Dalla Cina con Devozione: Mulan
Mulan prosegue la tendenza della trasposizione in Live Action dei classici del rinascimento Disney, come reggerà il duro confronto con il genere wuxia?
Il wuxia è un genere letterario cinese moderno che tratta di avventure di eroi marziali, equivalente alle occidentali avventure di “cappa e spada”. Questo genere per quanto sia di recente formazione è divenuto un’etichetta che si applica retroattivamente a molte opere di genere avventuroso-eroico antecedenti al secolo XX.
Come capita spesso, da un fortunato genere letterario è nato un prolifico filone cinematografico che ha avuto alterne fortune anche in Occidente con alcuni casi mediatici che periodicamente lo hanno riportato al centro dell’attenzione.
Il fenomeno Bruce Lee (che faceva invece gongfu ma comunque) e la scoperta della cinematografia degli Shaw Brothers, l’invasione orientale di Hollywood degli anni 90 e lo spinto citazionismo post-moderno sdoganato da Quentin Tarantino sono i principali momenti della storia del cinema intorno ai quali si è formata la fortuna occidentale del genere.
Alcune pellicole diventarono veri fenomeni commerciali, ricordiamo come La Tigre e il Dragone di un semi sconosciuto Ang Lee nel 2000 divenne il principale incasso straniero in USA, oppure di quando un lanciatissimo Tarantino forte del successo di Kill Bill spinse fortissimo per far uscire dall’oriente Hero di Zhang Yimou nel 2004.
Questi furono i nomi grossi che aprirono la strada alla conoscenza del wuxia alla mia generazione.
Zhang Yimou e Tsui Hark si andarono così ad affiancare nell’immaginario collettivo degli appassionati di cinema di menare a Ringo Lam, Andy Lau e John Woo che dal suo ritorno in oriente non ha praticamente fatto altro che cimentarsi proprio con il genere wuxia con risultati altalenanti, prima con La Battaglia dei Tre Regni (248 minuti per la versione estesa!) e poi con La congiura della Pietra Nera.
Questo assurdo enorme panegirico per raccontarvi di Mulan, il remake in live action della Disney che asseconda quelle che sono le due principali tendenze della Casa di Topolino: attualizzare i classici per renderli godibili per un pubblico più ampio e rafforzare il rapporto tra Disney e il suo principale mercato, quello cinese.
La Cina rappresenta l’ago della bilancia
Allo stato attuale la Cina rappresenta per molte mega produzioni l’ago della bilancia che stabilisce cosa ha successo commerciale e cosa no.
Se abbiamo avuto un sequel di Pacific Rim, ad esempio, lo dobbiamo ai Cinesi e al successo che ha avuto la pellicola di Del Toro lì.
Il Risveglio della Forza e Avengers Endgame sono i più grandi incassi della Disney di sempre proprio per la presa che hanno questi franchise in Cina.
È quindi così strano che si provi a blandire il pubblico? Solo se si è una fascia di pubblico che non si è blandita, probabilmente.
Ma dicevamo, Mulan.
EH.
Mulan purtroppo non è stato un prodotto fortunato, ma mi viene quasi da dire che in questo 2020 quasi nessuno lo sia stato, in sala (mentre vi scrivo Tenet si appresta ed essere un flop al botteghino e questo potrebbe causare non pochi problemi all’industria cinematografica).
Mulan doveva uscire originariamente al cinema in primavera poi abbiamo avuto il covid, è rapidamente diventata una di quelle pellicole rimandate e poi rimandate ancora e che alla fine per sfinimento sono finite sulla piattaforma streaming Disney+ MA a pagamento.
Una forma di acquisto anticipato al prezzo di 22€ che si sommavano al costo dell’abbonamento MA sapendo che dal mese di dicembre sarebbe stato incluso nel catalogo (ed era prevedibile) per tutti gli utenti.
La solita trafila di commenti, reazioni social scomposte e acredine
Prima ancora della release il film ha inoltre subito la solita trafila di commenti, reazioni social scomposte e acredine: “i live action che ci rovinano l’infanzia” e qui è sempre bello immaginare l’attrice protagonista di turno che ci appare in sogno rivelando al noi bambini di 4 anno che Babbo Natale non esiste, e “22€ è troppo per vedere un film” che no, non è troppo perché un bluray di media ne costa 20 e normalmente un padre che porta al cinema la famiglia di (media) quattro persone spende intorno ai 32€.
Viviamo in tempi complicatissimi per il cinema in genere se le questioni che vengono mosse contro un film iniziano prima che il film arrivi in sala (reale o digitale che sia).
Vorrei poter raccontare di come Mulan ribalti le convinzioni e gli stereotipi proponendo un grande intrattenimento per tutta la famiglia con il sapiente utilizzo di una regia illuminata e di stunt coreografati allo stato dell’arte del cinema di menare, ma purtroppo non è questo il giorno.
Il problema di Mulan è che guarda a destra e a sinistra, ad oriente e occidente, vuole essere una grande storia di emancipazione da un paternalismo ingombrante e obsolescente MA sotto la guida di un’impero paternalista e obsolescente che elargisce quello stesso concetto di onore senza il quale una vita non può essere definita piena e soddisfacente.
Tra quelle che risultano come le più interessanti licenze poetiche di questo nuovo adattamento c’è l’utilizzo creativo del concetto di Qi (si legge “ci”).
