nord, senza troppi casini.
Un altro che ormai non si sa bene che deve fare è Bran: vive nel passato, niente lo emoziona del presente e l’unica cosa che lo rende felice è il citazionismo puntiglioso delle sedie a rotelle del passato. Praticamente un nerd alfa completamente assorbito nelle sue cose. Ah, non sappiamo neppure a che cavolo servissero quei corvi (forse ad attirare il Night King verso di lui).
Sempre per quanto riguarda i nomi con la B, la scena di Bronn ha meno senso di Samwell Tarly che supera le armate di non-morti. Arriva, dice le sue cose e se ne va. Ovvio che probabilmente tutto il suo infiltrarsi è avvenuto fuori dallo schermo e lo diamo per buono, ma così sembra veramente la quinta di un teatro.
Avanti veloce e siamo arrivati al momento di muovere guerra al Cersei nel modo peggiore possibile, ovvero spostando le truppe via nave, pur sapendo che Euron è capace di portarti la sua flotta anche nel bagno di casa e riempirti la vasca di capelli se non stai attento. La morte del drago ha assolutamente senso per questioni narrative di bilanciamento (i draghi sono un po’ come i telefonini nell’horror, come dicevamo nella puntata scorsa, devi trovare il modo di non farli funzionare) ma la scena è costruita malissimo e risulta insensata e frettolosa. Impossibile pensare che Euron abbia beccato un drago al collo da dietro una montagna per puro culo o dopo aver fatto molte partite di Worms.
Se lui vede il drago il drago vede lui. Al di là che Dany con i draghi ha un punto di vista privilegiato, bastava veramente inserire una sequenza in cui supera lo sperone di roccia e si trova contro una salva di frecce. Forse lo shock factor sarebbe stato inferiore di due tacche, ma avremmo avuto in cambio una scena sensata. Va detto che tutta la gestione di Euron è abbastanza folle ed è vivo solo ed esclusivamente perché sono rimasti pochi "cattivi" umani, quindi è diventato una sorta di nemesi che appare, fa incazzare gli spettatori e poi se ne va.
Adesso, cortesemente, mettete a Drogon una bella corazza, almeno sul petto, sono sicuro che nelle cantine di Roccia del Drago ce ne sia almeno una a cui manca solo una lucidata.
Purtroppo, la medesima fretta è quella che poi porta tutto a precipitare alle porte di Approdo del Re quasi un secondo dopo, senza troppo tempo per sviluppare il dramma, la sconfitta o la perdita, perché in questa fase è importante dare spazio al vero fulcro della puntata: il dialogo tra Varys e Tyrion sull’opportunità di continuare a sostenere o meno Daenerys. Qua Game of Thrones torna alla sua forma più congeniale, quella degli intrighi che si muovono dietro alle grandi gesta, dell’incertezza e delle decisioni maturate in segrete stanze che poi finiscono per essere più decisive di tutto il resto.
L’aspetto migliore di questo dialogo è che non offre una visione netta sul futuro, ci riporta ai momenti di incertezza del passato e ci permette di vedere due forze che lottano da sempre: da una parte il pragmatismo di Tyrion che vede in Daenerys l’unica soluzione di un sistema che ha sempre funzionato così. Lei è il male minore e pazienza se qualcuno verrà bruciato, fa il possibile per una regina che ha già deluso e che lo ascolta ogni tanto. Varys invece vive per il popolo, ma questo lo porta a essere perennemente insoddisfatto, perché nessun regnante sarà mai veramente per il popolo. La sua è una ideologia che funziona finché deve opporsi, quando deve regnare pensa sempre che magari c’è qualcuno di più degno da far sedere sul trono.
È molto probabile che Varys decida di abbandonare Daenerys, che viene sempre più forzata verso una decisione drastica, causata dalla rabbia e dal risentimento e dal fallimento di chi dovrebbe trattare per lei. Un voltafaccia progressivo alla regnante progressiva in cui tutti credevano fino a poco tempo fa, e che adesso è improvvisamente diventata qualcuno che deve essere fermato in favore di Jon (ma lo capite che non vuole regnare?).
Andrebbe anche bene, ma torniamo sempre là: è tutto troppo compresso e veloce e non tanto per gli spostamenti ultrarapidi, quelli non sono un problema, ma per l’impossibilità di far maturare la cosa nei tempi giusti. Nel frattempo, di Cersei non sembra rimasto niente, se non un personaggio ormai puramente cattivo, che compare solo saltuariamente per fare cose cattivissime, salvo poi rispettare il patto d'onore della trattativa e non crivellare tutti con frecce e quadrelli.
Una eventuale “Evil Dany” (che con quella smorfia finale tira fuori una piccola prova d'attore niente male) ci mostrerebbe i rischi del potere e la sua inevitabile corruzione, ma è un cambiamento che deve iniziare con calma, non in due puntate in cui tutto sembra incastrarsi per farla (giustamente) incazzare. Quanto avrebbero fatto bene altre tre o quattro puntate. Questo potrebbe anche essere il primo vero passo falso di Varys, che per il suo tentativo cospiratorio fin troppo precoce potrebbe morire, dando il via alla spirale di distruzione che ci accompagnerà alla conclusione.