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The mule - Eastwood tira fuori IL grande cinema, ancora una volta

The mule – in Italia Il corriere – segue le vicende di Earl, un anziano coltivatore di fiori la cui ditta è fallita e che, per sbarcare il lunario e recuperare terreno nei confronti della propria famiglia, comincia a fare lo spallone per il cartello della droga messicano, passando il confine tra il Messico e gli Stati Uniti col suo bel pick up.

In entrambi i casi, Earl è un uomo di successo: brillante vincitore di premi e ammaliatore di donne alle fiere floreali, simpatico e professionale corriere della droga una volta saltata la barricata della legge.

The mule sembra – a un primo sguardo – voler ripercorrere idealmente la storia personale di Clint Eastwood: attore di fama mondiale prima, nonostante Sergio Leone lo abbia definito capace di due sole espressioni, e regista da Oscar poi, quando ha deciso di mettersi dall’altra parte della macchina da presa.

Questa carriera giocata su due binari ha inevitabilmente influenzato lo sguardo di Eastwood, che ha giocato alcuni dei suoi più grandi film proprio sul dualismo, qualche volta ragionando sul rimpianto del passato, altre volte sul rapporto tra le generazioni o ancora su quanto sia sottile il confine tra giustizia e vendetta.

In Mystic River, ad esempio, i protagonisti e la struttura del film fanno un continuo riferimento al passato, a un altro momento della propria vita, tra flashback e similitudini. In Million Dollar Baby, invece, è il confronto tra le generazioni a fare da padrone. Stessa cosa dicasi per Gran Torino, in cui per l’ennesima volta Eastwood ha messo su la sua faccia da texano con gli occhi di ghiaccio per rappresentare il sé stesso anziano, a disagio – solo apparentemente – con i linguaggi delle nuove generazioni. Infine, come non intravedere ancora una volta il tema del doppio anche in American Sniper, in cui il protagonista – un Bradley Cooper anche in questo caso in grande forma – vive due vite, quella del cecchino di grande impatto, prima, e quella del reduce incapace di rimettersi in pari con la vita civile, poi?

La produzione del regista statunitense è sconfinata, così come le modalità con cui ha affrontato i temi a lui cari: nel corso degli ultimi quarant’anni, Eastwood ha diretto oltre quaranta film, spaziando tra i generi e destrutturando il linguaggio cinematografico, piegandolo al suo volere e ai suoi interessi. I temi trattati sono molti di più e molto più vari, questo va chiarito per dovere di cronaca, e vanno dal militarismo alla vendetta, passando per l’importanza della famiglia tradizionale alla politica, per approdare ai dilemmi morali e alle conseguenze delle proprie scelte.

L’ultimo film di Eastwood torna, però, su alcuni dei grandi temi già presenti negli scorsi lavori del regista americano, condensandoli in una storia che può essere universale, per quanto è densa di significato e adattabile a diverse situazioni. In particolare, rimanendo nel campo del dualismo su cui tutto il film è incentrato, mi preme sottolinearne due – i più importanti, a parer mio – o comunque quelli che più si avvicinano alla visione di un uomo che sta facendo un bilancio della sua vita, guardandosi indietro come alcuni protagonisti dei suoi lavori.

Il primo è senza ombra di dubbio il tempo. Il tempo perso a inseguire il successo è tempo non dedicato alla famiglia: Earl lo scopre troppo tardi, alla soglia dei novant'anni, e non trova miglior modo di recuperare che usare un mezzo (i soldi) per raggiungere un obiettivo (compensare la sua assenza) ormai mancato da tempo. Quando Earl incontra Colin Bates – il poliziotto che lo insegue come un ossesso, ottimamente interpretato da Bradley Cooper – è proprio sull’importanza della tempo dedicato alla famiglia che redarguisce la sua nemesi.

Il secondo, strettamente collegato al primo, è il rimpianto. La vita professionale del protagonista di The mule è stata costellata di successi, in campo professionale: tutto il resto è stato messo da parte, senza curarsi delle conseguenze. Il dolore negli occhi e nelle parole dell’ex moglie e della figlia di Earl rivelano una vita di grandi assenze e di bocconi amari inghiottiti in silenzio. Il rimpianto non attraversa l’intero film ma esplode prepotentemente insieme all’epifania del personaggio di Eastwood. E per questo è ancora più diretto al cuore dello spettatore.

Non è difficile vedere Clint Eastwood dietro questo favoloso personaggio che è Earl Stone: forse non per il rimpianto ma sicuramente per il tempo, quello ormai passato, proficuamente messo al servizio del cinema, quello che manca al raggiungimento dei propri obiettivi e, infine, quello che non si può riavvolgere perché ormai è alle nostre spalle, come le strade percorse dal protagonista e dal suo carico.

The mule è una rinnovata incursione nei generi ad opera di Eastwood: se in un primo momento il film può sembrare una commedia, dalla svolta illegale in poi assume i toni del road movie, facendo degli ampi spazi statunitensi, delle strade, dei motel e delle highways tanto care all’immaginario collettivo, i perfetti comprimari del corriere. Perfino il cartello messicano passa in secondo piano, davanti a Earl che guida il furgone e canticchia beato portandosi appresso oltre trecento chili di cocaina.

L’intero film è percorso da una serie di equilibri, tra i generi e i personaggi principali: anche nei casi in cui si sfiora la tragedia (sia essa familiare, legata alla legge o alla droga) i toni non salgono mai, non si arriva alle urla e nessuno è particolarmente sopra le righe.
La regia si piega a questi equilibrismi, allargando e stringendo le inquadrature in base alle ambientazioni e alla resa scenica che intende offrire allo spettatore.

Superfluo segnalare, infine, la bravura degli attori coinvolti: nessuno, dai due protagonisti Eastwood e Cooper, fino ai comprimari Lawrence Fishburne, Michael Pena, Alison Eastwood e Dianne Wiest mostra mai una sbavatura del proprio personaggio, una stonatura in questa sinfonia che fila liscia fino alle fine. È doverosa, in chiusura, una particolare nota di merito va alla colonna sonora di Arturo Sandoval, formatosi alla corte di Dizzy Gillespie: l'estrema varietà del tema si adatta perfettamente ai cambi di registro richiesti dalla regia di Eastwood, alleggerendo ulteriormente i primi viaggi di Earl e incupendosi man mano che la storia prosegue.

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