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Macerie prime, sei mesi dopo – Zerocalcare l’equilibrio fra identità e sopravvivenza

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Si chiude il doppio volume di Zerocalcare, tra ansia di crescere, macerie interiori e voglia di essere migliori di ciò che ci circonda

È stanco Zerocalcare, questo lo abbiamo capito dopo la prima parte di Macerie Prime, stanco di essere tirato per la giacchetta, stanco di dover sempre rendere conto di ogni cosa che fa o dice, stanco di un successo che ancora fatica a gestire ma che allo stesso tempo lo lusinga, consapevole che il suo nome può aiutare qualcuno ma altrettanto conscio di non poter dare una mano a tutti quelli che vogliono un pezzetto di lui.

La prima parte del libro ci aveva lasciato in sospeso con l’Armadillo, amico di sempre e metafora di ansie, accolli, dubbi e certezze, rinchiuso in un armadio per fare spazio a un panda egoista, menefreghista e pratico. Un cliffhanger a cui si arrivava al termine di un percorso personale ma anche globale, perché la bravura di Zerocalcare sta nel trasformare il suo mondo in qualcosa di condiviso, globale, generazionale.

Il secondo volume riprende esattamente sei mesi dopo l’ultima pagina del precedente e ci chiede di non rileggere, ma di capire cosa ricordavamo: ti ricordi che Cinghiale aspettava un figlio? Che secco insegnava? Ti ricordi cosa facevano? Ti ricordi cosa fanno i vecchi amici con cui sei cresciuto e che ora partono, lavorano, brigano e si arrangiano?


Secco, Cinghiale e tutti gli altri personaggi siamo noi, gente che vive sulle macerie di ciò che è stato e che tira avanti tra rancori, sfighe, lavori che non ci sono e figli in arrivo, nonostante tutto, non si sa bene come. Una realtà che si riflette in un mondo immaginario fatto di mostri e mitologie che nel primo volume era sospeso in attesa del risveglio di una minaccia sopita.

Quella parte torna ovviamente anche qua ed esattamente come nel primo capitolo è il segmento più debole di tutto il racconto. Vuole essere chiaramente una metafora delle macerie sentimentali in cui viviamo, il simbolo di ciò che perdiamo quando manca il lavoro, quando un figlio non arriva, quando siamo quelli a cui nessuno chiede come stanno e quando litighiamo con chi ci vuole bene, ma alla fine tutto il racconto starebbe in piedi comunque, senza questo spostamento tra piano materiale e simbolico.

Certo, serve a creare un’aspettativa, a fornire una simbologia di riferimento per ciò che sta succedendo nel mondo reale, ma se la togliamo il pathos della situazione non ne esce indebolito. Un’altra cosa che va detta, e non ce ne voglia Bao, è che pubblicare tutto in un solo volume non sarebbe stato un delitto.

Detto questo, Macerie Prime nel suo insieme è probabilmente una delle opere di oggi più precise nel parlare di una determinata fetta di persone, i trentaqualcosa, un po’ ragazzi un po’ adulti che si sono trovati in mezzo a un ponte mentre il fiume dei casini lasciati dalle generazioni precedenti iniziava a ingrossare. Gente che sta iniziando a diventare vecchia, a ereditare i tic dei genitori e scivola lentamente verso un posto nel mondo che non pensava di volere e che in alcuni casi non vuole, fra lavori precari, amicizie che si sfilacciano, concorsi e disimpegno civile. La differenza rispetto alle generazioni passate è che oggi tutti invecchiamo pubblicamente, con tutte le miserie del caso.

Zerocalcare viene spesso definito come una voce della sua generazione, una definizione che di sicuro lui non ha cercato, ma che gli calza a pennello grazie alla sua capacità di raccontare il bello e il brutto di sé stesso e del suo universo, senza nascondersi dietro moralismi o romanticismi stucchevoli. Non me ne voglia Michele ma i suoi fumetti sono tutto ciò che Fabio Volo e decine di scrittori generazionali avrebbero voluto essere e non sono stati, è per questo che di Volo ridiamo e di lui no.

Perché rispetto all'immagine dell'eterno bambino che non vuole crescere, del trentenne in crisi un po’ Han Solo e un po’ mucciniano che alla fine si autoassolve, Macerie Prime va oltre, si spoglia di ogni pretesa di redenzione e si rende conto che ogni tanto fare schifo è inevitabile, è una forma di sopravvivenza necessaria, e nonostante tutto riesce comunque a ridere di sé e di noi. Stavolta forse lo si fa con gli occhi lucidi, ma tant’è, passando attraverso amori difficili, gravidanze che non arrivano e un bellissimo passaggio sul suicidio, privo di pietismo e banalità.

Il mondo va in pezzi e Michele suona la sua cetra, senza farci la morale, perché una morale non c'è. Il finale è consolatorio, ma neppure troppo, lasciando di fatto tutto così com’è, perché oggi l’unico lieto fine non è risolvere i conflitti, ma rimanere in piedi, illudersi un po’ e avere qualcuno che ci vuole bene, anche se non ce lo dice. Un’amicizia che non può essere quella dell’infanzia, quella non torna più, non più basata sull’esserci sempre, ma sull’esserci al momento giusto. Altrimenti tutte quelle belle parole con cui rempiamo i social sono solo roba vuota. 

E per uno che ha fatto del passato la sua poetica non è male neppure quel bellissimo schiaffo di rovescio che arriva sulla guancia dei nostalgici a tutti i costi, quelli che erano belli solo i cartoni  e i film di quando erano bambini, la musica che piace a loro. "Di tutti i modelli possibili degli anni '80 pare vi siate tenuti giusto Berlusconi"

Ma Macerie Prime vuole essere anche il momento di consapevolezza in cui, nonostante il mondo faccia schifo (anche per colpa tua), ti rendi conto che non può cambiarti più di tanto. Che puoi anche metterti la maschera del cinico, puoi anche indurire la corazza, ma se sei una persona gentile e ansiosa quella resterai, devi solo imparare a gestire ciò che puoi gestire, in un delicato equilibrio fra identità e sopravvivenza.

Ne “La Grande Bellezza” c’è una scena che adoro, quella in cui Jep risponde all’amica che fa la morale e si dichiara madre e moglie impegnata, ricordandole che forse non è il caso di sentirsi migliore degli altri e piegare la realtà a ciò che crede di essere.

Invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti sull'orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un pò in giro, o no?

Là erano ricchi salottieri romani a parlare, ma la lezione è la stessa anche per i trentaqualcosa in cerca di una direzione. Viviamo tutti sulle macerie del passato, cerchiamo di gestire il presente, senza sbirciare troppo nel futuro e aggrappandoci a un passato che ci sembrava tanto fico forse perché non toccava a noi tenere il mano il volante e quindi ci godevamo il viaggio. Tutto ciò che possiamo fare oggi e prenderci cura degli amici, resistere, non pensare di essere gli unici ad avere un problema e ridere assieme, senza accollarci troppo.

Perché crescere vuol dire guadagnare in esperienza, ma anche perdere qualcosa.

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