STAI LEGGENDO : Lode a Palworld, smascheratore postmoderno di ipocrisie

Lode a Palworld, smascheratore postmoderno di ipocrisie

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Palworld ha scaldato questo gennaio videoludico con polemiche, incassi e tanta gente che si diverte, in una bellssima tempesta postmoderna in cui improvvisamente in tanti hanno scoperto il valore dell'originalità e dimenticato quanto i videogiochi abbiano copiato in passato.

Ci avete fatto caso? Fino a oggi il mondo dei videogiochi, anzi, il mondo delle opere di ingegno umano, era fatto solo di prodotti creativi, puri, che sì, magari guardavano al passato ma sempre con un guizzo creativo. Poi è arrivato Palworld e la creatività è improvvisamente stata offesa per la prima volta nella storia dei videogiochi.

Brevissimo ripasso per i non iniziati: Palworld è un titolo survival, ovvero dove bisogna ottenere risorse dal mondo attorno a noi per creare una casa, vestiti, armi e così via. Ha la particolarità di essere pieno di creature che sono ovviamente rivisitazioni più o meno palesi dei Pokémon. Queste creature possono essere catturate e messe a lavoro, uccise per il cibo, fatte accoppiare e così via. Palworld ha più a che vedere col fortunatissimo genere che in Minecraft il suo esponente di maggior successo (e con Ark) che con i Pokémon, anzi di Pokémon non ha praticamente niente se non che le creature vanno prima menate e poi catturate con una sfera. È chiaramente un gioco consapevole e satirico, che si diverte a sovvertire il mondo educato dei Pokémon per creare altro.

In un momento di follia l’ho chiamato un "détournement", come direbbe Guy Debord, sulla Rai. E stranamente nessuno ha internato.

Personalmente lo detesto con tutte le mie forze, come odiavo ogni titolo simile prima di lui. C’è poco da fare, a me i survival annoiano. Appena costruita la prima casetta dopo aver preso a pugni degli alberi per far legna inizio a sbadigliare.

Prima della sua uscita le palesi ispirazioni di Palworld mescolate al forte contrasto di vedere questi animaletti imbracciare armi o venire vessati in catene di montaggio di fucili ha ovviamente attirato l’attenzione di stampa e giocatori. Per un po’ è stato il classico gioco meme, quella roba buffa che ti fa fare qualche click con notizie e reaction.

Poi è arrivato in mano ad alcuni content creator in accesso anticipato e ha iniziato a piacere, poi è arrivato su Steam e sul GamePass e, nonostante, gli inevitabili inciampi di un gioco ancora in divenire creato da un team di neppure 15 persone ha fatto il botto. E per botto intendo più di otto milioni di copie in sei giorni.

Eppure, questo successo, per effimero che sia, perché probabilmente Palworld si sgonfierà molto nei prossimi mesi, anche se non del tutto, era prevedibile. Sono anni che i giochi survival vanno tendenzialmente molto bene. Vuoi perché si rivolgono spesso a una generazione che si è fatta le ossa su Minecraft, vuoi perché sono miniere di contenuto per chi fa dirette su Twitch o video su Youtube, vuoi perché li puoi giocare un po’ come vuoi, passando il tempo a costruire da solo o con gli amici, in modo pacifico o bellicoso, godendoti i momenti di ironia o epicità spontanee che il genere produce.

Sono anni che questi giochi vanno bene, fanno il botto, poi si contraggono, a volte mantenendo una buona base d’utenza, a volte meno. Sono titoli che partono dal basso, puntano alle community, a chi segue streamer famosi, che sperano magari pure nella botta di fortuna di arrivare in un momento scarico di grandi annunci. E poi, per quanto sia la mia kryptonite, Palworld funziona: ti spiega tutto bene, il mondo di gioco è carino, la gratificazione è costante, l’ironia è palese e puoi giocarlo veramente come vuoi tu.

Reato di non originalità

Questo successo ha scatenato prevedibili dibattiti, non solo nei fan più sfegatati dei Pokémon, che hanno iniziato a mostrare con gli occhi pieni di lacrime le palesi somiglianze tra i Pal e le creature di Tajiri, come se non fosse già palese e interessasse a qualcuno, ma anche gli inevitabili editoriali, post e commenti di parte di chi analizza il settore.

Sono volati strali contro il popolo bue che regala il successo ai giochi brutti, stracciamenti di vesti per la roba bella, quella sì, ingiustamente penalizzata, pianto e stridore di denti perché la creatività veniva annientata e ovviamente esperti di diritto con laurea presa all’università del “secondo me” che si chiedevano come mai al gioco fosse permesso di uscire, nonostante le somiglianze palesi. Spoiler: perché può.

Senti che hanno da dire Cap & Tanz su Palworld

E ci sta eh? Per carità, fa parte del carrozzone e Palworld è a tutti gli effetti qualcosa di cui non si può non parlare, sia per il successo immediato, sia per come questo successo è nato, ma anche per come ha spiazzato un sacco di gente. E posso anche capire un fastidio epidermico per un genere che si prende tutta l'attenzione mentre magari vorremmo veder premiata altra roba.

Però forse ci siamo dimenticati che la storia dei videogiochi straripa di copie palesi, plagi, furti, ispirazioni e non solo di “ok dai questa roba è famosa, mi ispiro e la faccio diversa”, parlo proprio di anni in cui uscivano cinque console casalinghe tutte con Pong, di cloni di Pac-Man senza alcuna pietà, di picchiaduro tutti identici a Final Fight, Rampage che tratta Godzilla e King Kong come fossero suoi, Alien Breed che scopiazza Alien senza pietà, secchi e secchi di Metroidvania, i cloni di Doom, i “soulslike”, i giochi di guerra che copiano il cinema. Giochi che copiano le meccaniche, la storia o i personaggi da quello che funziona, che fanno il collage di idee prese in giro, di tutto.

