Altan e "Ada e altre giungle": la presa di un segno invincibile.
Con “Ada e altre giungle”, Coconino prosegue un'opera di riscoperta di Altan, uno degli autori più notevoli del fumetto italiano.
Con questo “Ada e altre giungle”, Coconino prosegue una meritoria opera di riscoperta fumettistica di Altan, uno degli autori più notevoli del canone della letteratura disegnata italiana, certo noto ma forse meno valorizzato di quanto meriterebbe nella percezione generale.
Un volume che viene dopo “Uomini ma straordinari”, che raccoglieva i romanzi a fumetti dedicati da Altan a figure maschili, dove quella congiunzione avversativa sintetizza bene l’affilata satira dell’autore, che decostruisce, in vari gradi, pilastri della nostra concezione storica, geografica, religiosa del mondo: Colombo (in modo affine a quanto avviene oggi, in seguito al movimento del BLM e similari), Casanova - caro a Fellini – e figure religiose come San Francesco e Ben, immaginario quarto figlio di Noé.
Un lavoro, quello su Altan, che si inserisce in un percorso di riproposta di altri autori importanti del canone: e se Pazienza è indubbiamente nome che rimane ancor oggi riferimento di rilievo indiscusso, la valorizzazione di Mattioli e Scòzzari (a lui collegati nell’avanguardia Cannibale della Traumfabrik bolognese) e ancor più quella di Buzzelli, sorprendentemente quasi dimenticato (di lui ho scritto qui) è una integrazione di grande interesse, che rende disponibili ai lettori di oggi grandi e affascinanti classici moderni del fumetto in edizioni di alta qualità.
Il lavoro di Altan è, in effetti, così rilevante che si tende a darlo per scontato: l’importanza del suo operato in una satira politica vignettistica al vetriolo da un lato, la creazione di fumetti per la prima infanzia come la “Pimpa” dall’altro, hanno un po’ offuscato la produzione di romanzi a fumetti, che è altrettanto significativa.
Francesco Tullio-Altan è figlio dell'antropologo friulano Carlo Tullio-Altan, studioso di primo piano delle società complesse. Viene la tentazione di stabilire un parallelismo nel loro operato, dato che Tullio-Altan padre fu, oltre il resto, un cultore dell’idea di una necessaria “religione civile” repubblicana per gli italiani, mentre Altan figlio mostra nella sua produzione l’assenza di quel senso dello stato, senza retorica ma con una chiarezza icastica disarmante.
Nato nel 1942, nel pieno della seconda guerra mondiale, studia architettura a Venezia per dedicarsi poi a cinema e televisione, come scenografo e sceneggiatore (esperienza da cui viene forse una certa accentuata “cinematograficità” del linguaggio dei suoi romanzi a fumetti). Nel 1970, trasferitosi a Rio de Janeiro, inizia a lavorare come fumettista per bambini; nel 1974 inizia la sua collaborazione coi giornali italiani, su “Linus”, dove crea il personaggio di Trino, un dio disilluso e cinico che costituisce la sua prima produzione di satira vignettistica. Altan mette a punto qui quel suo segno che riesce a fondere sintesi e deformazione satirica, astrazione del segno e sua immediata leggibilità e riconoscibilità.
Il 1975, anno del rientro in Italia, vede la nascita delle sue due creature più famose: da un lato, Cipputi, l’operaio comunista che commenta con ineffabile sarcasmo le vicende dell’attualità nella sua prospettiva proletaria, e la Pimpa, cagnolina protagonista di avventure per bambini sul “Corriere dei Piccoli”, che sarà poi animata nel 1983 per la regia di Osvaldo Cavandoli e, in seguito, di Enzo D’Alò nel 1997. Storie di delicatezza rodariana (e con Rodari Altan collaborò), in cui resta visibile la visione dell’autore ma nel giusto stile di un prodotto rivolto ai più piccoli. La satira di Altan divenne invece identitaria per la sinistra, apparendo su l’Unità, Cuore, Panorama, l’Espresso, Repubblica (dove è tuttora la firma di punta) per la sua abilità nello sferzare la società e la classe politica prima dell’Italia craxiana, poi quella berlusconiana.
Nel 1976 questa duplice affermazione, Cipputi e Pimpa, contribuisce nel fruttargli lo Yellow Kid, premio lucchese di allora con una valenza “unitaria” maggiore di oggi, in cui c’è una fioritura (ma anche una dispersione, inevitabilmente) di validi premi fumettistici.
Sempre su Linus nasce a questo punto “Ada” (1978), cui è dedicato questo volume, con cui Altan affronta il romanzo a fumetti. Il 1978 è l’anno in cui, oltreoceano, il grande Will Eisner adotta l’etichetta di “graphic novel” per il suo “Un contratto con Dio”, segnando la fortuna di questa definizione: ma si evidenzia come da noi (sulla scorta già del popolare: i Bonelli e Diabolik si strutturano su avventure più ampie dei comics supereroici) il “romanzo a fumetti” si era già imposto con Pratt e Buzzelli nel 1967, tra "Una Ballata del Mare Salato" e "La Rivolta dei Racchi".
