Come noto, Dylan Dog ha avuto un consistente reboot una volta varcata la soglia del n. 401: un nuovo inizio segnato dalla miniserie in sei numeri, in stretta continuity, del curatore Roberto Recchioni, che riscrive le origini del personaggio giocando abilmente su una caratteristica che gli è tipica fin dagli ormai lontani inizi nel 1986: l'idea di un multiverso in cui esistono infiniti Dylan Dog: ogni albo potrebbe illustrarne uno diverso.
Nel "nuovo corso" di Recchioni, già in precedenza il Dylan Dog Maxi, ribattezzato "Old Boy", aveva rappresentato il Dylan Dog "tradizionale", dove non erano state introdotte le innovazioni del ciclo di John Ghost, culminato nell'evento della Meteora. Tuttavia, la cosa interessante era che, anche lì, le due "dimensioni parallele" della serie principale e dell'Old Boy presentavano piccole corrispondenze, risonanza che era interessante notare per il lettore che le seguisse entrambe.
Col restart del 401, anche il Maxi cambia formula, assumendo definitivamente il nome di OldBoy (tutto attaccato) e scegliendo una nuova formula, bimestrale (invece che quadrimestrale) e con due storie (invece delle tre tradizionali). Diviene, insomma, un vero e proprio Dylan Dog perfettamente parallelo all'originale.
Al curatore Roberto Recchioni si affianca come curatore specifico dell'OldBoy il redattore Franco Busatta (qui un'intervista sul nuovo Oldboy): i due firmano due editoriali che introducono questa nuova avventura, che riparte col numero 1 dopo i 38 numeri dell'esperienza precedente. Recchioni inserisce l'operazione nel quadro generale di restyling del personaggio operata da lui e Sclavi; Busatta precisa che, se pure sarà il Dylan tradizionale, "si tratta però di un cosmo destinato a deflagrare e ricomporsi senza sosta tra le pieghe di multiversi infiniti, come nelle intenzioni sclaviane del 1986".
Rimangono copertinisti i Cestaro Bros, Raul e Gianluca, giunti a inizio 2019, che offrono una bella copertina con un Dylan immerso in un mondo futuribile (si cita due volte King, con It e il Jack Nicholson di Shining: un rimando che torna nella seconda storia), quello della prima storia, che dimostra come questa operazione, pur fedele al setting originario ("Il Dylan che hai sempre amato!" recita lo slogan di copertina) si segnerà per la capacità di colpire e stupire, all'interno delle coordinate prefissate. I Cestaro realizzano anche il bel frontespizio, di cui il Maxi era finora sprovvisto, limitandosi a recuperare una tavola dell'interno dell'albo. In questo caso c'è una particolarità: non è un semplice frontespizio fisso, ma all'interno di un arco architettonico diroccato accoglie un particolare della storia che segue. Il logo segue invece il restyling di Verrocchi già pensato per la testata principale.
Ai disegni di questo primo numero Montanari & Grassani, storico studio che si è occupato di Dylan fin dal terzo numero, a tema licantropico, e che ultimamente si è legata maggiormente al mondo "tradizionale" del Maxi, pur con qualche puntata sulla regolare (come, ad esempio, "Graphic Horror Novel", al fianco di Bacilieri - che, a proposito, tornerà su Dylan nel prossimo OldBoy). Il loro segno contribuisce a far immergere il lettore nell'atmosfera del "vecchio corso", dove un'ampia parte delle indagini dell'eroe avveniva tramite i loro disegni.
Va in particolare riconosciuta a due storici professionisti come Montanari e Grassani l'abilità di muoversi su due storie poco tradizionali e decisamente complesse sul lato dei disegni: molto affollata di personaggi e di scene intricate di dettagli la prima (si veda la splash page qui sotto), molto più "corale" del medio Dylan Dog; basata su un complesso gioco di irriconoscibilità dell'antagonista la seconda.