Vampire Survivors ha pescato a piene mani dall’estetica dei primi Castlevania, portandola in un genere che di certo non ha inventato. L’abbiamo portato, giustamente in trionfo, ridendo molto dell’operazione postmoderna ed è stato un successo di pubblico e critica. Adesso non va bene?

Insomma, Palworld fa esattamente quello che facevano migliaia di giochi prima di lui, solo che, vuoi che stavolta si è andati a toccare il protettorato Nintendo, vuoi che è andato proprio bene, vuoi bisogna ergersi a castigatori dei costumi per emergere nella massa, allora è diventato un sacrilegio.

Improvvisamente un sacco di gente è diventata ciò che da sempre ha odiato: i detentori della “cultura”, quella vera, mica i giochini del cazzo fatti male, quella che ahimé non vende perché la gente è scema, che sicuramente è colpa dei ragazzini, di TikTok, degli influencer. Gente che è riuscita addirittura ad affiancare i licenziamenti che stanno funestando il settore con questo successo.

E vogliamo parlare della grande originalità di un settore, come quello della stampa, soprattutto di settore, che vive di news tradotte, rubriche tutte uguali (dai facciamo una bella rubrica di opinioni polemiche, dissero praticamente tutti), recensioni intercambiabili e così via?

Dai, su.

Certo, c’è anche il tema delle IA generative, perché gli sviluppatori le hanno certamente usate per creare tutte queste creature, che forse è l’unica parte veramente discutibile e interessante, perché ci racconta di come in futuro team molto piccoli potrebbero sviluppare giochi di successo rendendo il processo di “ispirazione” più veloce.

Insomma, improvvisamente la forza dirompente del videogioco in ogni sua forma si trova di fronte gente che è diventata come quelli che dicono “o tempora o mores” e consigliano i buoni libri al posto di questi giochini. Perché i videogiochi sono belli, ma solo come li dico io, solo se posso sentirmi intelligente parlandone, solo se portano con sé un presunto messaggio sociale. Siamo tornati alla cultura alta e alla cultura bassa.

Cultura non creativa

Va detto che non è un sentimento strano o sorprendente, anzi, è abbastanza normale, perché siamo abituati a pensare, soprattutto nella formazione occidentale, che l’originalità, l’arte, il bello, il prodotto abbia valore quando può esprimere unicità, originalità, artigianato, anche nel mondo digitale. Sotto questo punto di vista Palworld ha senza dubbio un valore, più che come oggetto "artistico", come occasione per intavolare un discorso attorno alla cultura del simile, della copia o del plagio.

Ma è un concetto ormai perduto, senza dover tirare in ballo “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.

Arriva sempre un momento nella storia di una forma d’espressione in cui ci sono tecnologie o scoperte che cambiano le carte in tavola. Nei videogiochi avviene abbastanza spesso, ma pensate cosa ha fatto la fotografia all’arte, facendola virare verso l’astrattismo, o cosa ha fatto internet alla scrittura e ancora prima, la stampa. Cosa sta succedendo ai videogiochi lo stiamo ancora capendo ma forse proprio la letteratura può venirci incontro.

Mi piace pensare al concetto di Marjorie Perloff, critica letteraria e poetessa che ha coniato l’espressione “genio non originale”. Secondo la sua idea la comune nozione di genio è ormai obsoleta, oggi una figura geniale deve fare i conti con l’iperproduzione testuale, il bombardamento costante della nostra attenzione, la capacità di disseminare e controllare le informazioni. La creatività è sempre stata un elaborazione o il furto di altro, oggi ancora di più.

Palworld non vuole essere e non è pensato come oggetto artistico, ma è di sicuro un oggetto culturale che ci dice qualcosa in questo senso, di sicuro ci racconta bene il post-postmodernismo videoludico. 

Nel 2007 Jonathan Lethem scrisse un ottimo saggio in favore chiamato “The Ecstasy of Influence: A Plagiarism” in cui si racconta di come l’arte rubi, copi, remixi, duplichi e citi costantemente. All’interno del testo ci sono anche ottimi esempi di come questa pratica abbia prodotto risultati interessanti: ad esempio il famoso discorso di Martin Luther King, fortemente ispirato a un altro discorso del 1952. Oppure Lolita, ma non quella raccontata da Nabokov, ma da un autore che scrisse la stessa storia molto prima. Tutto molto bello e interessante... ma il saggio è a sua volta un plagio, anzi un patchwork di altri testi. Un ottimo prodotto culturale, ma nato utilizzando il lavoro di altri. Tra l'altro finito in un altro libro che mi sento di consigliare e che si chiama proprio "L'estasi dell'Influenza"

Per certi versi quel saggio è un po’ come Palworld, per certi versi è un po’ come tante cose che facciamo, quando ci crediamo originali, e invece è la solita foto su Instagram che fanno tutti, la stessa battuta, lo stesso articolo, la stessa cosa che spacciamo come nuova ben sapendo che è vecchia, perchè il vecchio funziona meglio ti credono quando dici che è nuovo. D’altronde pensate che nei videogiochi la gente voglia cose originali? Pensateci meglio. 

Vi consiglio Ctrl+c Ctrl+v di Kenneth Goldsmith, libro da cui arrivano queste riflessioni.

“Il mondo è pieno di oggetti, più o meno interessanti, non ho voglia di aggiungerne altri”.

Douglas Huebler

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