Chi va pagano va sano e va lontano: da “The Witch” a “Yellowjackets”
Nel 2021 molto horror al cinema e in tv ha parlato della relazione tra culti pagani e Natura, passando per stregoneria e folklore secolare.
In tempi non sospetti, Robert Eggers portò al cinema la rielaborazione sofisticata e affascinante della nascita di una strega. Era il 2015 e “The Witch” si preparava a fare proseliti sotto numerosi punti di vista nel panorama horror mondiale. Prima che il trend stregonesco prendesse piede, anche grazie alla spinta propulsiva del revival anni ’90, si impose un certo gusto per l’orrore cosmico, che diede vita a “The Void”, “The Endless”, “Il colore venuto dallo spazio”, “Mandy” e “Annientamento”. Il 2018 fu l’anno delle streghe televisive, con “Le terrificanti avventure di Sabrina” e il reboot di “Charmed”, ma l’impatto del ritrovato amore per le fattucchiere impiegò un paio d’anni per fiorire del tutto, probabilmente grazie alle riflessioni sulla rappresentazione femminile dell’era post-MeToo.
È infatti dal 2020 che si coglie a pieno il potenziale della figura della strega e quanto le infinite varianti del concetto di stregoneria funzionino per l’horror. Escono quindi “The Craft Legacy”, “Gretel and Hansel”, “The Old Ways” e “Fear Street”, che non solo hanno le streghe, ma hanno anche un occhio molto attento per tutto ciò che accompagna il loro immaginario culturale, ovvero i culti pagani, lo sciamanesimo, il folklore e un generale ripensamento delle strutture religiose che oggi reputiamo dominanti.
Folk you!
La stregoneria ci parla di una gestione del potere molto diversa da quella gerarchica e patriarcale delle grandi religioni monoteiste. Ci sussurra incantesimi di sacralità, di potere femminile, di negoziazione dell’autorità, di contatto con un divino accessibile e di tradizioni dimenticate, tutti elementi che ritroviamo infatti in molta produzione horror dal 2019 in poi, come in “Midsommar”, “A Classic Horror Story”, “Antlers”, “The Empty Man” o “Midnight Mass”.
A rimescolare le carte in tavola ci ha pensato la pandemia del 2020. Quando l’egemonia delle streghe sembrava gradualmente affievolirsi, l’universo ci ha giocato un brutto scherzo e ci ha costretti a mettere in pausa l’esistenza per rintanarci nelle nostre case. Paradossalmente, in casa siamo diventatə tuttə un po’ streghe: siamo andatə in fissa con le piante, lo yoga, l’astrologia, la cucina, tutte attività squisitamente magiche e capaci di non farci perdere il senno mentre fuori si intravedevano i primi fuochi dell’apocalisse. L’isolamento ci ha privato di rapporti umani e di rapporti con l’ambiente esterno, ma, se la tecnologia è servita come temporaneo sostituto per la socializzazione, chi non aveva spazi verdi a portata di mano si è visto totalmente alienatə dal contatto con la Natura.
Fame di terra
L’esperienza pandemica ci ha senza dubbio spinto a farci qualche domanda sul senso ultimo della nostra presenza sul pianeta, sui ritmi e la qualità del lavoro, sull’impatto che le attività umane hanno sull’ecosistema, sempre più minacciato da una crisi climatica che non riusciamo proprio a prendere sul serio come dovremmo. Non sorprende neanche un po’ che gli effetti di tale configurazione socioeconomica abbiano portato a un incrocio tematico tra il paganesimo tanto amato dall’horror recente e l’ambientalismo. Il crossover è avvenuto in maniera trasversale, sviluppandosi in maniera più radicale al cinema, ma arrivando a invadere anche la serialità televisiva, dove la contaminazione con altri generi lo ha reso meno evidente.
Da qui in poi fate attenzione, potreste incontrare qualche spoiler su “Yellowjackets” e sulla quinta stagione di “Riverdale”.
Nell’inverno del 2021 è uscita una delle serie più interessanti e discusse dell’intero anno. “Yellowjackets” si presentava infatti come un incrocio tra “Lost” e “Il Signore delle Mosche”, con un gruppo di ragazze adolescenti a tentare di sopravvivere dopo un disastro aereo. La narrazione alternava passato e presente, portandoci a vedere alcune delle protagoniste da adulte, ma centellinando con avarizia i dettagli di ciò che realmente successe tra i boschi canadesi. Naturalmente la prima cosa che è venuta a mente dopo le prime puntate è stata “cannibalismo!”, certo, ma la serie sembrava poco interessata all’eventualità (molto plausibile) di un exploit cannibale. Le briciole lasciate sul sentiero portavano invece a qualcosa di più sinistro e meno comprensibile, una connessione invisibile tra alcune delle ragazze e l’ambiente che le circondava.
Dalla natura selvaggia arrivavano voci, versi animali, richiami per coloro che riescono a sentirli. Ma il dubbio alla fine della prima stagione permane: Lottie è veramente la sciamana che riesce a interpretare la volontà dei boschi? In che modo Taissa (che mangia letteralmente la terra) è parte della comunità pagana che serve gli spiriti dell’inesplorato? Per le risposte attenderemo il tempo necessario, ma intanto le suggestioni esoteriche di una serie che avrebbe potuto essere semplicemente un survival teen drama ci danno dell’ottimo materiale su cui pronosticare.
