The O.C. compie 18 anni - Ritorno ad Orange County
Il 5 Agosto del 2003 andava in onda per la prima volta The O.C. il teen drama che ha caratterizzato la generazione dei Millenials. A 18 anni da allora riguardare la prima stagione è un vero e proprio viaggio nel tempo in direzione adolescenza.
Ogni generazione, ogni sfornata di adolescenti, ha il suo teen drama di riferimento, anche se noi li abbiamo sempre chiamati solo telefilm.
Il teen drama della generazione dei cosiddetti Millenials, nati durante gli anni ’90 e che ha assistito in diretta all’attentato delle Torri Gemelle perché stava guardando la Melevisione, è stato The OC.
Il presupposto è abbastanza semplice: il protagonista è Ryan, un ragazzo problematico della peggio suburbia, con una storia di microcriminalità alle spalle e una famiglia disastrata con fratello tossico, madre alcolista e padre ospite dello stato. A fare la parte dei mecenati di questo novello Anna dai Capelli Rossi, giovane compromesso ma non del tutto rotto, c’è una coppia della rampante alta borghesia di New Port, insediamento costiero californiano con tutti i caratteri del non luogo per eccellenza, tra cui la completa inesistenza delle stagioni, come in una bolla ferma nel tempo che procede un giorno alla volta senza deformarsi o invecchiare.
Il periodo storico, e questo è forse il suo principale punto di interesse, sono l’inizio degli anni 00, appena resi consapevoli di non essere più i ‘90.
Con lo sguardo dell'oggi può sembrare una colossale cazzata ma 18 anni fa le cose erano molto diverse.
Nel senso che ci sono bambini nati durante la messa in scena della serie che adesso hanno fatto la maturità e sono studenti universitari. Dopo 18 anni un secondo sguardo non lo si nega a nessuno, specie con il disincanto di chi quella società idilliaca favoleggiata dalla serie l'ha vista tramontare e collassare su se stessa tra una crisi economica e il populismo che avanzava.
Dal punto di vista del revisionismo storico che ha colpito prima Beverly Hills 90210 e poi Dawson’s Creek, l’onda lunga della nostalgia pare non ancora aver investito la serie, e lo status di Cult che quarantenni stanchi della loro vita monotona che riguardano al passato accendendo nelle pupille un bagliore di eccitazione infantile non è ancora stata imposta a causa del fatto che noi che la vedevamo non abbiamo ancora raggiunto il fatidico traguardo dei quaranta, o della stanchezza, o della maturità mentale più che anagrafica e quindi la serie, i suoi protagonisti, i suoi intrecci, sono ancora in fase remissiva, per la mia generazione.
Ancora per poco ad occhio.
Di The OC ero uno sfegatato fan.
La contrapposizione caratteriale tra Ryan e Seth era meravigliosamente bilanciata, una strana coppia. Ryan risalito dalle strade di Chino, tra suburbia e microcriminalità e Seth, cresciuto nella bambagia, un nerd prima che fosse cool, prodotto dell’imborghesimento della generazione precedente e completamente inadatto a vivere nel mondo reale.
Una contrapposizione affascinante che ci racconta anche del divario sociale che separava le classi sociali dell’America degli squilibri che di lì a poco avrebbe visto infrangere i propri sogni nella caduta vertiginosa della Goldman Sachs e l’inizio della crisi del mercato immobiliare.
Ma in The OC ancora non lo sapevano e il mondo era ancora patinato di eventi mondani e speculazioni edilizia, commoventemente incastonata nel suo momento storico.
L’America di adesso, l'orlo della amata/odiata civilizzazione occidentale che tanto ha caratterizzato il tempo presente non è un parto originato dal nulla, ma un flusso costante di eventi in sovrapposizione che determinano la configurazione attuale della storia.
