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“Una donna che conta” di Myss Keta è la consacrazione di una supereroina

Myss Keta ha sempre avuto tutte le carte in regola per diventare una supereroina: porta la maschera, rende il modo un posto migliore e ha un debole per gli outfit vistosi. Le mancava soltanto una cosa, le mancava una mitologia. Con il libro “Una donna che conta”, Myss Keta crea la sua personale origin story e mette nero su bianco l’epopea della sua ascesa al trono di Regina della Trasgressione.

Come per ogni supereroe che si rispetti, la sua vita è stata un alternarsi di trionfo e catastrofe, dai fasti degli anni ’80 al buio della galera. Quanto di questo racconto è autentico? Non ci interessa, perché in fondo cos’è la vita di Myss Keta “se non una deliziosa menzogna sussurrata all’orecchio?”.

Per chi avesse vissuto nella Fortezza della Solitudine fino a oggi, Myss Keta è una cantante e performer milanese. La sua identità è un mistero, il suo volto è sempre nascosto dietro maschere in tessuti preziosi e occhiali da sole glamour. La sua musica è un’esplosione di pop, rap, elettronica e spirito situazionista. I suoi live sono eventi carichi di gioia, catarsi e massima libertà di espressione, per lei e per il pubblico. Nella primavera del 2018 è uscito il suo primo disco, “UNA VITA IN CAPSLOCK”, ma sono anni che Myss Keta è nota nell’ambiente, soprattutto in quello milanese, suo habitat naturale. Nei suoi pezzi Myss Keta si diverte a costruire un’immagine di sé fatta di eccessi, droga, lusso, sesso e corruzione.

La sua produzione è disseminata di indizi che parlano di un passato da vip, ma è con “Una donna che conta”, uscito il 4 dicembre per Rizzoli Lizard, che Keta ci svela a pieno la sua backstory, la genesi della supereroina che è diventata. Si parte dagli sfavillanti anni ’80, quelli della spericolatezza imprenditoriale, della cocaina a colazione e della televisione come nuova divinità nazionale. Myss Keta si fa strada in tutti gli ambienti che contano, inventa format, lancia carriere, è la regina incontrastata della movida, finché non viene tradita. Finisce in gabbia e lì capisce che non saranno i Papi, gli avvocati o i cardinali a farla risorgere. Sarà MYSS FUCKING KETA a tirarsi fuori dall’oblio e a tornare alla ribalta, insieme alla sua squadra di eroi della corruzione, la Perversion League che prenderà il nome di Motel Forlanini.

La storia di Myss Keta ci regala il ritratto di una supereroina senza volto e senza età, attratta dal lato oscuro dell’avidità, dell’arrivismo, dell’ostentazione, ma allo stesso tempo avvolta da un’aura di beatitudine, che invita all’amore, alla gioia di vivere, all’accettazione di sé, alla tolleranza priva di giudizio. Myss Keta è una supereroina alla Deadpool, anche se certamente preferirebbe essere paragonata a Batman, creatura della notte il cui unico superpotere sono i soldi. Autoironica, consapevole dei meccanismi della finzione e che sa sempre dove sta la telecamera, Myss ci regala l’avventura del suo passato e la chiave per il suo futuro.

Se dovessimo descrivere Myss con uno solo dei suoi superpoteri, probabilmente diremmo l’assenza di vergogna. In “Una donna che conta” non c’è traccia di pentimento, non c’è spazio per l’autocensura, neanche quando il tarlo di una formazione cattolica tenta di ributtare la nostra paladina nell’angolo buio del pudore. Keta fa le sue scelte, sfrutta le sue capacità, diventa una donna temuta, amata, odiata, idolatrata, ma soprattutto libera. In gabbia Myss non ci torna, e non si riferisce solo a San Vittore, ma a tutte le gabbie sociali, culturali e mentali che minacciano ogni giorno l’indipendenza dello spirito umano. Speriamo che quello di Myss Keta sia un Universo in espansione.

Di Eva Cabras. Seguila sui soshial™: Facebook
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