Calvino, Se una notte d'inverno un giocatore
“If On A Winter's Night, Four Travelers” della Dead Idle Games è un'avventura grafica ispirata in modo libero a u celebre romanzo di Calvino: una intersezione tra videogame e letteratura che ci piace molto.
“If On A Winter's Night, Four Travelers” è un videogioco gratuito ispirato a Calvino, recentemente pubblicato (a settembre 2021) da Dead Idle Games, con autori Laura Hunt and Thomas Möhring. Funziona su Windows e Linux ed è un classico Adventure in stile retrogaming, che rimanda ai gloriosi punta e clicca anni ’80, della Sierra e della LucasFilm.
Come si evince fin dal titolo, c’è una ripresa di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979) di Italo Calvino, uno dei tanti eccezionali romanzi, colpevolmente lasciato un po’ a margine del canone letterario. L’opera è un caposaldo del postmoderno, e ha la particolarità di essere scritto non in prima o in terza, ma (in ampia parte) in seconda persona. Esattamente come i librogames che proprio in quei primi anni ’80 vedevano un notevole successo sulla scorta, ovviamente, del fiorire dei primi adventure testuali, che ne avevano rilanciato il successo.
Il volume di Calvino si presenta come un viaggio meta-letterario: il Lettore (“tu”) cerca di venire a capo di un mistero di romanzi immaginari intrecciati tra loro, con una brillante riflessione sul letterario. Il libro, tradotto da William Weaver, fu pubblicato nei paesi anglosassoni nel 1981, ed ebbe un notevole successo, anche legato al fatto che Calvino – unico intellettuale italiano, assieme ad Eco – fu invitato a tenere delle celebri “Lezioni americane” ad Harward (che l’autore non tenne, causa la sua scomparsa nel 1985, e costituiscono il suo testamento spirituale).
L’opera non venne apprezzata solo dalla cultura accademica, ma anche in quella ludica: “White Dwarf”, storica rivista legata al mondo dei giochi di ruolo, la recensì al numero 45 per mano di Dave Langford, con una valutazione giustamente entusiastica.
Questa ripresa videoludica è quindi molto interessante, anche se non tenta un adattamento fedele dell’opera (che sarebbe anche una operazione intrigante e possibile, ma forse porrebbe, tra l’altro, questioni di diritti) ma un omaggio libero. Non si collega quindi tanto agli adattamenti videoludici di un classico, che immaginavo in un precedente articolo, ma più alla generale rinascita degli adventure come nicchia promettente del videogame "indie", che li usa sovente per strutturare storie interrattive complesse ed intriganti, come ad esempio A night in the woods.
La grafica pixellata, estremamente suggestiva, è quella dei videogame anni ’80, esattamente come il sistema di interazioni con l’ambiente circostante, basato su un sistema “punta e clicca” più snello della classica interfaccia Scumm. Non abbiamo infatti opzioni da selezionare su un menu o un archivio di oggetti recuperati, ma interagiamo semplicemente cliccando sull’ambiente circostante o, in certi casi, scegliendo opzioni di dialogo da una triade di proposte (questo sì un rimando allo stile dei dialoghi Lucasfilm).
La scena iniziale, con un treno che corre nella notte, richiama apertamente uno dei massimi titoli Lucasfilm, “Indiana Jones e l’ultima crociata”, ottimo adattamento videoludico del terzo film dedicato al personaggio. Viene da pensare a una citazione esplicita, data la valenza iconica di quei famosi “titoli di testa”.
La vicenda poi ovviamente diverge. Una serie di personaggi si incontrano, e cercano di ricostruire come sono giunti sul treno. Il gioco, gratuito e molto interessante, comporta un paio d’ore di sessione di gioco anche per un giocatore più “casuale”: quindi consiglio senz’altro di provarlo e poi tornare qui nel caso di particolari timori al proposito di spoiler
Si intuisce quindi fin da subito che giocheremo le storie dei personaggi convenuti, in tre differenti sessioni di gioco (esattamente come in Calvino c’è uno “switch” tra differenti lettori). Le tre storie sono di progressiva lunghezza e complessità: la prima è solo introduttiva, mentre la seconda e la terza sono piuttosto ampie, e l’ultima ha qualche enigma frustrante tipico di certi adventure (ma una certa frustrazione serve a mettersi nei panni del personaggio, quindi è una scelta direi accurata).
