Caro Doctor Sleep, sono passati molti anni dai tragici avvenimenti che si sono consumati tra i sinistri corridoi dell’Overlook Hotel, non-luogo spettrale ormai chiuso e abbandonato. Un ulteriore strato di sangue si è sedimentato sopra agli altri già presenti e i segni del tempo hanno iniziato a fare il loro corso.
Danny, nel frattempo, è diventato un’icona. All’interno del mondo del cinema, il bambino e il suo triciclo sono diventati dei veri e propri simboli del genere horror. Insieme a loro, a comporre un immaginario entrato nella storia si aggiungono le inquietanti gemelline, la donna della vasca, l’ascensore da cui fuoriesce una cascata di sangue e, ovviamente, il volto terrificante di Jack Nicholson, indimenticabile Jack Torrance.
Shining è infatti un film che ha lasciato un’eredità enorme all’interno dell’iconografia cinematografica di ogni tempo. Dai Simpson a Ready Player One, il capolavoro di Kubrick è stato preso come simbolo assoluto dall'incredibile impatto culturale, citato e omaggiato ovunque, anche ben al di là dei confini pop.
Come riuscire quindi a confrontarsi con un lascito così grosso, a quasi quarant’anni dalla sua uscita?
Al giorno d'oggi, non è certo difficile cadere nel patetico quando si recuperano vecchi franchise dopo così tanto tempo, né finire marchiati come fautori di una misera mossa commerciale allo scopo di soddisfare semplicemente le esigenze del grande pubblico, senza basarsi su una vera e propria ragione d'essere artistica.
Mike Flanagan, autore che si è ritagliato un ruolo tutt'altro che trascurabile nel panorama horror contemporaneo, con piccole opere come Oculus, Somnia, Hush e produzioni Netflix come Il gioco di Gerarld (tratto sempre da King) e Hill House, sembra aver trovato la miglior risposta possibile. Cerchiamo di capire perché.
Il tempo è passato, Danny non è più un bambino. È diventato un alcolizzato e continua ad avere incubi sulla sua infanzia. Su sua stessa confessione, cerca di trovare rifugio scappando da sé stesso, e incappa in un’onesta cittadina pronta ad accoglierlo. Nel frattempo, un gruppo di persone dai poteri soprannaturali è alla caccia di giovani dotati di luccicanza (lo shining), proprio come Danny, la cui storia, insieme a quella di una bambina, Abra, dalle capacità incredibili, si andrà a scontrare con quella della setta che ha il ruolo di antagonista nel film.
Un intreccio abbastanza complesso, che si prende tutto il tempo necessario per svilupparsi a dovere, alternando con intelligenza tre linee narrative, fino a unirle in uno spettacolare climax finale.
Salta subito all’occhio come la seconda storia di Stephen King dell’universo Shining, si distacchi molto dal primo capitolo. Si nota come la tematica della luccicanza abbia un ruolo centrale, sia per l’autore letterario (che infatti ha approvato in toto la trasposizione di Flanagan) sia per il regista. Kubrick usava il romanzo di King come un pretesto per parlare di argomenti a lui più cari, come la disgregazione del nucleo famigliare, il genocidio dei nativi americani o, addirittura, per i più complottisti, il falso allunaggio girato dallo stesso Kubrick, trascurando quasi completamente il dono di Danny che gli permette di connettersi con le persone, vive o morte.
Luccicanza, letteralmente, significa brillare di luce propria (“to shine”, in inglese, significa “splendere”) ed essere in grado di sapere cose che altri non sanno. Ed è questo il tema su cui Doctor Sleep si concentra maggiormente. Una guerra invisibile tra esseri dotati di poteri invisibili, che nel corso delle epoche vivono cercando di reprimere queste loro abilità, o di rilasciarle e sfruttarle per vivere in eterno.
Danny nel romanzo viene chiamato Dottor Sonno, perché accompagna gli anziani in fin di vita alla morte durante il suo lavoro di inserviente in un ospedale. Sfrutta le sue capacità per aiutare gli altri e sente la responsabilità di proteggere Abra (diminutivo di Abracadabra) dalle persone che vogliono farle del male. Un percorso di redenzione che si perde negli anni, che ha le sue radici in un passato lontanissimo e, allo stesso tempo, quasi tangibile. Un dono, quello di Danny, che è anche un fardello da portarsi appresso, da espiare in qualche modo attraverso la confessione, col fine di conquistare la pace.
L’espiazione trova compimento, ovviamente, nel climax finale e nel ritorno all’Overlook Hotel, origine di ogni Male nonché presenza nefasta che si fa spazio nella mente del protagonista come in quella dello spettatore. Un luogo maledetto dove il confronto con la morte, e quindi con il passato, è inevitabile.
Allo stesso tempo è inevitabile il confronto con Shining di Kubrick, che Flanagan omaggia continuamente con massimo rispetto e umiltà. Se il collegamento narrativo con il film precedente può sembrare sconnesso, quantomeno all’inizio, il tutto si risolve perfettamente durante l’ultimo atto. La lunga premessa e le frequenti diramazioni fanno tutte parte di un modo di raccontare un universo che, secondo gli autori, è al di sopra di ogni massimo sistema.
Tutta la mitologia dietro Shining è infatti confusa e frammentaria, ma è forse questo che la rende così interessante.
Nessuno sa con esattezza cosa sia la luccicanza, si rivela essere una materia astratta intrinseca alla pura natura cinematografica. Kubrick diceva che se qualcosa può essere scritto, o pensato, può essere anche filmato. Doctor Sleep vive di questa idea, dove lo sviluppo anarchico della narrazione va di pari passo con l’’immaginazione della messa in scena, la fotografia onirica e il fascino per l’ignoto.
Un’eredità portata in maniera eccellente nel nostro tempo, con coraggio, gettando il cuore oltre l'ostacolo, distanziandosi anche dalla pagina scritta. Sicuramente non diventerà nel tempo un cult come Shining, ma non ne patirà eccessivamente il confronto proprio per le sostanziali differenze di approccio alla materia.
Un'opera che sicuramente consacra Mike Flanagan come uno dei nomi di punta del nuovo horror americano, lontano dalle ambizioni metaforiche di Ari Aster, Jordan Peele e Robert Eggers, ma in ogni caso da tenere d'occhio. Questo Doctor Sleep è un horror profondamente legato ai propri personaggi, tanto da donare loro una dimensione drammatica e un’evoluzione in grado di emozionare lo spettatore. Esattamente come accadeva nella splendida serie Hill House, Flanagan usa il genere per mettere alla prova i protagonisti sullo schermo, e non dimentica cosa ci faccia veramente paura: l’intangibile passato che, insieme alle nostre paure più ancestrali, ci aspetta sotto al letto, quando andiamo a dormire.