Dal momento in cui il covid prese piede, quasi un anno e mezzo fa, sapevamo che le ripercussioni sul nostro stile di vita sarebbero state drammatiche, quanto meno sul breve periodo.
Ora che, facendo i determinati scongiuri, si sta iniziando a vedere la luce e anche noi iniziamo a respirare un po’ più liberamente, guardare indietro agli errori commessi, alle sensazioni provate, è un’occupazione comune.
Le ripercussioni a lungo termine sono ignote. Volendo pensare ai punti di vista più svariati, da quello politico a quello socio-economico, passando per quello psicologico, compromesso dallo stato di reclusione nel quale molti si sono chiusi e chissà se mai riusciranno ad uscirne, l la situazione è mediamente disastrosa.
Nel panorama generale di mutamenti e stravolgimenti, eventi sono stati quelli che più di tutti hanno fatto le spese della nostra impreparazione. Eventi intesi come principale mezzo di pubblicità, come la finestra attraverso il quale il nostro lavoro, chiuso tra pochi intimi, incontrava e si scontrava con le opinioni del pubblico. Il famoso "bagno di paese reale" che separa una idea buona sulla carta da una vincente.
Con tutto quello che si porta dietro come feedback diretto del pubblico, indotto legato all'organizzazione o l'allestimento.
Insomma, stare in mezzo agli altri nel 2019 non era solo la divertente occasione di socialità, quanto un aspetto importante del proprio lavoro.
L’estate è iniziata, ma se per molti significa spiagge, mare, pianificazione delle vacanza, per tutto il settore dei grandi eventi è la stagione dove si raccolgono i frutti degli sforzi volti all’organizzazione.
Se per alcuni palcoscenici la presenza è obbligatoria affinché le caratteristiche uniche dell’evento si concretizzino, per altre, e in queste per determinati soggetti, svincolare un evento dal suo luogo è un vantaggio, ma procediamo con ordine.
L'E3 e l'Effetto Treno
L’industria videoludica, per quanto si arricchisca producendo e vendendo mondi virtuali, è estremamente legata al mondo fisico.
Questo sconcertante dato di fatto lo abbiamo toccato tutti con mano valutando gli effetti dello smart working sulla realizzazione dei videogiochi che si sono concretizzati in rinvii o crunch time matto e disperato per rientrare nei tempi di consegna e nelle date di uscita.
Per farvi un’idea della questione, consiglio la seconda stagione di Mythic Quest (la trovate su Apple+) che fonti interne ad un importante studio di sviluppo mi hanno riferito come “la cosa più vicina a descrivere il modo in cui ho vissuto nell'ultimo anno”.
La problematica a monte si traduce anche in un “accorciamento della coperta” che arriva così a scoprire i piedi delle Fiere di Settore.
Giugno è da decenni il mese dell’Electronic Entertainment Expo (o E3), La fiera dell’industria videoludica.
Prima di tutto questo casino, l’E3 era il palcoscenico mondiale dove presentare le console nuove, dove si davano in pasto nuove e vecchie ip alle folle adoranti.
L’E3 è dove si vendeva il sogno del videogioco.
Quasi a ricalcare il nome della fiera, esistono tre diversi E3.
L'E3 dello spettatore da casa, che sacrifica preziose ore di sonno per seguire le conferenza tenute in diretta e che la mattina dopo legge le traduzioni dei comunicati stampa e le anteprime che poveri newser e redattori hanno dovuto macinare a tempo di record per inseguire la macchina che all’improvviso parte sgasando per le strade di LA.
L’E3 dei giornalisti e la e3 experience, da un lato respirare il tanfo di città generica di LA, mangiare cibo spazzatura, essere lì presenti in loco e roteare insieme al caleidoscopico spettacolo di luci, stand, standiste, pr e sviluppatori.
Un grande momento di coesione per il settore caratterizzato da un lato oscuro, una visione parziale limitata alle cose che si è potuto toccare con mano, con ritmi di lavoro allucinanti. Perché quando calano le luci sulla Città degli Angeli, in Italia un lettore si sveglia e va sul suo sito di riferimento per leggere news e anteprima delle cose successe durante la notte.