Qualcosa di simile è successo con la quinta stagione di “Riverdale”, che da sempre gioca con i suoi elementi soprannaturali per poi riportarli a sorpresa sul piano del crimine. Lo Scooby-Doo twist, in poche parole. Di nuovo, fermatevi ora se temete spoiler, andiamo proprio al finale! Con le nuove puntate siamo invece finalmente arrivati al magico momento in cui “Riverdale” si connette con la sua serie gemella, “Le terrificanti avventure di Sabrina”. Hallelujah.
Nel corso degli episodi, vediamo infatti Cheryl Blossom in cerca del suo lato spirituale, passando per la creazione di una propria chiesa, l’adorazione del fratello morto e persino l’auto-incoronazione come profeta. Alla fine, Cheryl si rende conto della pochezza delle proprie sceneggiate e scopre il vero potere che aveva finora ignorato, quello degli elementi, della Natura che si manifesta attraverso i suoi preziosi aceri. Cheryl è procinto di scoprire il culto della Dea, un potere antico e radicato nella terra, che la metterà probabilmente in comunicazione con la cittadina di Greendale, patria delle streghe Spellman.
Il cavaliere senza testa
Sempre nel 2021, anche il cinema ha subito la fascinazione di una Natura irrequieta e incompresa, maltrattata ma tornata in possesso di quel tanto che basta per distruggerci senza troppo fatica. Dal ciclo arturiano arriva “The Green Knight” di David Lowery, viaggio epico e allucinato che ha come protagonista il nipote di Re Artù, Gawain. Nel giorno di Natale, il giovane risponde alla sfida del Cavaliere Verde, una personificazione della Natura che pone alla corte un semplice invito: fatemi ciò che volete, ma il colpo inflitto vi sarà restituito identico tra un anno esatto. Gawain è poco furbo, altezzoso e arrogante, quindi decapita il cavaliere con Excalibur. Mesi dopo, si mette in viaggio per raggiungere il luogo dove riceverà indietro il colpo fatale, affrontando sfide e ponderando sull’eventualità di fuggire dalle proprie responsabilità, da buon esponente della razza umana.
Il Cavaliere Verde ha infatti spiegato i termini del patto con grande chiarezza, e sta semplicemente seguendo l’avvicendarsi delle stagioni. Quello che noi chiamiamo Natale, era per i culti pagani il periodo del Solstizio d’Inverno, la celebrazione dell’alternanza tra vita, morte e rinascita, che celebra il giorno più buio dell’anno come segno di una nuova Primavera ormai sempre più vicina. Gawain invece si approccia al Cavaliere con l’ostilità di un conquistatore, che pagherà con la propria vita la convinzione, molto sciocca, di poter battere la Natura usando la forza. Per altro, chi avrà mai evocato il Cavaliere Verde perché mettesse alla prova il deludente Gawain? Of course, la madre, insieme a un gruppo di donne che hanno tutta l’aria di un delizioso concilio di streghe.
Natura psichedelica
Passando dalla complessa simbologia di “The Green Knight” a un approccio più letterale, ma certamente non meno visionario, troviamo l’ottimo “In the Earth” diretto da Ben Wheatley. Il contesto è molto simile a quello di una pandemia non specificata, che porta due studiosə nei boschi fuori Bristol per una qualche ricerca sui funghi. Lungo la via si imbattono in un bizzarro individuo accampato nel nulla, che prima offre ristoro e poi utilizza i due malcapitati per creare regali indirizzati a un’entità che viva nella Natura. Un’entità che vuole essere intrattenuta. Poco distante, una ricercatrice, in combutta con l’uomo, sta mettendo a punto un sistema per comunicare con l’entità boschiva grazie a suoni, luci e a un’antica pietra conficcata nella terra.
Qui più che mai si fa evidente il parallelo tra invenzione filmica e realtà, ma anche il confluire di idee tra autori contemporanei. “In the Earth” come “The Green Knight” fa della Natura un personaggio che non vede l’ora di parlare, ma soprattutto che aspetta con ansia di essere ascoltato. Alla Natura non interessa la gloria o la sudditanza, il culto o l’idolatria. Le interessa la nostra collaborazione, e pare che il modo migliore per andare in quella direzione sia recuperare un po’ della saggezza pre-cristiana che abbiamo congedato con stizza secoli fa. Il paganesimo ovviamente può essere accolto con entusiasmo letterale o come una grande metafora della condizione umana. Non sarò certo io a dirvi se correre a provare incantesimi o se leggere un libro sull’impatto dell’allevamento animale sul riscaldamento globale, ma quel che emerge con gradevole forza dalla produzione multimediale dell’ultimo anno è proprio la necessità di approcciarsi all’argomento ponderando la possibilità di aver sbagliato un po’ tutto. Abbiamo fatto delle cazzate, da dove cominciamo per porvi rimedio?