Altan continua questa tradizione del nostrano grande romanzo a fumetti nei ’70, confermandone (con altri nomi, ovviamente, la vitalità). Oreste del Buono colse correttamente lo spirito di questo prodotto, ricollegandolo al “feuilletton”: anche, ovviamente, per la sua apparizione a puntate sulla rivista, come tipico del “fogliettone” in appendice al giornale che conteneva una densa pagina di romanzo nelle testate dell’Ottocento (e che costituiva spesso il maggior motivo di acquisto). Ma anche per l’abilità di Altan di riprendere il genere, satireggiandolo ma al tempo stesso mantenendone le caratteristiche di narrazione incalzante e avvincente.
In particolare, Altan riparte da un romanzo d’appendice “al femminile” addirittura precedente, che affonda le sue origini già nel romanzo settecentesco, dalla Moll Flanders (1722) di Defoe – che, col Robinson, è agli albori del romanzo moderno tout court – alla Pamela del Richardson che fu cara a Sade (il quale già ne riscrisse una sulfurea variazione nella sua Justine, e nelle altre sue dame sventurate). Fosse più propensa all'azione, anche la Lucia del Manzoni potrebbe far parte della squadra.
Il caschetto nero e il carattere volitivo e libertino di Ada, la pubblicazione su Linus può far pensare anche a una suggestione di un’altra grande figura femminile del fumetto italiano come la Valentina (1965) di Guido Crepax: ma in realtà Ada è profondamente differente in un carattere molto più deciso, pragmatico, meno nevrotico e complessato della complessa e raffinata signorina Rosselli. Se vogliamo, in comune hanno questa tradizione lunga di eroine romanzesche esposte a ogni sorta di peripezia, risolta però con la propria arguzia e forza d’animo, che ha avuto un suo filone anche nel fumetto, ovviamente con declinazioni personali (dalle strip delle flappers a Modesty Blaise, fino alla Barbarella francese del 1962).
Nella sua prefazione, Ratigher – direttore editoriale di Coconino – opera un lusinghiero ma corretto parallelo tra Altan ed Ennio Flaiano: anche il grande umorista in fondo è rimasto celebre per gli aforismi (come le vignette di Altan, potremmo dire) ma ha un suo respiro di drammaturgo e romanziere da rivalutare – è stato il primo vincitore dello Strega col notevole “Tempo di uccidere”, per dire. Ma al di là di questo parallelismo, Ratigher ricostruisce bene lo specifico di Ada come personaggio e come universo narrativo.
Ada ha una sua solida, concreta purezza, che si manifesta anche nelle linee solide, quiete, eleganti di un corpo sensuale, sodo, prosperoso, che nel segno di Altan riesce anche a non essere eccessivamente erotico, non orientando troppo in questo senso la narrazione. Una “sottrazione d’erotismo”, non totale, simmetrica a quella che Crepax ottiene con un segno nervoso, nevrastenico, graffiato anche nelle sue eroine positive ma inquiete, come appunto Valentina; mentre in un maestro come Manara, appunto, in cui si giunge la pienezza dell’erotismo in un’eredità sequenziale della grande Art Pompier dell’Ottocento, l’elemento della sensualità femminile giunge sempre in primo piano, mettendo nel secondo l’intreccio romanzesco, anche interessante.
Ada si trova così come punto di mediazione tra un’umanità corrotta, marcia, resa di nuovo con enorme efficacia dal segno di Altan che si fa qui tremolante, viscido quasi nella resa ridicolizzante di questi ributtanti figuri. E, dall’altra, una realtà naturale, quella della giungla, impetuosa, vitalistica, energica anche se spesso crudele (nonostante il bianco e nero adottato in quasi tutte le storie non permetta di usare la seduzione del colore, che sarebbe qui certo affascinante nei rutilanti colori tropicali).
Le prime mosse dell’avventura confermano il gioco ironico su certi tropi narrativi ottocenteschi e primo novecenteschi: Ada Frowz, collegiale inquieta nella prima pagina, ottiene potenzialmente una enorme eredità nella seconda, ma c’è un ma: deve ritrovare Percy, il figlio perduto erede della fortuna, le cui vicende ci sono riassunte nelle due pagine successive, mentre nelle ultime due Ada parte alla ricerca di Percy, per sedurlo e ottenere così il patrimonio cui ambisce – come lo spregevole cugino Nancy. Sei pagine, un primo episodio perfetto (che potrebbe appunto stare, se scritto, nella densa paginata di una puntata di un romanzo d’appendice).
