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Returnal - Ecco spiegato quel senso di deja vu

Nel Videogiocomondo (la sfera di persone che approfondiscono il tema videogiochi) abbiamo passato gli ultimi 6 mesi a dirci quanto è figo Hades, il “piccolo” gioco indipendente che ha messo in scacco i pachiderminici Giochi Tripla A piazzandosi nelle shortlist dei candidati a  "gioco dell’anno”.

Che riflettendoci è un risultato incredibile dato il rapporto di forza tra le parti in gioco rappresentate da giganti come The Last of Us Part 2 e Animal Crossing.

Il segreto di questo successo è da andare a cercare nella formula essenziale del titolo, in una componente artistica di primo livello e di come una grande consapevolezza del genere  possa valicare etichette di genere restrittive come “indie”.

Insomma, eravamo ancora con i palmi delle mani scorticate per gli applausi che ci siamo schiantati sul pianeta Atropo, e questo è il momento per un flashback.

Circa un anno fa avveniva il reveal di PS5, prima con Mark Cerny che illustrava i piani della Morte Nera alle sagome di cartone di Propaganda Live, poi con il video fiume di trailer e il form factor come chicca finale dello State of Play.
Erano momenti bui per il mondo reale e non, un po’ perché il primo giro di pandemia aveva spazzato via le nostre convinzioni sul futuro, un po’ perché sull’internet di Quelli che ne capiscono di Videogiochi (TM) non si faceva altro che contare i teraflops in una delle console war più fredde e noiose delle ultime generazioni.

Tra i trailer che vennero mostrati quel giorno, tra un Gran Turismo e un Ratchet e Clank appare dal nulla questa nuova IP, Returnal.
Qualcosa in me scatta, non so bene cosa, ma ho imparato a chiamarlo il Senso del Videogiocatore-Ragno. Non ne sapevo nulla e già mi sapeva di figata. Iniziai a seguirla come una delle cose più accattivanti tra le promesse del 2021.

Atropo, il pianeta sul quale ci schiantiamo è la più corretta metafora dell’attuale generazione di console: è vasto, pericoloso, inesplorato e inesplorabile a causa del brutto vizio di rimodulare la sua geografia in maniera procedurale ogni volta che voltiamo le spalle.
Così è anche la macchina sulla quale gira, sulla carta la sfavorita perché “non abbastanza potente da competere con la Xbox”, quella con “un SSD non abbastanza capiente”, quella “brutta da guardare”. Giudizi avventati e sommari, prevenuti e a volte faziosi.

Returnal è un animale strano.

Il primo modo nel quale il gioco ti mette in difficoltà è con le definizioni.

Meccanismo conoscitivo naturale della mente umana è l’analogia.
Il ricercare nel nuovo qualcosa che ricorda il vecchio per omologare in categorie al cui interno sono comodamente disposti gli strumenti utili per affrontare la sfida offerta.
Ecco, Returnal è difficile da classificare in un genere e per questa sua natura polimorfa implicitamente segna l’inadeguatezza dei generi.
Solo uscendo da una mentalità a compartimenti stagni si riesce a progredire, a produrre qualcosa di nuovo.

Returnal, in questo senso, è anche una risposta secca e decisa a chi recentemente ha accusato Sony di essersi murata dietro la produzione di Blockbuster senz’anima e che non lascia spazio ai creativi di lavorare.

Quindi, la naturale domanda che viene ai lettori arrivati a questo punto: “Cosa è Returnal?”
Come il cubismo spacchettava immagini tridimensionali per restituirle all’osservatore da svariati punti di vista contemporaneamente, lo stesso fa Returnal con i canonici generi e quindi non c’è una risposta univoca pienamente soddisfacente.

Il Gameplay può essere genericamente associato a meccaniche da Shooter in Terza Persona, l’ambientazione è fantascientifica, perché c’è un pianeta alieno, un’astronave, dei mostri.

Ma questo è solo il primo piano di lettura.
Andando a grattare via la prima scorza Returnal è un gioco dove si muore spesso, ma non è un Soulslike. Che questa sia una idiosincrasia è solo una deviazione del pensiero comune, si moriva nei giochi anche prima di Demon Souls.
Però questa similitudine, questo chiamiamolo peccato di ingenuità del giocatore, è sfruttato in maniera consapevole e infatti nel tutorial proprio nei primi passi del gioco appare un nemico che è impossibile sconfiggere, al quale segue una dissolvenza in nero e compare il titolo: Returnal.

La parola corretta da utilizzare a questo punto è “consapevolezza” che ci rimanda alla fumante pistola di Checov che vi ho lasciato in bella vista in apertura al pezzo.
La cosa più simile a questo gioco, nell’immediato, è Hades, da un lato per la meccanica della ciclicità di morti e resurrezioni sostanzialmente istantanee che azzerano i nostri progressi ma non la progressione nella storia (dettaglio non da poco), dall’altro proprio per l’assoluta padronanza del genere che hanno i tipi di Housemarque, e questo genere è il bullethell.

Adesso farò affidamento ad una parte del glossario videoludico leggermente desueta in quanto tali meccaniche sono un po’ sparite dalla scena mainstream ma sono attuali nel retrogaming e nell’indie.
Si definisce Roguelike un gioco dove ad ogni morte i progressi si azzerano. Similmente accade per i Roguelite, versione più leggera della stessa formula dove ad ogni morte si accumulano elementi di gioco come i punti esperienza per far sviluppare il personaggio.
Bullethell è definito un gioco dove i nemici spammano nell’arena di gioco proiettili fino a saturare l’ambiente con progressione geometrica.
Metroidvania (crasi tra Metroid e Castlevania) è un gioco dove progredendo si sbloccano attributi specifici che permettono di affrontare diversamente parti di livelli già affrontati fino a quel momento apparentemente irraggiungibili.

