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Il Villaggio di Resident Evil è un meraviglioso parco divertimenti dell'orrore

Attenzione, di seguito sono contenuti forti spoiler sull'ultimo capitolo di Resident Evil.

Nel suo Villaggio, Capcom con Resident Evil VIII da vita ad una nuova visione dell’orrore cercando di scindere, laddove possibile, quel confine labile che intercorre fra “l’orrore” e il “terrore” confezionando un’avventura che, al netto della sua ‘lore’ principale, va ad esplorare fino in fondo, e in maniera anche piuttosto approfondita per la serie, la psiche e la follia degenerativa dell’essere umano.

Quel che otteniamo, quindi, dopo le terrificanti vicissitudini di Ethan a Villa Backer è un mix interessantissimo che esplora il grottesco, mette in scena l’orrore e, solo in ultima battuta, va a ricercare il gusto per il terrore generando nello spettatore quel giusto grado d’ansia necessario a tenerlo sul chi vive.

Ed è proprio questo l’aspetto più esaltante, ed interessante, di Village: il suo essere un “survival horror” fra milioni di virgolette e il suo generare “paura” senza la costruzione di un vero e proprio contesto “pauroso”. Nella pratica costruisce un piccolo, quanto dettagliato, teatro degli orrori dove è il gusto e la ricerca dell’esagerazione e dell’efferatezza che vanno a definire il contorno del terrore nel suo spettatore.

Il Villaggio messo in scena nel gioco non è altro che l’hub centrale di un parco giochi dell’orrore: le 5 attrazioni principali messe a disposizione dell’ignaro visitatore sono rappresentate dal castello Dimitrescu, dal casolare di Beneviento, dal lago artificiale di Moreau, dalla fortezza di un ignoto Re e della fabbrica di Heisemberg.

Ognuna di queste attrazioni ha un duplice livello di lettura all’interno della narrazione di gioco: esplora un differente esperimento per Madre Miranda fornendoci gli indizi necessari per la comprensione delle vicende narrate ed esplora una differente messa in scena dell’orrido.

Se sul primo livello di lettura possiamo cogliere degli oggettivi alti e bassi (il castello Dimitrescu, ad esempio, rappresenta l’elemento più debole del gioco), concentrandoci sul secondo non possiamo che godere dinnanzi alle tragedie che Capcom ha messo in scena.

Ognuna delle attrazioni su cui abbiamo modo di salire ci accompagna alla scoperta di un modo diverso di concepire l’orrore spiegandoci anche quella sottile differenza che intercorre fra questo e il terrore vero e proprio, riscontrabile, per altro, solo in una delle cinque macro-aree esplorabili.

Così come fa il gioco anche noi partiamo proprio dall’iconico castello Dimitrescu abitato dalla Lady più famosa del web che se da una parte rappresenta, appunto, il momento più basso di questa nuova produzione dall’altro può vantare l’essere il biglietto di ingresso nella discesa verso il baratro della follia umana.

Alcina, come tutti gli altri abitanti del villaggio, è una povera vittima del megamicete e di tutto quello che gli ronza attorno ma, a differenza di tutti gli altri abomini con cui Ethan avrà a che fare, qui ci troveremo di fronte a quello che vuole rappresentare “la normalità”.

Parliamo, chiaramente, di una normalità apparente come spesso accade nella migliore tradizione dei castelli abitati dai vampiri che ben presto lascia spazio alla perversione erotica del sangue. Ma anche in quei momenti così squisitamente rappresentati l’intero castello è permeato da un’eleganza di fondo piuttosto “anomala” al netto di segrete piene di strumenti di tortura e corpi tumefatti che penzolano dal soffitto. Ma quello è arredo di ordinaria amministrazione.

Lady Dimitrescu non riesce, mai, ad incutere timore nel giocatore ma, la parte più interessante, è che non vuole farlo: Alcina ha un contegno, un suo retaggio “di corte” e non si scompone mai, nemmeno di fronte all’uccisione a sangue freddo (letteralmente) delle sue tre figlie.

L’orrore messo in scena da Capcom è di quelli classici che si basa interamente sulla più tradizione figura del vampiro portando sullo schermo una composizione che vuole semplicemente regalarci una leggera sensazione di disgusto mista a quel piacevole pizzicore su tutto il corpo dovuto alle apparizioni della Signora e delle sue figlie.

È con la seconda attrazione, con la dimora di Beneviento, che Capcom inizia però a giocare sul serio con il suo teatro cambiando immediatamente il tono del suo parco giochi e inabissando il giocatore nei più reconditi e bui angoli della paura.