Le puntate successive narreranno questa avventura, portando Ada (che non è così “candide”, ma comunque ancora nulla ha visto del grande mondo) in peregrinazioni in una giungla che non è solo l’esotismo, ma è il mondo in sé, con la sua legge hobbesiana dell’Homo Homini Lupus. Di nuovo, scrive bene Ratigher, “scopriamo che l’intero mondo è un groviglio di pulsioni, di rapporti di potere… in pratica una giungla crudele e rigogliosa”.
Ancora una volta, va rimarcato come questo si traduca in tavole affollatissime di personaggi: non solo i numerosi tra principali e secondari, ma anche molteplici comparse che danno l’idea di questo carnaio infame che è il mondo di Altan, spietato ma anche brulicante di vita.
Una caratteristica dell’Altan romanziere a fumetti che è interessante sottolineare è la presenza di costanti annotazioni a piè di pagina, inserite nello spazio bianco tra le vignette, con cui l’autore commenta sarcasticamente gli eventi che avvengono nella tavola. L’annotazione è sempre messa, puntualmente, in corrispondenza del personaggio o comunque dell’elemento cui fa riferimento, e in due rapide osservazioni crea un contrasto perfetto. Si tratta di una tecnica poco usuale nel fumetto, con cui Altan, mi pare, riproduce quella che è una caratteristica del feuilletton e del romanzo ottocentesco in genere: il narratore onnisciente e onnipresente, che commenta costantemente quanto avviene in scena col suo stile e la sua sensibilità.
Al romanzo d’appendice rimanda anche una certa schematicità, che Altan è abile a non far divenire meccanica o moralistica proprio col costante registro ironico che avvolge tutta l’operazione, nei testi affilati e nel segno caricaturale. In tutte le opposizioni tra personaggi appare infatti sempre una netta scelta di campo. I padroni sono malvagi e stupidi, la servitù un po’ migliore: e così va il rapporto occidentali/nativi, donne/uomini, progressisti/reazionari. Non a caso, Altan ottiene un grande apprezzamento da un altro dei nostri grandi satirici romanzeschi, Stefano Benni, che condivide con l’autore fumettistico questo sarcastico manicheismo. “Altan ha la ferocia di Beckett, la grazia di Buster Keaton, l’imprevedibilità di Totò” sostiene Stefano Benni, con una triade sicuramente encomiastica, ma rivelatoria. Di Totò sicuramente ritorna una corporeità pulcinellesca nei guizzi guitteschi dei personaggi, sempre di un’esattezza comica perfetta nella recitazione, unita a una impassibilità dei volti keatoniana in situazioni spesso di assoluto surreale.
Anche Michele Serra, similmente, coglie questa dimensione, riferendosi soprattutto alla satira ma perfino più vera nel fumetto (in cui l’interesse al Palazzo è azzerato): “Altan non fa satira politica. Fa satira antropologica. Il Palazzo gli interessa tanto quanto l’uomo e la donna della strada, e forse un poco di meno. La storia passa, la politica idem. Rimane sulla scena un’umanità scampata a tutto, non al proprio destino.”
Ada, concluso il ciclo su Linus e Alter Alter nel 1979, ritorna quindi nel romanzo a fumetti “Macao” (1983) e in “Ada cerca un produttore” (1988), racconto uscito su su Á Suivre in occasione del film che il regista Gérard Zingg trasse dalle avventure di Ada (1988). Completano poi la raccolta le “altre jungle”: la rivisitazione del salgariano Sandokan (1976) e due rarità come la storia Zago Oliva, realizzata per i quotidiani Il Resto del Carlino e La Nazione (1981), e “Viva Las Vegas”, racconto pubblicato nel 2000 sul supplemento I Viaggi de La Repubblica. Pezzi difficilmente recuperabili, e che aiutano il lettore a completare il quadro della legge della jungla altaniana, arricchendo il piatto forte costituito dal corpus di “Ada”.
Emerge così per Altan il quadro di un autore che ha saputo spiccare in tre grandi ambiti apparentemente distantissimi del segno fumettistico: la satira politica al massimo livello, la letteratura disegnata per l’infanzia in uno dei suoi personaggi italiani più iconici, e grandi romanzi a fumetti che hanno esplorato con forza le possibilità narrative del medium. Il tutto mantenendo un forte segno unitario, riconoscibile anche se naturalmente declinato nei vari contesti. Il segno che ha consentito ad Altan di dominare in questi tre ambiti, e di guadagnarsi un posto di rilievo nel canone del fumetto italiano: parafrasando Paz, “la presa di un segno invincibile”.
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Altan, "Ada e altre giungle"
Coconino Press-Fandango
Pagine: 240, b/n e a colori, formato 21,5 x 29 cm, cartonato
Prezzo: 25 euro
Uscita: Maggio 2021
ISBN: 9788876185694