Carne Fredda - Antipasto con cocktail di orrore e raccapriccio
Roberto Recchioni esordisce alla regia e lo fa con un mediometraggio dai profili disturbanti, in anteprima sul palco del Comicon di Napoli
La scena è in 4:3, la fotografia è in bianco e nero.
Al centro della scena c’è un succulento pezzo di carne al sangue, inquadrato dall’alto mentre viene affettato. Le fette disposte con cura in un piatto da una mano di cui non vediamo il proprietario.
Il piatto viene servito ad un’anziana fumatrice, evidentemente la padrona di casa, il tavolo è disposto a tre quarti, due posti sono occupati. La scena è illuminata dalla luce delle candele, comunque insufficiente a rischiarare l’ambiente. Il tono della sala da pranzo è lugubre. Una supplica è in atto, una violenza si sta per compiere.
Questo è quanto ci è stato mostrato all’anteprima di Carne Fredda, la nuova opera prima dell’esordio alla regia di Roberto Recchioni.
Una cosa del genere non può che destare curiosità e interesse.
C’è qualcosa di ipnotico che sta venendo proiettato sullo schermo.
C’è qualcosa di così evidentemente sbagliato da sembrare quasi calcato nell’errore: i tempi. Lunghi, trascinati, la sensazione è effettivamente che quei tempi, quelle scene, siano protratte allo stremo. Si avverte quasi una punta di disagio negli sguardi dell’attrice più giovane tra le occupanti del tavolo che rivolge alla sua anziana interlocutrice. Ecco, quel tempo così lungo, quella dilatazione della scena è protratta appositamente per accendere quella luce di disagio negli occhi della protagonista. Sembra chiedersi quando quel momento stia per finire. E non finisce.
Ancora adesso che sono a casa, poggiato col computer sulle ginocchia per scrivere queste poche righe prima di concedermi al sonno, non so quanto sia stato effettivamente lungo il frammento del film (anche se qualcuno direbbe mediometraggio) presentatoci da Roberto Recchioni nella Sala Italia del Teatro del Mediterraneo a Fuorigrotta in occasione del Comicon 2022.
E non l’ho cercato su Internet, perché nemmeno mi interressa un valore numerico reale per infrangere quella palpabile sensazione di disagio che Roberto nella sua opera prima dietro la macchina da presa ha voluto instillare nei suoi spettatori.
Ci sarebbero diverse cose da dire, dal modo in cui è entrato sul palco con un berretto à la Spielberg, al tutore portato con scioltezza, al solito stile che ha nel raccontarsi e nel raccontare il suo lavoro, un gusto da prestigiatore che ti fa sempre vedere dove ha le mani nonostante continui a sfilare assi dalle maniche e colombe dal cilindro.
Nessuna parola, nessun gesto, nessuna delle citazioni che vengono spulciate con disinvoltura durante la presentazione è buttata a caso.
Roberto parla dell’esordio alla regia di Spielberg (confermando quindi che il suo look è un easter egg), cita Alfred Hitchcok presenta per quanto riguarda il formato quadrato televisivo, la fotografia, la grana della pellicola, Eggers per un certo gusto orrorifico surreale, e infine cita una roba che personalmente avevo annusato, come riferimento indiretto, The Kingdom (o Riget, per i puristi), la miniserie di von Trier del 1994 che successivamente venne distribuita come un unico film di 4 ore.
Ho pensato a The Kingdom per il disagio. O meglio, indagando sulle radici del disagio che provavo. Non era solo il tempo dilatato, non poteva essere solo quello. Ormai giocare con la più sfuggente delle dimensioni è diventato un vezzo tale che alcuni registi ne hanno fatto un tratto distintivo della loro poetica.
Gli angoli: mi hanno turbato gli angoli delle inquadrature delle scene. Non trovi piani ortogonali, non ci sono centri, è tutto spostato, o meglio, tutte le inquadrature sono disposte in modo da sembrare fuori dalla grazia di dio. Tutto è come normalmente non pensi debba essere. È strano. No, è consapevolmente giocato sullo strano che quindi strania lo spettatore causando il disagio. Incredibile. E non si è visto praticamente nulla. Tutto quello che per adesso è fuoriuscito indica che sarà un body horror con un discreto quantitativo di violenza, gestita con l’aiuto di effetti speciali pratici.
Vale la pena ancora dire come Carne Fredda sia un progetto in divenire e che la sua “forma finale” non è ancora stata definita del tutto.
Nelle intenzioni dell’autore è un primo capitolo di una serie di episodi a tema horror. Questo nello specifico ha al centro della vicenda il tema del cannibalismo, inteso come simile che mangia il simile metaforicamente parlando per soddisfare la propria fame di potere, in un desiderio quasi vampiresco di sopraffazione.
Carne Fredda rappresenta per Roberto Recchioni l’ennesima indagine post-moderna, smontando il cinema, sì, ma per fare altro cinema, in un’operazione che invece rifiuta categoricamente il richiamo al fumetto, ma che inevitabilmente qualcosa dopo 30 anni di carriera nel ramo è impossibile non essersi portato dietro. Sta di fatto che il metodo d’indagine è sempre lo stesso, quel costante smontare e rimontare di elementi che gli piacciono presi come campioni di una poetica (o stile) per trasformarli in qualcosa di altro. A questo fine, ad uno spettatore che dovesse incappare in Carne Fredda resterebbe solo una potente sensazione di disagio, a chi è più, non dico studiato, ma più smaliziato, arriverebbe di rimbalzo (o filtrata) la precisa direzione intrapresa dal nuovo progetto di Roberto.
Non so con precisione quello che sarà di Carne Fredda e allo stato attuale probabilmente non lo sa nemmeno Roberto ma sul piano prettamente esperienziale, nella sua natura di frammento inteso come momento del processo creativo e non come pezzo estrapolato da qualcosa di più grande, il momento è stato intenso, tanto quanto la risata, quella maledetta risata che lascia una eco molto maggiore rispetto alla sua già innaturale durata.