Il caso Cyberpunk 2077 secondo un "piccolo" sviluppatore
Da giovane sviluppatore immerso in un rilascio importante del software non posso non pensare al caso Cyberpunk2077 come ad un caso personale.
Mi chiamo Salvatore, ho 28 anni e nella vita faccio lo sviluppatore di software. Lavoro, quindi, dietro le quinte di tutti quei prodotti informatici e virtuali con cui chiunque a che fare ogni giorno nella sua quotidianità.
No, quasi sicuramente non avete avuto a che fare con applicazioni che portano qualcosa di “mio” al loro interno perché mi occupo di software per una precisa branca professionale e tecnica: quella delle gestione di progetto.
Faccio parte quindi delle giornate di altre persone, altri utenti che, giorno dopo giorno, imparano ad utilizzare quello che il team in cui lavoro offre loro ogni giorno provando a soddisfare ogni loro più piccola esigenza.
C’è, chiaramente, un motivo per cui sto raccontando queste cose: il caso Cyberpunk 2077, che né è il primo né sarà l’ultimo, che ha fatto discutere decine di videogiocatori (e non) negli ultimi mesi. Un caso che è culminato con la pubblicazione di un video di scuse da parte di CD Projekt Red e con differenti azioni legali prese nei loro confronti.
In mezzo a tutto ci sono state anche una serie infinita di dichiarazione da parte di ex dipendenti, reportage di nomi importantissimi dell’informazione videoludica e, ancora prima, tutta una serie di note in merito al forte crunch a cui sembravano essere sottoposti gli sviluppatori della casa polacca.
Ogni volta che mi è passata una di queste notizie sotto al naso la mia mente volava da Cyberpunk a JPM (è il nome del software a cui lavoro), dai videogiocatori ai clienti che utilizzano quotidianamente il nostro applicativo.
In questi ultimi mesi ho fatto sempre più fatica a non mettere in atto questo viaggio mentale, aiutato dal rilascio di JPM per un cliente importantissimo il quale rappresenta allo stesso tempo un motivo di forte orgoglio e il motivo di maggiore frustrazione lavorativa negli ultimi anni.
Affrontare un rilascio importante per uno sviluppatore, per qualunque tipologia di software, rappresenta sempre un momento decisivo della sua vita professionale: le tempistiche lavorative cambiano, cambiano le priorità e la mente è sempre indirizzata ad un’unica cosa. Il feedback da parte dell’utente finale.
“Avrò fatto un buon lavoro?” è la domanda costante che mi martella la testa da due mesi a questa parte e i difetti fisiologici di un rilascio tanto imponente rappresentano una costante fissa nel delineare quella fiducia che ripongo nelle mie capacità e nel prodotto che ho aiutato a confezionare.
Così ogni mattina al suonare della sveglia “sprofondo” in un loop di sconforto e insoddisfazione fino alla prima tazza di caffè della giornata, quella che mi aiuta a riordinare i pensieri e ad affrontare la scaletta del giorno.
Da qualche tempo l’ordine del giorno è sempre lo stesso: c’è un problema da risolvere per il cliente o c’è una nuova richiesta figlia di un’aspettativa troppo alta, di un misunderstanding con la richiesta o più semplicemente per degli use case non emersi in fase di test.
Così si apre, fra me e la tastiera, una piccola voragine buia di dubbi, di incertezze e di paure. “E se sbagliassimo di nuovo?” è la domanda che mi fa compagnia nelle prime ore del giorno, almeno fino al secondo caffè che mi aiuta a ragionare meglio e a non perdere il focus.
In fondo credo di essere in grado di fare il mio lavoro e non deve di certo spaventarmi una richiesta cambiata o qualche piccolo bug che per un motivo o per un altro è sfuggito allo sviluppo iniziale o ai test preliminari. Non posso tenere tutto sotto controllo ma posso cercare di mantenere alta l’attenzione e dare il meglio di me.
E quella voragine, da buia e spaventosa acquisisce sempre di più le connotazione di una montagna da scalare, una sfida da compiere per crescere, migliorare ed evitare lo stesso sbaglio che ho commesso in passato.
“Bene, adesso lo so e non ricapiterà più” è l’ultimo pensiero della giornata, quello prima di riporre il PC sullo scaffale e prepararmi ad una nuova sequenza di eventi che assomiglierà a quella appena vissuta ma con un grado di consapevolezza maggiore.
Mentre rifletto sulla mia condizione di sviluppatore che affronto il mio “mostro”, il mio cliente finale, continuo a pensare a chi ha versato fiumi di sudore su Cyberpunk 2077, a chi ci ha messo l’anima nel progetto anche se alla resa dei conti definitiva ha perso la battaglia per qualche difetto di troppo.
E ci penso spesso quando mi si chiede del gioco e io rispondo “beh certo, non hanno fatto un buon lavoro”, perché, da sviluppatore, so che non è vero. So che ognuno di quei programmatori ci ha messo il cuore nel gioco, ha faticato, ha fatto le ore piccole, ha passato notte insonni pensando a come risolvere un problema solo per potermi permettere di fruire del suo lavoro.
Oggi quello sviluppatore ha trasformato quella voragine di paura, dubbi e incertezze scavata da un lancio decisamente poco fortunato e l’ha trasformata nella sua montagna da scalare, nella sua occasione di miglioramento e crescita personale.
Domani JPM sarà certamente un prodotto eccezionale quanto tutti noi avremo finito di scalare la nostra montagna e come lui anche le patch di Cyberpunk 2077 e i suoi DLC avranno lasciato, nel loro “grande” piccolo, un segno indelebile nella storia.