La seconda stagione di The bear arriva su Disney+ con il suo carico di meraviglie e dolori, allargando lo sguardo sugli altri protagonisti.
La seconda stagione della serie tv The Bear è approdata su Disney+ il 16 agosto 2023 ed è subito stata bingiata dal crescente numero di fan.
La genesi promozionale di questa serie è piuttosto curiosa: nonostante abbia un cast di attori molto conosciuti in ambito televisivo e possa contare su un comparto tecnico e artistico di tutto livello (vi basti pensare che la regista di alcuni episodi, Joanna Calo ha lavorato anche a Bojack Horseman e il produttore e creatore ha lavorato con personaggi del calibro di Bo Burnham), la prima stagione ha avuto investimenti promozionali minimi rispetto ai big del settore.
Un investimento relativamente minimo (parliamo sempre della grande D, mica della casa indie nata in un garage) in termini pubblicitari: la prima stagione di The Bear ha dovuto tutto il suo grande successo principalmente al passaparola. Passaparola che fondamentalmente diceva quanto fosse bella, ben scritta e a tratti dolorosamente necessaria questa serie.
La prima stagione, quindi, è esplosa tra le mani del pubblico con il suo carico di idiosincrasie, rapporti familiari turbolenti, traumi da superare e dolori vari da affrontare. Il tutto, principalmente, sulle spalle del protagonista Carmen Berzatto – chef stellato del miglior ristorante di New York – che è costretto dagli imprevisti della vita a prendere in gestione la paninoteca del fratello, a Chicago.
La seconda stagione è altrettanto esplosiva e ha il pregio di allargare lo sguardo.
Mi spiego: come capita spesso nei prodotti che basano quasi tutta la loro partenza su un personaggio forte inserito in un contesto familiare/di amicizia o comunque in una rete di rapporti umani, la prima stagione si concentra quasi esclusivamente sul protagonista, tratteggiandone la figura – a volte troppo imponente, a volte in evoluzione – e permettendo così al fruitore dell’opera di capire, principalmente per riflesso, tutte le dinamiche umane che muovono la storia.
Questa seconda stagione fa esattamente il suo lavoro, soffermandosi meno su Carmy – questo il diminutivo del protagonista – e dedicando quasi una puntata a ogni altro personaggio della serie, raccontandone l’evoluzione.
E quindi se inizialmente ci eravamo abituati al ritmo frenetico e agli spazi stretti della cucina del ristorante The beef, adesso The bear ci costringe ad allargare lo sguardo, cambiando città, luoghi, spazi e tempi.
Tutto questo con il solo scopo di seguire le relazioni e le intenzioni tipicamente umane che sono alla base di questa serie. Ci soffermiamo perciò su ogni personaggio, esplorando il suo mondo, accarezzandone i sogni, sbirciando le sue paure e affondando le mani nel suo dolore.
Perché le uniche due costanti di The bear sono queste: la brigata in cucina e il dolore al centro del petto.
Ebbene sì, se non avete visto ancora la serie, preparate i fazzoletti; se, invece, siete dei veterani dello Chef Carmy e della sua brigata, allora sapete di cosa parlo. Tutta la serie usa i luoghi stretti della cucina per raccontare la claustrofobia piscologica che può nascere in una famiglia (non necessariamente quella biologica, mi riferisco anche alle persone con cui si lavora dodici ore al giorno che alla fine un po’ famiglia diventano), i traumi che ne derivano e quanto sia difficile uscirne fuori.
Mirabili, da questo punto di vista, sono gli episodi dedicati a Richie (il settimo) e a tutta la famiglia Berzatto (il sesto): entrambi ambientati fuori dalla cucina del ristorante, sono la sintesi perfetta di quanto di bello e doloroso c’è in The bear.
Da un lato, il cugino Richie (interpretato da Ebon Moss-Bachrach) è costretto a fare i conti con la possibilità di migliorarsi – altra costante di questa seconda stagione – quando viene spedito da Carmy in un altro ristorante, nelle cui cucine dovrà ripartire letteralmente da zero.
Dall’altro c’è una puntata al fulmicotone con due guest star eccezionali (Jamie Lee Curtis e Bob Odenkirk) che sventra e analizza i rapporti sempre tesi all’interno della famiglia Berzatto, andando a scavare in una cena di Natale di svariati anni prima. Sfido chiunque a vedere questa puntata senza farsi prendere dal panico, detestare i timer della cucina che suonano e trovare similitudini con qualche scena vissuta a una cena familiare.
La sesta puntata, dal punto di vista della scrittura, può anche essere considerato un omaggio distorto e lacerante dei classici speciali di Natale a cui le serie tv ci hanno abituato.
Per chiudere, il dolce di questo menu.
Se The bear ha raggiunto il successo che merita lo deve sì al passaparola ma soprattutto ad altri due ingredienti: gli attori, di cui ho abbondantemente parlato e la scrittura. Quest’ultima in particolare, è quel non so che che fa tutta la differenza, in una serie come in un piatto al ristorante.
La scrittura in The Bear si distingue per la sua eccellenza e per il suo ritmo impeccabile: la capacità degli sceneggiatori di alternare profondità e levità è da manuale. Leggendo in rete spesso sono incappato in articoli che parlano di estetica quasi shakespeariana nella loro abilità di alternare momenti di drammaticità estrema con irresistibili episodi comici. Ebbene, Christopher Storer, Joanna Calo e il talentuoso team di scrittori dimostrano davvero un'eccezionale costanza nell’esecuzione, evitando qualsiasi scivolone o battuta fuori posto, preservando con scrupolo l'equilibrio delicato di una trama che richiede solo un piccolo errore per diventare insostenibile.
Questo errore, per fortuna, non c’è stato. E adesso aspettiamo tutti la terza stagione.