La prima storia è di Gabriella Contu, uno dei nuovi nomi femminili apparsi nel "nuovo corso", assieme a Barbara Baraldi, che firma la seconda storia. Un OldBoy dunque tutto al femminile, per la sceneggiatura, nell'importante sede del nuovo numero uno (così come una autrice storica come Paola Barbato aveva firmato il "nuovo" Dylan Dog Magazine, dove vediamo il passato del nuovo personaggio). Una scelta che rinforza quella già compiuta e rivendicata da Recchioni nel 2013, che viene qui rafforzata. Sarebbe bello, a margine, assistere anche al maggiore ingresso di disegnatrici nell'interpretare il personaggio, cosa che credo mai avvenuta sulla serie regolare.
La prima storia della Contu, dunque, insiste sul concetto di questo apparente "ritorno al passato": il titolo, "Il migliore dei mondi possibili", è perfettamente rispondente alla trama distopica, ma può anche evocare (forse, con una punta di ironia...) i "bei tempi andati dei primi cento numeri" rivendicati da una parte del pubblico più "conservatore", tramite la citazione di Leibnitz (non a caso, quella che viene rovesciata nel "Candide" di Voltaire)
Si comincia con una bella quadrupla di Dylan Dog vecchissimo prigioniero alla torre di Londra, mentre passa un galeone fantasmatico. Non si può fare a meno di leggere molti passaggi della storia (che, ovviamente, funzionano anche al "primo livello" della narrazione) come un'ironia metatestuale: Dylan "prigioniero" dell'eterna ripetizione che si consuma nella gabbia bonelliana che qui viene mantenuta in modo piuttosto rigoroso sulle due storie ("sono nato nell'universo sbagliato", p.6) che passa le sue memorie (quelle che, nella convenzione tradizionale, scrive alla fine di ogni albo) e le passa ai suoi carcerieri perché le leggano (i lettori tradizionali?).
Con un salto spiazzante abbandoniamo poi il "Prigioniero 666" per una diversa, ma ugualmente decadente ambientazione, in cui Dylan (10.i) è tornato alcoolista (esattamente come nella miniserie delle "nuove origini" in via di conclusione sulla regolare) e possiede un tablet (invece dello smartphone, al centro del "ciclo di Ghost"?). Anche l'apparizione di Groucho, che si chiarirà solo nel brillante finale, è giocata sulla presenza/assenza in curiose "vignette a margine" di cui solo alla fine capiremo il senso (p.11.vi e in tutto il corso del racconto). Un Groucho presente/assente, di nuovo, proprio (anche se in modo diverso) come quello del 401-406.
Si inizia così una stanca routine ("Che lo spettacolo abbia inizio... come tutti i santi giorni!") che ci porta in una Londra distopica che fa pensare per molti aspetti al 1984 di Orwell, come colto anche dagli Audaci, in riferimento alla costante cancellazione dell'informazione e del passato. Aggiungerei: i ragazzini e i vicini tramutati in spie del governo, come la cittadina Peeper ("spiona") e anche più sottilmente la riscrittura di Shakespeare, trasformato in vuoto elemento pubblicitario, a p. 19. A p.20, una bella splash page riflette l'immagine di copertina dei Cestaro. Venendo all'ambito dylaniato, il tutto ricorda un po' anche il Pianeta dei Morti di Bilotta, che nasceva come simile decostruzione del mondo dylaniato (un altro passaggio suggestivo è p.18, dove il pub "Old Time" viene fatto saltare in aria in "Forgotten Street": perfetto per una rilettura anche metatestuale). Gli onnipresenti dirigibili propagandistico-pubblicitari fanno molto Blade Runner, mentre "Felice il popolo che non ha bisogno di altri popoli" è un rovesciamento di Brecht (che avrebbe fatto a meno degli eroi, ovviamente). Inoltre, questa distopia "autarchica" nella "perfida Albione" rimanda all'imperialismo di John Ghost e della sua tentacolare regina, stabilendo così ancora la usuale connessione tra regolare e Oldboy (che nella seconda storia è assente).
