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Frankenstein, o la maternità impossibile di Mary Wollstonecraft Godwin Shelley

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Dietro alla creazione scellerata di Frankenstein, a caccia della maternità impossibile e tragica della sua autrice, Mary Wollstonecraft Godwin Shelley.

Per sua e nostra fortuna, Frankenstein non ha mai subito la ghettizzazione letteraria della definizione di chick lit, roba da femmine. La storia del Moderno Prometeo è stata talmente capace di polarizzare l'universalità dello sconforto umano da far a tratti dimenticare che a scriverla è stata una donna, e che all'interno del racconto della hybris di Victor sono celati i segni di una vita funestata dalla negazione costante della maternità.

Nel corso dei due secoli che ci separano dalla stesura del libro, a Frankenstein sono stati applicati decine di filtri, dal commento sulla clonazione e la nascita artificiale, alla riflessione sul lato oscuro della tecnologia, passando per la sfida a Dio e la critica nei confronti del classismo. Ma nella prefazione all'edizione del 1831, l'autrice definisce il romanzo la sua "mostruosa progenie", dandoci modo di focalizzare la nostra attenzione su un taglio decisamente più personale e squisitamente femminile. Il che non annulla o contraddice le altre modalità di interpretazione, aggiunge solamente un ulteriore e importante strato alla già complessa eredità lasciata da questo capolavoro assoluto.

Mary Shelley, di Richard Rothwell

Mary Wollstonecraft Godwin Shelley nasce il 30 agosto 1797 a Londra, e a pochi giorni dal suo ingresso nel mondo vive il primo dei suoi molti incontri con la morte prematura, nonché il presagio di un rapporto con la maternità funestato dalla tragedia. La madre dalla quale prende anche il nome, Mary Wollstonecraft, autrice di testi rivoluzionari sulla condizione femminile, muore pochi giorni dopo la sua nascita di setticemia, lasciando la figlia con il padre William Godwin e con la sorella Fanny Imlay, primogenita della Wollstonecraft da una precedente relazione. Godwin si risposa alcuni anni dopo con Mary Jane Clairmont, che diventa la matrigna assolutamente detestata della piccola Mary.

Il vuoto lasciato dalla madre rimane per sempre incolmato e la tomba della Wollstonecraft diventa il luogo del cuore della figlia. Proprio davanti alla lapide del cimitero di Saint Pancras, Mary confessa il proprio amore al poeta e filosofo Percy Bysshe Shelley (sposato e con prole), conosciuto pochi mesi prima nel corso di alcuni viaggi in Scozia. Quando la coppia scappa in Francia nel 1814, Mary ha 16 anni. Nelle settimane di viaggio verso la Svizzera e ritorno, Mary rimane incinta della sua prima figlia, che nasce il 22 febbraio 1815 e muore circa due settimane dopo, prima ancora di aver ricevuto un nome.

Percy Shelley, di Alfred Clint

A distanza di meno di un anno, Mary dà alla luce il suo secondo figlio, William, e pochi mesi dopo l'intera famiglia si dirige verso Ginevra per trascorrere l'estate in compagnia di Lord Byron e del suo medico personale, John William Polidori. Nel gruppo c'è anche la sorellastra di Mary, Claire, diventata amante di Byron, che nell'idilliaca cornice di Maison Chapuis ha anche in compito di comunicare al poeta di essere incinta. Durante le giornate piovose del soggiorno a Ginevra prende forma la origin story di Frankenstein, che avrebbe dovuto essere un racconto di fantasmi con il quale intrattenere gli ospiti annoiati.

Una volta rientrata a Londra, Mary continua a lavorare sul suo racconto e tra il 1816 e il 1817 lo trasforma nel romanzo che pubblicherà poi in forma anonima, con un'introduzione di Shelley, che in molti suggerirono potesse esserne anche l'autore. Durante quei due anni di lavoro febbrile, Mary è costantemente alle prese con bambini piccoli, gravidanza o sciagure. Nell'ottobre 1816 si suicida la sorella maggiore Fanny, mentre a dicembre si toglie la vita anche la moglie di Shelley, Harriet. Tre settimane dopo, Percy e Mary si sposano, in gran parte per favorire l'affidamento alla coppia dei figli di lui, che viene invece negata pochi mesi dopo. A maggio, Mary termina il suo Frankenstein, mentre sta terminando anche la sua terza gravidanza. La figlia Clara Everina nasce il 2 settembre.

Mentre il romanzo inizia a girare senza il nome di Mary in copertina, la famiglia si trasferisce in Italia e si porta dietro il suo carico di tragedia. Gli Shelley lasciano l'Inghilterra nel 1818 e iniziano a girare le più importanti città italiane. L'anno dopo muoiono entrambi i bambini, Clara e William, mentre a novembre nasce Percy Florence, l'unico superstite delle cinque gravidanze di Mary, che è nuovamente incinta nel 1822, ma subisce un aborto spontaneo che per poco non la uccide. Poco dopo, salpando da Livorno con il mare in tempesta, Percy Shelley muore affogato e viene cremato sulla spiaggia di Viareggio dove il suo corpo riaffiora a dieci giorni dall'incidente.