“THE SILENT ROOM”, la prima narrazione, è di ambientazione italiana, per omaggio a Calvino, e si cita la Roma del 1929 in modo piuttosto puntuale: non si parla solo di fascismo, sullo sfondo, ma i protagonisti hanno una relazione omosessuale che entra in crisi per i nuovi pronunciamenti del regime contro l’omosessualità che si intensificarono ulteriormente dopo il concordato con la chiesa. Si parla anche di Torino, da cui proviene Carlo (un omaggio ulteriore a Calvino, probabilmente, che – originario di Sanremo – lavorò a lungo per l’Einaudi torinese). Si parla addirittura dell’ospedale psichiatrico di Collegno, con rimandi italiani molto precisi, forse grazie a consulenti italiani o esperti della nostra cultura.
Il merito di questo primo episodio è di introdurre quello che mi sembra lo specifico di questo gioco a un livello più semplice, ovvero l’uso della formula dell’adventure per l’esplorazione del pregresso narrativo. La situazione inizia infatti in medias res, ed esplorando l’ambiente noi otteniamo gradualmente più informazioni sul periodo, sulla situazione, sul protagonista, sulle sue relazioni.
“THE SLOW VANISHING OF LADY WINTERBOURNE” (che curiosamente riprende l’elemento dell’inverno nel nome) è più ampio e più complesso del – pur ben riuscito – capitolo iniziale, e intreccia questo tema esplorativo con il tema del recupero della memoria. Il protagonista del primo blocco narrativo sa tutto, è il giocatore che ignora la storia: qui Lady Winterbourne invece deve ricordare qualcosa di angoscioso che è successo, esplorando la sua claustrofobica dimora. L’esplorazione si fa ancora più ricca sotto il profilo culturale, perché – oltre agli elementi che fanno progredire la trama – la lettura dei libri, l’ascolto dei dischi preferiti, l’esame delle foto e dei ritratti di famiglia ci ricostruiscono un personaggio a tutto tondo, creato con i suoi estetizzanti rimandi culturali.
In qualche modo, qui si legge una riuscita ricezione della lezione del decadentismo e dell’estetismo: Lady Winterbourne, come un’eroina di D’Annunzio, di Huysmans o di Wilde, ha “fatto della propria vita un’opera d’arte”, e quell’arte che la circonda ci aiuta a comprenderla meglio. Potremmo anche avanzare dritti alla soluzione del gioco, ma questo ci toglierebbe un layer importante per apprezzare la storia del personaggio. L’elemento più elegante e inquietante, al proposito, è il modificarsi delle statue dell’atrio, con evidenti funzioni simboliche, che vanno a cambiare man a mano che l’orrore si va palesando. Ma ogni elemento ha una valenza ambigua nella memoria, e cliccandolo più volte acquisiremo maggiori dettagli – spesso contraddittori – sulla sua storia.
“THE NAMELESS RITUAL”, il terzo e più esoterico dei tre episodi, narra la discesa agli inferi del dottor Jordan Samuels, intenzionato a compiere un oscuro rituale per ottenere la vera conoscenza. Qui il gioco segue un’altra interessante variazione: man mano che avanza nel suo folle rituale, Samuels perde elementi di conoscenza, in una discesa negli abissi della follia dal sapore lovecraftiano (sia pure in una elaborazione originale del maestro di Providence, incentrata più sulla follia che sulla reale presenza di demoni: possiamo essere anche dalla parte decadente di un La-Bas di Huysmans).
In conclusione, l’opera si rivela molto interessante per gli appassionati del retrogaming adventure, e dimostra come questo tipo di narrazione interattiva ha ancora potenzialmente molto da dire. Se negli anni ’80 l’avventura grafica era una delle forme principali del mainstream videoludico, oggi può consentirsi di esplorare, come in questo caso, trame, situazioni, atmosfere più di nicchia.
Il risultato può essere particolarmente riuscito quando, come avviene qui, i limiti dell’avventura grafica sono sfruttati ai fini narrativi, per esaltare l’esperienza di gioco: la frustrazione occasionale del giocatore che si muove a vuoto corrisponde qui ad esempio a una analoga disperazione del personaggio; e l’imprecisione seducente della grafica pixellata, in modo correlato, estende questa vaghezza anche all’aspetto visuale (Lady Wintermore non vede i quadri che la ossessionano perché accecata dalla sua psicosi: ma nemmeno noi li vediamo, perché possiamo percepirli solo come vaghi agglomerati di pixel).
In qualche modo, anche al di là della azzeccata citazione di Calvino, l’opera presenta un videogame che si fa più “letterario”, individuando un filone finora ancora poco esplorato, o comunque ricchissimo di possibili adattamenti, fedeli o liberi. Un territorio quasi vergine, a disposizione di programmatori indie, che potrebbe anche avere delle ricadute didattiche a cui, come docente, guardo sempre con grande interesse, specie, chiaramente, nel caso di adattamenti più fedeli. Comunque, questo gioco va senza dubbio all’interno dei materiali per le prossime lezioni su Calvino.