Ma, in generale, la Contu si distingue qua per un certo "citazionismo mash-up" tipico del primo Dylan Dog, in cui dall'assemblaggio di molti spunti diversi nasce una nuova storia del fantastico inquietante. L'uso degli occhiali protettivi fa subito pensare - in modo "rovesciato", come vedremo nel corso dell'albo - agli occhiali di "Essi vivono". L'agenzia di viaggi riflette sia quella di "Truman Show", sia quella di "Total Recall". Un omaggio della Contu alla sua Sardegna (p.30), un bug di programmazione, produce una prima svolta, portando Dylan a riflettere e scoprire gradualmente cosa non va nel "brave new world" in cui si trova immerso. Anche citazioni minori hanno un loro senso: ad esempio, "Casino Royale" (p.32.iv) che Dylan guarda in tv, è indubbiamente una delle fonti del ciclo di John Ghost nel ciclo appena concluso sulla serie regolare. Il Black Velvet che beve il Dylan Dog alcoolista della storia rimanda a questa canzone, forse, in una suggestione di colonna sonora implicita (alternata a God Save The Queen, l'inno ufficiale e forse, subliminalmente, la versione punk dei Sex Pistol). L'identificare in questo totalitarismo Dylan Dog come detective privato di terza categoria (p.43.ii) può ricordare il detective di classe R protagonista della società ugualmente distopica dell'Incal, John Difool.
Alla metà dell'albo, p.51, troviamo finalmente l'attesa risposta (che veniva spoilerata nel "titolo di lavorazione", che quindi non citerò). Lo sviluppo è piuttosto coraggioso e per nulla consolatorio, e conduce a un finale che ricalca in modo abbastanza preciso quello di 1984 (anche se il totalitarismo messo in campo è differente). L'ultima vignetta offre un ultimo ribaltamento (con un'ultima citazione intradiegetica, questa volta: a George Romero, non a caso la fonte centrale di Dylan Dog 1), che sottolinea una brillante variazione - evidenziata dalla seconda battuta del dialogo finale - e mostra, in modo quasi programmatico, come l'OldBoy possa essere innovativo proprio restando fedele alla struttura tradizionale del personaggio.
"La solitudine del serpente", con sceneggiatura di Barbara Baraldi (i disegni, sempre, di Montanari & Grassani) offre subito un'altra possibile declinazione di questo concetto (e, per certi versi, lavora anche questo sul concetto di "memoria", in chiave più individuale, mentre nella Contu il discorso è più su un piano sociale). Troviamo subito elementi "nostalgici", come il Bloch ispettore del passato, né pensionato né sovraintendente, che si trova testimone di un omicidio che lo tocca da vicino, introdotto da una bella sequenza muta (il luogo è un reale pub londinese, il Prospect of Whitby). La citazione intradiegetica introduttiva rimanda a It di Stephen King (ed è simmetricamente, come Shining che apparirà dopo, ripresa in copertina). Curioso il blooper sul nome di Stephen ("Stephelo") King in 102.iii. Se Bloch non citasse apertamente l'autore, sarebbe stato divertente immaginarlo come una piccola differenza di una realtà alternativa.
L'impossibilità di dare un volto all'omicida palesa la citazione da uno dei migliori e sottovalutati racconti di Poe, "L'uomo della folla", con anche un rimando visivo a Magritte (113,iii). E la cosa viene ribadita con l'apparizione diretta di Poe e Lovecraft in amabile conversazione al parco nella Londra odierna (115), un gustoso nonsense bizzarro che rimanda alla tradizione classica sclaviana, dove inserti di questo tipo erano frequenti. Il tema dell'invisibilità "magica" come specchio dell'invisibilità sociale è del resto un grande classico del Dylan sclaviano (non solo in quello che è considerato in Bonelli l'albo-modello di Dylan, "Memorie dell'Invisibile": ma, appunto, sulla scorta del massimo capolavoro dylaniato, è un tema tipico nella prima età del personaggio).