Così, anche nella idilliaca New Port, dove l’erba è verde e le ragazze sono carine, c’erano avvisaglie del presente raccontato come ordinarie scaramucce da soap. L’indimenticabile bancarotta fraudolenta di Jimmy Cooper è tra gli eventi che innescano la serie in quanto vero e proprio terremoto sociale che mina le convinzioni, fittizie, di un’intera comunità: il ragazzo d’oro, padre modello, marito ideale che bada ai bisogni della moglie e della famiglia sovrastato dai debiti contratti per mantenere costante e ascendente lo stile di vita della propria famiglia, in una società futile, fatta di apparenza.
Volendo andare a ricercare una matrice letteraria elevata, lo smaliziato osservatore contemporaneo può ritrovarsi davanti poppizzati alcuni aspetti fondanti della poetica dell’età del Jazz di Francis Scott Fritzgerald. C’è sempre un’evento mondano al quale partecipare, dove fare sfoggio del proprio status come di un vestito, in una disperata gara al rialzo, nel rapporto duale tra ammirazione ed invidia.
E dire che la serie inizia anche con toni contestualmente cupi. Per tutto il primo arco di episodi la relativa vicinanza alla strada di Ryan imbastisce una serie di trame fondate sul tema del contrasto, ma una volta assorbito l’effetto sorpresa e la novità la serie si stabilizza su temi da ordinario teen drama, cotte, amori e fidanzate mai emotivamente stabili.
Pietra angolare della serie sono i rapporti che i due protagonisti imbastiscono con le loro controparti femminili. È in questa rappresentazione dei rapporti amorosi che la serie dimostra tutta la sua età, sia anagrafica che storica. Ma se da un lato patiamo una certa mancanza di spessore fermandoci un attimo a riflettere sull’età dei protagonisti questa è comunque rappresentata coerentemente frivola, così come sono frivole e leggere le motivazioni che muovono i sentimenti dei protagonisti, eppure allontanandoci dal punto focale, tutto il cast di comprimari adulti offre comunque una panorama generale di tresche, tradimenti e flirt un pelo più croccanti e ancora capaci di strappare un sorriso.
Le trame che interessano i personaggi "adulti", tra bancarotte, cause, divorzi e sbandate ci racconta di un mondo di persone come mai veramente maturato a causa della bolla di benessere nella quale vivono. Benessere e impunità derivante dallo status.
Molti degli “errori” compiuti dagli adulti sono da attribuire a radicata immaturità presente in una classe sociale che ha avuto “le cose facili” perché terminali ultimi di patrimoni generazionali che si trasmettono quasi invariati da padre in figlio.
Eppure a controbilanciare una sorta di staticità sociale, la galleria di personaggi “maturi” comunque ricopre a linee spesse un variegato mondo di situazioni e background, a tratteggiare personaggi quasi archetipici, tra cui spiccano su tutti il carismatico Sandy Cohen avvocato d’ufficio idealista, ebreo in mazzo ai wasp, originario del Bronx e Julie Cooper, di professione arrampicatrice sociale.
Ma torniamo per un momento agli elementi di contesto.
Per quanto situazioni e personaggi possano invecchiare e perdere di interesse a causa della intrinseca natura da soap opera The OC si rivela un period drama inconsapevole andando a descrivere un periodo storico ormai risalente a 18 anni fa senza eccessiva estetizzazione. O meglio, le patinature modaiole sono rappresentate senza gli eccessi da cartolina (a la Stranger Things) in modo credibile con il periodo. La stanza di Seth non è un tempio dove appaiono tutte le reliquie dell’epoca ma è "realistica" anche se spiccano con nonchalance poster dei Ramones, tavole da surf (inspiegabili dato il personaggio) e il famoso modello di Mac “lampada” della Apple. Similmente lo sono le sue letture e le sue reference cinematografiche.
Seth legge Kavalier e Clay di Chabon, Legion, gli X-Men di Bendis e Crisi d'Identità, i fumetti che tenevano banco nei primi 00.