Rientrata in Inghilterra, Mary si dedica alla scrittura e all'editoria. Nel 1830 vende i diritti di Frankenstein per una seconda edizione, stavolta con il suo nome ben visibile in copertina e con un'introduzione scritta di suo pugno. Muore il 1° febbraio 1851 a cinquantatre anni.

Quindi. Mary inizia a scrivere Frankenstein a 19 anni, quando ha già perso la madre e una figlia. Ha un bambino di pochi mesi e prima che il romanzo sia terminato sta per darne alla luce un terzo, insieme a un uomo che ha abbandonato la moglie e i figli per scappare con una sedicenne. Non sorprende che tra le pagine della sua opera si possano trovare senza troppa fatica i segni di una genitorialità problematica, assillante, mortifera e maledetta.

I personaggi di Frankenstein sono perseguitati dalla morte delle madri. Prima su tutti, la madre di Victor, Caroline Beaufort, accolta e poi sposata dopo anni di povertà insieme al solo padre, muore a sua volta quando il figlio ha 17 anni. Elizabeth, la cugina promessa sposa, praticamente adottata dalla famiglia alla morte della madre (la sorella del padre di Victor), verrà uccisa dalla Creatura durante la sua prima notte di nozze. Poi Justine, la domestica accusata dell'omicidio del piccolo William, intrappolata sotto il giogo della malvagia matrigna, verrà giustiziata da innocente. Infine la famigliola dalla quale la Creatura impara a comunicare, due figli, il padre cieco e nessuna madre.

La carenza di figure materne è uno dei tratti più evidenti nella costruzione del romanzo. Le donne sono assenti oppure destinate ad andarsene presto, eppure è a loro che vengono dedicate le parole più dolci e ammirate dell'autrice, che rende quindi le sue protagoniste più delle martiri virtuose che delle vittime delle circostanze. La vita delle madri all'epoca era infatti particolarmente pericolosa. La mancanza di contraccezione faceva sì che le donne sessualmente attive brancolassero spesso in un dedalo di gravidanze, portate a termine con cure mediche scarse quando non inesistenti. I parti erano un terno al lotto e in molte non sopravvivevano, come anche coloro che tentavano di interrompere la gestazione con pratiche tutt'altro che sicure e igieniche.

Mary Shelley, di Reginald Easton

La stessa Mary era figlia di una madre morta in conseguenza del parto, e la sua primogenita aveva avuto una speculare sfortuna. Mary si circonda quindi di madri dal destino tragico e di figlie cresciute senza una guida al mondo femminile. Per quanto riguarda la paternità, Frankenstein ha invece una posizione ambigua. Il padre di Victor è un esempio di virtù e amorevole cura, ma il figlio si macchia della rivoltante colpa di aver abbandonato la propria Creatura subito dopo averle dato la vita. La figura di Victor Frankenstein può però essere letta sotto due diverse angolazioni.

Conservandone la connotazione maschile, Victor può essere una proiezione di Percy Shelley, un padre che abbandona prole e moglie per inseguire i sogni romantici con un'altra donna, e che si assenta spesso anche dalla vita di Mary, per sfuggire all'orda di creditori che gli davano la caccia per recuperare massicce somme di denaro. Ma Victor può essere visto anche come alter ego della stessa Mary, che al momento in cui scriveva aveva ancora in mente la figlia scomparsa, praticamente una creatura nata con la morte a fianco, senza nome. Questo tipo di transfert nei confronti del protagonista parla di un senso di colpa pungente, ma anche di un'angoscia soffocante per il futuro, per la nuova creatura che Mary portava in grembo.

Le modalità che permettono l'assemblamento della Creatura sono solitamente interpretate come un sovvertimento innaturale della maternità, osteggiata e punita per il tentativo di eliminare il femminile dal processo di creazione della vita. Ci sta. Ma se accettiamo di vedere in Victor anche un riflesso dell'autrice, il processo scientifico con il quale viene prodotta la Creatura potrebbe quasi rappresentare il sogno proibito di una nuova maternità, più efficiente e sicura, che non passa dal corpo della donna ma prodotto unicamente dalla sua volontà e competenza. Mary ha forse sognato di poter essere una madre tecnologica, mentre affrontava invece la fatica, il pericolo e il peso mentale di quattro anni trascorsi quasi costantemente in gravidanza, per poi veder morire la semi totalità delle sue creature.

Mary Shelley, di James Pardon

Se il pensiero di una maternità senza il corpo della madre ha sfiorato l'immaginazione di Mary, non è rimasto a lungo impunito, ma mentre Victor riconosce di aver superato il limite e ammette la propria colpa, la Creatura sostiene il proprio diritto all'esistenza, dicendo di essere nata simile al Demonio soltanto nell'aspetto e di essersi perduto moralmente solo a causa dell'odio umano e dell'indifferenza del proprio creatore. In sostanza, se una maternità scientifica fosse stata possibile, il mondo non sarebbe stata capace di accoglierla.

Da qualsiasi punto di vista vogliate leggere il Frankenstein di Mary Wollstonecraft Godwin Shelley, avrete la possibilità di fare un viaggio iniziato 200 anni fa da una ragazza diciannovenne che aveva già vissuto molte vite, genitrice sfortunata ma madre di mostri immortali.

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