Come già la Contu nella prima storia, anche la Baraldi prosegue in un gusto per il pastiche che, del resto, è proprio ancor più specificamente del suo stile. L'indagine conduce Dylan Dog in un club ambiguo, dove si sovrappongono citazioni intradiegetiche di "Twin Peaks" di David Lynch e "Shining" di Stanley Kubrick (ma il nano, invece, è Peter Dinklage invece dell'attore originale). "Room 237" è una citazione intrinseca al film, ovviamente, ma può rimandare anche all'omonimo documentario che ne ha analizzato i vari possibili significati segreti. Groucho cita invece la Mano della famiglia Addams (p.123: un telefilm che potrebbe essere una miniera di citazioni dylaniate) e Dylan "Guida galattica per autostoppisti" (p.124). Da notare ancora che, in 121, tutte le stanze sono la 237: un altro vezzo citazionista dell'ambiguo Red Room Club.
L'indagine prosegue in modo tradizionale, con Dylan che investiga tra ragionamenti e sequenze oniriche (p.139) mentre i cadaveri si accumulano con un discreto grado di horror, più sul disturbante che sullo splatter (riuscita è tavola 135). A Groucho toccano consueti siparietti comici, più ampli del solito, come in passato (133-134); quello di p.136 è un inserto di un celebre dipinto di Cassius Marcellus Coolidge, mentre in 127.v gli tocca la citazione di "Per un pugno di dollari" tanto cara all'ispettore Coliandro di Lucarelli. A livello di ironia metatestuale, Bloch che "non aspettavo qualcuno così a lungo dal settembre 1986": evidentemente anche lui aveva grande aspettativa per i numeri 1 di Dylan in edicola (p.150.i). La colonna sonora implicita dell'albo viene invece suggerita a p.149, con "Fade to black" dei Metallica (quella di Jannacci a p. 165.v è, direi, una semplice battuta citazionista più che un suggerimento d'ascolto).
Anche qui, con la metà dell'albo ci avviciniamo alla spiegazione (forse un peccato il titolo un po' troppo "parlante", per un mistero che era stato ben congegnato), con anche una certa nota "esoterica" che spesso la Baraldi inserisce quasi sempre nelle sue opere (p.157), che per certi versi ricorda la cornice storica al cospirazionismo "rettiliano" (connesso, del resto, alla famiglia regnante inglese, da David Icke e altri). Il personaggio di Zed ha indubbiamente una sonorità sclaviana: richiama alla memoria (senza precisi riferimenti, in questo caso) un celebre albo dylaniato, il n.84, e ovviamente Daryl Zed, il "fumetto nel fumetto" apparso in "Caccia alle streghe" e oggi sviluppato in una serie di albi da fumetteria.
Da qui, comunque, la storia procede verso il logico finale, con tanto di grand guignol e colpi di scena. Da notare che non solo Utis è nome parlante, come rivelato p. 187, ma anche il cognome, Niemand, con identico significato in tedesco. Anche il nome Blackrose è suggestivo alchemicamente (p.191); Trisha Takanawa è invece, nella stessa pagina, una semplice citazione dai Griffin.
Una curiosità: da un lato, la Baraldi inserisce in questa storia diversi anglismi nei dialoghi ("Good", "Fuck"...), per rafforzare il "colore" inglese: talvolta però (per chiarezza di trama?) i testi intradiegetici sono in italiano (p.137), a volte in inglese (193-194). A volte, curiosamente, come a p.177, vi è la compresenza dei due tipi di testi. Personalmente preferisco l'uso dell'inglese sempre, nei testi intradiegetici: ma si tratta, appunto, di minuzie.
L'ultima tavola, di nuovo, rimanda al Dylan Dog (e all'horror) anni '80, con un rovesciamento finale che porta a un finale aperto. Uno stilema che, nel Dylan classico, si giustificava (nella serialità) con l'elemento dei multiversi citato in apertura: se nel finale Dylan muore, o viene comunque lasciato in pericolo, la cosa si perde negli opportuni meandri delle infinite dimensioni parallele. La quarta di copertina, ispirata ai vecchi Dylan Dog tradizionali, è decisamente godibile.
Un avvio interessante, quindi, che precisa in modo ancor più definito l'identità della testata, che nel prossimo numero vedrà alternarsi diversi interpreti di eccezione.