Dal punto di vista metatestauale la serie fotografa un momento ben preciso della scrittura seriale USA, prima del famigerato “sciopero degli sceneggiatori” uno degli eventi su cui si basa l’attuale industria dello spettacolo.
Al di là del contesto storico, permangono alcuni elementi “vecchi” come la completa assenza di differenziazione etnica nella parte alta della scala sociale (lungi da me essere invece un’esperto del panorama multietnico di Chino che invece pare prevalentemente popolato da ispanici) elemento adesso impensabile.
Nella prima stagione i Cohen hanno una domestica ispanica che nella seconda scompare perché evidentemente un punto troppo in alto sulla scala di misurazione del classismo, oppure ancora il modo in cui sono trattate le sigarette.
La serie arriva inoltre in un momento di profondo innamoramento della materia post-moderna che viene trattata con estrema consapevolezza dagli autori, al di là dei riferimenti cinematografici (arrivati malamente confusi a noi a causa della traduzione) sono presenti battute e frecciate alla scrittura ciclica della serie tv fatta di un reiterarsi di situazioni incrociando personaggi o abusando di ribaltamenti e cambi di fronte che adesso ci appaiono più che telefonati.
Nel 2003 The OC rappresentava il mito borghese interpretato diversamente a seconda della generazione che si osserva. Caleb, il patriarca della famiglia Nichols è un liberista spietato, il che si rispecchia in un atteggiamento ambivalente delle proprie figlie nei confronti dello status che ha portato Kirsten a controbilanciare sposando l’avvocato idealista Sandy formano una vera coppia radical chic. Il frutto di questa unione concepita tra le mura della Repubblica Popolare di Barkley è Seth, politicamente incolore che (involontariamente?) rappresenta un disamoramento della politica dei millenials lasciati senza un’ideologia nella quale rispecchiarsi fino ad essere descritti tramite i prodotti che consumano quotidianamente, come libri, film e fumetti.
Ma è sul versante emotivo che The OC ha fatto i danni peggiori rappresentando una quotidianità fatta di abusi emotivi grandi e piccoli ma costanti, praticati con la sottile crudeltà di cui solo gli adolescenti sanno essere capaci.
Il voler mantenere a tutti i costi una relazione che proprio non funziona, il partner come bene posizionale o, quando va male, oggetto di ritorsione verso la famiglia o un ex nel più classico del chiodo scaccia chiodo.
Meschine gelosie, conclusioni affrettate dopo aver spiato frammenti di conversazione attraverso una porta mezza aperta e il fuoco della gioventù a fare il resto.
Una serie basata sulle incomprensioni, la mancanza di dialogo e le porte delle stanze mai chiuse a chiave che culmina sempre in una lavata di panni sporchi all'importantissimo evento pubblico™ della settimana con immancabile scazzottata dove i contendenti finiscono a rovesciare tavoli tra lo stupore e il biasimo degli astanti, tutti borghesi quarantenni bianchi vissuti in una torre d’avorio fatta di ipocrisia che, signora mia, queste cose non succedevano prima che venisse quello lì.
E senza voler entrare nel discorso più complesso dell’alcolismo giovanile, dell’abuso di farmaci e delle stimmate sociali che ancora marchiavano come “pazzo” chi andava dalla psicologa.
Gli unici veramente redenti erano i frivoli, fatui e leziosi che sorvolavano sostanzialmente indenni le avversità della serie, con un nuovo amore, una nuova sottotrama che delicatamente li fa atterrare sempre in piedi, ma ad Orange County è climaticamente così, anche quando piove sul bagnato subito si asciuga.
Riguardare oggi la prima stagione di The OC è un viaggio nel tempo, retroattivamente pedagogico, che ci porta alla mente come non eravamo negli anni 00 e come avremmo disperatamente voluto essere, geek dalla parlantina sciolta in cerca di legittimazione sociale o tenebrosi ribelli senza una causa in un mondo che non li capisce.