C’è una sorta di stoico eroismo in questo lavoro sfibrante e spesso disconosciuto, ma mai come in questo E3 si è notato il prezzo pesante della disintermediazione, con un flusso costante di dirette non filtrate in cui titoli grossi, medi, piccoli e cacate pazzesca confluiscono insieme senza soluzione di continuità, senza un filtro che evidenzi cosa è meritevole e cosa no.
L’e3 dei membri dell’industria è il trionfo dell’avere i più grossi professionisti nello stesso luogo, ci si scambiano contatti, si stringono mani e simboliche valigette piene di assolutamente non simbolici quattrini passano di mano stipulando accordi, prelazioni, esclusive temporali.
C’è una bella puntata dei Halt and Catch fire che racconta bene il mondo delle Convention del settore tecnologico ed è molto facile immaginare che dietro quelle porte chiuse, intorno ai tavoli lontani dai giornalisti distratti dalle demo avvengano incontri estremamente interessanti per il futuro dell'Industria.
Se dovessimo raccontare adesso questo E3 2021, a mente fredda, lo scenario sarebbe di entusiasmo estremamente relativo.
Potremmo definirlo un E3 dei postumi, dal punto di vista dei contenuti mostrati.
Show non sempre all’altezza si sono dovuti confrontare con presentazioni accuratamente preparate e lo stacco dato dal contrasto tra una presentazione ben riuscita e una no è semplicemente abissale, con Microsoft arrivata sul palcoscenico preparatissima per sparare le cartucce che aveva in serbo da quando ha iniziato a giocare a Monopoli con gli studi di sviluppo indipendenti e non.
Una presentazione ricca, ritmata, divertente per il numero di contenuti furbescamente mostrati a nascondere alcuni evidenti mancanze (la campagna di Halo, tipo, o qualcosa di concreto su Starfield) e la solita messa in dimostrazione di forza rappresentata da Forza Horizon 5 (anche se forse, nonostante la qualità del nuovo sistema di rendering abbia sottratto al gioco qualcosa sul piano “artistico”).
Non avrei mai voluto trovarmi nei panni di Square Enix e dover apparire dopo Microsoft, con poche e misere idee, tecnicamente arretratissime e senza titoli grossi a fare da parafulmine per le attenzioni del grande pubblico, tra i quali assenze di rilievo come Final Fantasy XVI e il sequel per il Remake del VII.
In compenso, i veri credenti sono stati ricompensati da uno spin-off soulslike con il titolo che pare quello di un film di Jim Jarmusch e la cui demo a stento è stata giocabile.
E non voglio aprire la parentesi Capcom.
Quindi un E3 dall’andamento ondivago, solo relativamente soddisfacente, che non appaga nemmeno lontanamente la fame di sogni alla quale l’evento losangelino ci ha abituati nel corso dei suoi anni ruggenti.
Detto ciò, sarebbe stato più accorto identificare l’evento di quest’anno come qualcosa di diverso, un po’ sulla falsa riga della nomenclatura “changes” adottata da Lucca per il 2020, dato che manca quella essenziale unità geografica che caratterizza l’E3.
C’è da dire che sono anche anni che si preannuncia la caduta dell’E3 a causa della sua frammentazione data dalla prassi ormai consolidata di far insistere, nello stesso lasso di tempo scelto per lo svolgimento della fiera, eventi “alternativi” per cavalcare l'hype train della fiera.
Quest’anno è stato lo stesso ma con eventi digitali che partivano in coda e droppavano trailer su trailer di roba già vista (in una circostanza addirittura senza cambiare la nomenclatura dell’evento nel filmato) a colmare più fette di tempo possibile senza guida o direzione, come tanti spazi pubblicitari generici.
A convincere quindi sono i singoli titoli mostrati e non la narrazione d’insieme di un settore che viaggia a velocità estremamente diverse in questo lentissimo avvio di generazione talmente accavallato alla fine della precedente da esserne indistinguibile.