La casa, complice una dimensione piuttosto ridotta, riesce a mettere in scena il terrore, quello vero, sotto le vesti di piccole bambole di porcellana che spuntano ovunque nell’arredo.

Si arriva fino alla battaglia con Donna Beneviento, anche questa messa in scena con una cura maniacale nella ricerca dell’estasi della paura come tutto il resto dell’attrazione. Non combattiamo sul serio: nella casa non sono presenti nemici ma continuiamo a provare una brutta sensazione sulla pelle. Stiamo male, ci manca il respiro e abbiamo paura di trovarci una bambolina di porcellana all’inseguimento da un momento all’altro.

Stiamo sul chi vive, sempre, senza mai riuscire a trovare un’oasi di riposo all’interno della casa: anche il più semplice cestino con i fili di maglia intrecciati ci fa tremare di fronte alle infinite possibilità di terrore che possono nascondersi dietro ad ogni angolo.

Donna Beneviento rappresenta, quindi, l’apice della paura di Village: quel picco dopo il quale non si potrà fare altro che riscendere fino a provare nuovamente una sensazione di vago benessere.

Se in prima battuta mi è sembrato piuttosto anomalo vivere questo piccolo così presto nel gioco, con l’arrivo nelle miniere in cui si nasconde Moreau sono riuscito a comprendere il disegno che Capcom aveva tracciato per me.

Con Salvatore Moreau raggiungiamo, di fatto, la fine della discesa dal picco di paura che abbiamo raggiunto poco prima finendo di fronte ad uno dei personaggi più intriganti ed interessanti del gioco. Interessante perché porta in scena uno fra i drammi più strazianti del Villaggio: completamente succube di Madre Miranda il medico del paesello si sente schifato e odiato da tutti quanti.

Non solo, a differenza di tutti gli altri orrori con cui abbiamo a che fare, Moreau è l’unico ad essere “schiavo” della sua aberrazione da cui viene controllato senza possibilità di appello.

Ci viene messo di fronte, quindi, un uomo “buono” che si è semplicemente trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato finendo per rimanere invischiato in una storia molto più grande di lui.

A farci compagnia in questa sessione del nostro tour nel luna park del Villaggio è una malinconia di fondo che se da una parte ha l’arduo compito di risollevarci dai fremiti di terrore di Donna Beneviento, dall’altro non riesce a scrollarci di dosso quel senso di tristezza e solitudine che ci accompagna dall’inizio dell’avventura.

L’orrore lascia spazio alla compassione e la compassione alla rabbia. E la rabbia porta all’odio: questo è il primo momento del gioco in cui è possibile provare un odio profondo, quello puro, verso Madre Miranda ed è proprio per questo che Capcom ci mette di fronte all’ultimo dei protagonisti del nostro tour: Heisemberg.

Lui rappresenta l’esagerazione: dobbiamo darci una scrollata dalle lacrime che abbiamo versato per Moreau e per farlo ci viene in aiuto una bella botta di adrenalina figlia dal gusto per il “troppo”. Hesimberg è “troppo” in tutto: non c’è più orrore, non c’è più terrore. Resident Evil VIII torna a riflettere quella natura di B-movie che è intrinseca nella produzione mettendoci di fronte mezzi cyborg e aberrazioni sempre più esagerate che culminano con la battaglia finale contro il fratello di Alcina.

Abbiamo finito di provare paura e abbiamo preso il coraggio necessario a trasformare l’odio per Madre Miranda nell’arma che ci servirà per farle il culo, non prima di essere passati da un piccolo cambio di prospettiva che non fa altro che confermare i toni fortemente action dell’ultima parte di gioco.

Vedete, Resident Evil VIII, come detto in apertura, ci ha messo di fronte a 4 differenti modi di mettere in scena e percepire l’orrore mostrandoci, scelta dopo scelta, quanto è possibile ricamare su atmosfere e personaggi destando differenti sensazioni sullo spettatore senza mai smettere di vomitargli addosso sangue e aberrazioni.

Il Villaggio è un esperimento che non possiamo che definire riuscito e che ha superato, senza alcun dubbio, quanto già avevano sperimentato con Ethan e Mia nello strano (e personalmente poco apprezzabile) cambio di prospettiva nel capitolo precedente.

Non resta che scoprire come decideranno di declinare nuovamente questo aspetto nel nono capitolo che, viste le premesse, saprà stupirci come mai.

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