All’inizio ci viene presentata Mulan come un’utilizzatrice di questa energia che le permette di fare cose incredibili e che la fanno apparire agli occhi dei suoi compaesani come una strega. In questa incarnazione il Qi è una caratteristica propriamente maschile e tipica dei migliori guerrieri della Cina che lo utilizzano in battaglia ma se a possedere il Qi è una donna questo la designa come un paria perché inadeguata a perseguire la via tradizionale della figura femminile fatta di completa devozione prima alla famiglia paterna e poi a quella del marito.
Nella cultura tradizionale cinese il Qi era visto come la forza che originava tutte le funzioni fisiche e psicologiche e successivamente utilizzato per determinare il massimo livello di forza dei soldati e per scegliere in base a questo il miglior movimento delle truppe sul campo di battaglia.
Dotare Mulan in partenza di qualcosa di “sovrumano” come capitato dal altri personaggi nel passaggio da una visione all’altra (penso ad esempio al costume progettato da Tony Stark per Spider-Man) dove si cerca una giustificazione narrativa a qualcosa che si vede a schermo è un vero passo falso per due motivi.
In primo luogo depotenzia tantissimo la figura di Mulan che non supera il durissimo addestramento nell’esercito cinese grazie alla sua determinazione e alla sua forza di volontà ma sembra accada perché parte avvantaggiata con qualcosa che ha lei ma che gli atri no.
E poi c’è una motivazione più di natura strutturale al genere, con il concetto di Qi si stanno spiegando le arti marziali e le acrobazie surreali ed esagerate che caratterizzano il wuxia e questo appare come una forzatura non richiesta.
È il momento di parlare anche delle coreografie dei combattimenti.
Ad una fetta di pubblico occidentale impreparato al genere possono sembra eccessivi, come eccessivo era Chow Yun-fat librarsi sopra i tetti in La Tigre e il Dragone ma in realtà non è così.
Per il wuxia sono ordinari e deboli, per una produzione occidentale sembrano invece una forzatura ammiccante e una mezza appropriazione culturale ma la cosa più grave è che non sono divertenti come dovrebbero essere.
Sono più un susseguirsi di mosse a caso e stacchi di montaggio che nel cinema di genere raramente sarebbero accettati ma del resto, la regia non ci mette il suo.
Spulciando il curriculum della regista Niki Caro purtroppo non spicca la sua velleità per l'azione e movimento.
L’altro punto sul quale il film sembra fuori fuoco è la narrazione di emancipazione che non arriva potente come dovrebbe, sottomettendo comunque tutti i personaggi ad un’autorità superiore di stampo patriarcale che funziona da deus ex machina affinché Mulan venga accettata in virtù del riconoscimento imperiale.
Il che pone comunque tutta la vicenda in una scomoda chiave di lettura filo cinese.
una scomoda chiave di lettura filo-cinese
Chiariamoci, non è una novità: stiamo parlando di una nazione che impone una forte censura ai prodotti che vengono commercializzati sul proprio territorio e che quindi una produzione è comprensibile scenda a compromessi con le regole imposte dal paese anche sul messaggio che poi tanto velato non è.
Ma non è il primo caso di una produzione che scenda a compromessi strani, ce ne sono alcuni di esempi anche eclatanti nel cinema recente e meno recente che si sono piegati per raccogliere i soldi degli investimenti cinesi.
E parlo di narrazioni smaccatamente filo orientali come Macchine Mortali (gli unici territori felici sono quelli a oriente lontani dalla spietate macchine occidentali che invece di cooperare serenamente si fanno la guerra divorandosi l’un l’altra), The Great Wall il wuxia dove Matt Damon capisce l’importanza della cooperazione e della disciplina contro il velleitario individualismo tipico della civilizzazione occidentale.
E pure risalendo al bellissimo Hero con Jet Lee, la rivoluzione di Senza Nome finisce nel momento in cui capisce che assassinare l’imperatore è un gesto vano e che la Cina ha bisogno di un potere centrale forte che la comandi.
Non ci sarebbe nemmeno poi tanto da stupirsi, del resto noi siamo la generazione che è cresciuta con l’edonismo reganiano di Rambo (3) che aiuta i poveri afgani a contrastare l’Armata Rossa e adesso è il turno della Cina di fare la parte del leone nel campo dell’intrattenimento mondiale in virtù della potenza economica che rappresenta.
Se riuscite a leggere questa meta narrazione e questa vi turba, semplicemente girate a largo da tutte le produzioni dove anche una parte dei soldi li hanno messi i cinesi.
Dal canto mio, i film vanno fruiti senza pregiudizi e analizzati per come sono. È un problema per Mulan il finale conciliatorio? No, del resto era una cosa presente già nella versione animata originale. Può solo risultare come una narrazione un po’ stantia nel momento in cui l’orientamento generale è quello di di scrivere di personaggi femminili forti che si liberano dalle figure paterne ingombranti.
Quello che veramente pesa a Mulan è un ritmo non entusiasmante che si riprende solo negli ultimi tre quarti d’ora, una regia improvvisata che mal digerisce la vocazione action della storia (inquadrature ruotate? Non sei James Wan, zi’) e una protagonista che non riesce a soppiantare l’iconicità della controparte animata.
Insomma, sono un po' i pregi e i difetti che accompagnano tutto lo sviluppo e l'accoglienza dei titoli live action Disney di nuova generazione, non peggiore né migliore di altri.
Mulan in live action non vi rovinerà né l’infanzia né il portafoglio ma dato che a dicembre sarà disponibile per tutti sul servizio in streaming di Disney vi consiglio di approcciarlo senza pressione e senza aspettative.