STAI LEGGENDO : Attendere Anthem Next, ovvero aspettare che si ricordino di avere già buone idee

Attendere Anthem Next, ovvero aspettare che si ricordino di avere già buone idee

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Anthem Next aleggia sulle teste dei giocatori, ai quali viene richiesta un'ulteriore attesa per un gioco già vecchio. Ma cosa aspettarsi dalla dimenticanza?

Introdurre Anthem in un pezzo è quasi come tenersi una pistola puntata alla tempia, specialmente per i colleghi che come me al lancio si sperticarono in analisi e approfondimenti per l'imminente uscita. Ci credevamo tutti, ci abbiamo creduto tutti e un po' speravamo potesse migliorare anche solo perché il corto di Blomkamp ci era piaciuto. Ma no, Anthem è andato dritto dritto nella fossa, quella abbastanza profonda da renderlo un caso unico nell'intera storia dei videogiochi.

Eppure, anche nella scrittura dei vari pezzi citati, ho sempre mantenuto una dose di speranza mista a ottimismo. Cosa mi faceva stringere i denti? La direzione artistica, quella nata spontaneamente da Bioware e poi mandata a quel paese da Electronic Arts e dai casi interni allo studio stesso, i quali poi ci diedero quel gioco dall'identità più che confusa.

Alla sua genesi però è innegabile che Anthem abbia avuto un'identità straordinaria, l'ardore di creare un universo che potesse essere chiamato Casa da molti giocatori negli anni a venire, allo stesso modo della Torre di Destiny. Gli ingredienti per una formula alla Bungie - senza per forza copiarli - c'erano tutti: una tonalità musicale ben decisa e identitaria, un mondo con fazioni riconoscibili e dalla ricca storia, ingegno dell'uomo e misticismo divino, il cielo nel quale volare liberamente e lo spirito di ribellione di un insediamento in balia delle forze oscure. Appetitoso vero? Lo è, dannazione se lo è.

Cosa è ormai andato storto lo sappiamo tutti, perfino chi adesso acquista il titolo a 5 euro tra gli scatoloni delle offerte con i vecchi titoli FX. Il gameplay non aveva un loop soddisfacente, il bottino era tutto uguale e con percentuali sballate, la progressione non aveva sistemi di delineazione statistica appaganti e i bug hanno infestato sia il gioco che l'applicazione stessa, tanto che alcuni ne lamentavano la disfunzione della console al solo avvio. Un disastro su tutta la linea, nonostante uno zoccolo duro di persone che non hanno mai smesso di crederci e giocarci. Incluso me, che tra incursioni occasionali e monitoraggio del Reddit ufficiale non mi sono mai dimenticato di Anthem.

Passato un silenzio assordante durato mesi e mesi, venne rivelato al pubblico che Anthem stava venendo rifatto da zero, con un nuovo team e un intero approccio inedito, tanto che il tutto inizia con dei bozzetti come se fosse una nuova IP. Cosa voleva dire questa notizia? Che il passato andasse buttato? In parte, ovvero la fetta di lavoro creativo rimasto intatto, lo stesso di cui abbiamo appena scritto: la genesi di Anthem.

Qualche saggio disse che per capire il futuro bisogna osservare il passato, e per il lavoro di Bioware questo vuol dire sfogliarsi le pagine dell'artbook ufficiale del gioco, l'unica vera testimonianza di quello che sarebbe dovuto essere Anthem se fosse andato tutto liscio. Più che un libro di cui gioire, The Art of Anthem è una tomba su cui versare lacrime amare e osservare quanto ben di dio ci fosse nascosto tra le missioni disfunzionali e un open world poco convincente. Ogni pagina trasuda amore, dedizione e rispetto per un genere in cui si voleva entrare con positività. Il resoconto dei responsabili dell'art design del gioco è entusiasmante, visionario e alle volte talmente tanto accurato che molti artisti di altre opere in erba si sono sbilanciati nel dire che "il concept delle armature di Anthem è un riferimento essenziale per chi vuole creare design accattivanti e originali".

Ed è vero, basta qualche pagina per rendersi conto che dietro i Javelin c'era un ragionamento che andava ben oltre la semplice estetica: c'era la parte funzionale, l'utilizzo specifico del pilota, come ragionare sui movimenti, sulla classe, sull'impatto nell'economia del gameplay. Rispetto a Titano, Stregone e Cacciatore siamo su tutt'altro livello e grazie al cielo abbiamo avuto modo di averne un assaggio prima che il loot ci facesse dimenticare il concetto stesso di diversità. Anche le ambientazioni, le fazioni dei nemici e l'impostazione dell'hub andavano bene fino a quando erano sulla stessa carta che compone l'artbook. Ma che è successo dopo? Il gameplay e la conversione a gioco hanno fallito, tentando ancora una volta di rialzarsi con questo Anthem 2.0.

Qual è dunque la strada tracciata, alle porte di una nuova generazione che ha già in programma titoli ben più ambiziosi? Bhe, ecco… copiare Destiny. Sì, perfino nell'HUD, l'elemento più significativo dell'art design del gioco di Bungie e che ha fatto da perno per creare una nuova concezione di user experience, la quale ha ispirato molti altri, opera di Ryan Klaverweide: visual design lead di Destiny 2 (e nel primo come membro del team).

Lo stile di Klaverweide è, senza giri di parole, una delle assi portanti che ha definito Destiny nella sua totale interezza iconografica insieme a quello di David Candland. Nessuno dei due ha lavorato su Anthem, tanto per chiarire, eppure guardando quando rivelato da Anthem Next potreste dire "Ehy, ma quelli sono i lavori di Klaverweide!". Invece no, è solo una copia palese e poco ispirata che tenta di emulare uno dei looter shooter più influenti degli ultimi anni (che piaccia o meno), ed è una delusione vedere una roba del genere.

Non perché sia sbagliato ispirarsi ad altri lavori della caratura menzionata, ma Anthem non ha bisogno di guardarsi altrove per riuscire a migliorare davvero. Non ha bisogno di un copia e incolla amatoriale per tirare fuori qualcosa di veramente creativo, basterebbe riprendere i bozzetti per creare un visual design che abbia continuità con quella che è l'idea concettuale alla base del gioco, molto ma molto diversa rispetto al medieval sci-fi da cui è nata l'odissea spaziale di Destiny. Anthem è grezzo e non elegante, misterioso come le rovine lasciate da dei sconosciuti, non palese e intuitivo come può esserlo un'entità divina che aleggia costantemente sulle teste delle razze giocabili. E allora perché non c'è l'intenzione di perseguire l'animo di Anthem, quello perduto non si sa dove o quando?

E in tutto questo i giocatori del primo giorno, o quelli nuovi delle promozioni, hanno l'obbligo di dover attendere questa famosa versione 2.0. Attesa che si aggiunge ad altre attese, a quelle di un anniversario che invece di essere un'occasione di celebrazione è diventato un funerale da rivivere. Come si può chiedere a giocatori, già paganti, di attendere ancora per un gioco che è nato vecchio e che continua a ignorare addirittura se stesso? Almeno Final Fantasy XIV ha avuto la dignità di chiudere tutto e rinascere, di non chiedere a nessuno di attendere la fine dei tempi, facendo partecipare le persone perfino all'alpha testing. E oggi dov'è Yoshida, il salvatore di Eorzea? Sul suo trono, come merita, a lavoro su Final Fantasy XVI e in continuo amore per il XIV, e siede sopra quella sedia perché sa bene la forza del suo brand e ama l'immaginario da cui nasce. Anthem non si ama più, da tempo. Perché dovremo farlo noi?

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