Il Far East Film Festival
La scelta di trasformare gli eventi digitali sui videogiochi in vero e proprio infobombing non è l’unica strada possibile da seguire. Ci sono soluzioni più eleganti per la gestione degli eventi online, lo abbiamo visto con Lucca ma avviene anche per il Far East Film Festival, una rassegna di novità del cinema orientale che si tiene a Udine dal 24 giugno al 2 di luglio.
Secondo me, tutte le rassegne cinematografiche dovrebbero conservare anche per il prossimo futuro post pandemico la formula online.
Svincolare un festival cinematografico dalla presenza significa offrire il suo catalogo ad una platea di spettatori potenzialmente infinita e questo, nel momento in cui la grande distribuzione orientata sui blockbuster.
Il catalogo è stato tutto disponibile tramite il sito di Mymovies.it e seppure l’infrastruttura non è elegantissima come quella di Disney+ mostra chiaramente l’offerta di film tra i quali scegliere con la sinossi come didascalia elle immagini e il relativo trailer.
La qualità del video è molto alta, garantita da un test sulle performance della connessione, il caricamento è fluido e senza indecisioni o buffering.
Scegliendo uno dei diversi carnet di biglietti si ha accesso ad un numero crescente di spettacoli (prezzo base 9,99€) a partire da quattro.
Selezionando uno spettacolo si ha accesso al film per tutta la durata del festival, è possibile anche rivedere i film già visti, oltre a mettere in pausa per riprendere la visione quando si vuole.
Un modello estremamente malleabile per le esigenze dello spettatore.
L’azzeramento delle distanze tra spettatori potenziali e spettacolo per quanto riguarda il cinema è una consolidata realtà che in questo anno e mezzo ha visto nello streaming la valvola di sfogo a produzioni che in questo momento di crisi sarebbero state infruttuose.
Il Festival in streaming è solo il passo successivo di questo rapporto e sarebbe incredibile avere la possibilità di assistere agli spettacoli anche di rassegne più importanti come Cannes o Venezia.
Ora, io sono un grande amante dell’atmosfera unica della sala, ma tra il non riuscire a vedere una cosa a causa di una distribuzione arbitraria e vederla in streaming molto bene il problema non me lo pongo proprio.
Non so quanto di quello che abbiamo vissuto con la pandemia resterà e quanto verrà lavato come una macchia, un momento da dimenticare.
Sta di fatto che tra le cose che mi farebbe piacere rimanessero è un'integrazione digitale funzionale degli eventi reali, non solo "riarrangiati" per essere serviti ad un pubblico assente ma concepiti in partenza con una doppia natura.
È chiaro che la buona riuscita di un Far East è più facile rispetto all'organizzazione pachidermica di un E3, ma sembra che da un lato l'occasione digitale sia stata colta con successo mentre dall'altro l'impreparazione generale e la fretta di apparire "normali" abbia generato uno strano e insoddisfacente ibrido, al di là della piattaforma con la quale la fiera si è raccontata al mondo.
Alla fine della fiera
Accostare questi due mondi apparentemente distanti ci racconta non solo due approcci diametralmente opposti della fruizione da remoto degli eventi, ma ci permette di prendere anche il polso dello stato di salute dei due settori.
Ora, lungi da me dire che l'anno di lancio di una nuova generazione di console sia due discriminante per tutto l'andazzo futuro, ma è impossibile non notare come il covid abbia fatto da pettine per tutte le criticità esistenti nel settore, come la comunicazione non sempre funzionale, ritmi di lavoro massacranti e il rapporto ancora molto stretto con il mondo fisico, nodi che ancorano il settore videoludico ad una certa staticità sia contenutistica che tecnologica.
Dal canto suo, il cinema invece svincola tra chiusure e distanziamenti per mezzo delle piattaforme di streaming, superato il primo angoscioso momento di lontananza dalla sala, le grandi produzioni hanno trovato la quadra tra il rapporto col pubblico in streaming e le sale, anche grazie a modelli come l'accesso vip di Disney+ che permette di avere direttamente in streaming il film in contemporanea con le sale.
Il momento difficile non so quanto possiamo considerarlo superato, ma quello che è certo è che bene o male l'ingolfato settore dell'intrattenimento pare aver ripreso a salire di giri.