Questo preambolo linguistico è essenziale per tracciare la geometria nella quale si muove Returnal, perché il gioco di Housemarque si muove con una disinvoltura sconvolgente tra questi generi padroneggiandoli e fondendoli in un solo equilibrato flusso di gameplay purissimo.
Per quanto la formula di “gioco che diventa più accessibili man mano che si gioca” sia terribilmente abusata, in questo caso è anche estremamente calzante.
Attraverso il flusso di morti e rinascite esploriamo ambienti che si ricompongono ciclicamente fino a conoscerli a menadito e quindi prevedere quali nemici ci attaccheranno e da quali direzioni arriveranno.
La cosa sconvolgente di questa ciclicità procedurale è la completa assenza di frustrazione, un po’ per la rapidità di movimento della protagonista, un po’ perché tra le ricompense della morte c’è anche un frammento di storia, un po’ perché per l’appunto la mappa viene ogni volta riformulata mescolando pezzi sia nuovi che già esplorati con il risultato che ogni reset la partita non è uguale alla precedente.

Con questo sistema, anche la meccanica di backtracking tipicamente metroidvania è elegantemente aggirata in quanto non è un dover tornare sui propri passi per raggiungere aree di livello inaccessibili, ma sono queste che ciclicamente ci vengono riproposte, quindi ottenuto un artefatto non dobbiamo andare a ricercare quella porta inaccessibile, ma ci verrà riproposta continuando a giocare.

Che i tipi di Housemarque fossero degli assi era noto a tutti quelli che hanno messo le mani su quel gioiello di Nex Machina e prima ancora su Resogun, lo shooter a scorrimento diventato killerapp dei primi indimenticabili mesi di PS4 perché presente nella raccolta del Plus il mese di uscita della console.
Complice una scarsità di titoli spaventosa e la mancanza di retrocompatibilità, chi aveva PS4 dal Day One giocava a Resogun.

C’è da dire però che con Returnal Housemarque fa un salto di qualità incredibile riuscendo ad inserire la sua maestria nell’architettare gameplay ad orologeria con elementi "puramente di contorno" come una storia e un’ambientazione approfondita.
Returnal si trova nella posizione di essere il primo vero titolo next gen per PS5 nonostante il gioco sia, tolta la patina di titolo tripla A, un progetto di nicchia di uno studio piccolo.

Atropo è un concentrato di suggestioni culturali brillantemente dosate che non eccede mai nel paraculismo della strizzata d’occhio facile.
Anche prendere un punto dal quale iniziare non è scontato.
La prima cosa che ci salterà agli occhi è l’estetica perturbante di matrice gigeriana, con il suo costante camminare sul filo del vivente-non vivente, con i potenziamenti parassitari che si avvinghiano al corpo di Selene e sui quali superiamo il senso di ribrezzo in virtù dei benefici del gameplay. Tutta la tecnologia aliena con la quale ci interfacciamo richiama l’estetica dell’autore svizzero senza mai scadere nella mera replica del suo stile (come accade con Scorn, ad esempio) contestualmente funzionale ma senza risultare asfissiante.
Trainato da questo senso estetico riferito, seguono le vibrazioni che ammiccano dalle parti di grandi film della fantascienza contemporanea a partire da Prometheus (che dite tutto quello che volete, ha un fascino unico) fino ad arrivare a quella piccola perla ingiustamente sottovalutata di Event Horizon.

La prima cosa che ci salterà agli occhi è l’estetica perturbante di matrice gigeriana

C’è sicuramente un’influenza del New Weird tanto caro a Jeff VanderMeer (autore della Trilogia dell’Area X) nel flusso di eventi che uniscono elementi alieni e decontestualizzati introspettivi. Anche la caratterizzazione della protagonista, Selene, ricorda molto da vicino la protagonista di Annientamento e il feeling straniante che si prova nel dipanarsi della storia è incredibilmente simile sia per tematiche trattate che per lo stile in cui i frammenti di diario che raccogliamo sono scritti.

Impossibile non citare il Solitario di Providence, H.P. Lovecraft himself, perché è a lui che pensiamo ogni volta che appare un’immane presenza tentacolare di origine cosmica.

E, ultima ma non ultimo, la Selva Oscura dantesca, nel quale ci ritroviamo schiantati nel mezzo del cammin di nostra vita.
La totale assenza di fonti di luce naturali fa somigliare tutto al limbo dantesco. A conferire al tutto un aspetto infernale le fattezze demoniache delle statue cornute sovrabbondanti nell’ambiente di gioco.

Returnal è un titolo semplicemente incredibile, fresco, divertente, di cui mentre vi scrivo ho appena iniziato a scalfire la superficie, a entrare nelle meccaniche (stamattina ho scoperto come sfruttare la “ricarica attiva” delle armi) e sono sicuro non avrò da ricredermi andando avanti.

Il segreto del suo successo è da ricercare nel gameplay semplicemente perfetto confezionato con la minuzia di un orologiaio da parte dei tipi di Housemarque.
È tutto incredibilmente veloce e intuitivo che mette a suo agio il giocatore immediatamente senza fargli muro, è immediatamente appagante districarsi tra orde di nemici che spammano sfere di energia letale muovendosi in scioltezza sparando, scattando e schivando magari andando a finire la propria traiettoria con un letale colpo di arma bianca.

È da molto tempo che non approcciavo un gioco così completamente gioco nel senso più puro del termine, capace di esistere al di là di tutte le sovrastrutture narrative.

E poi è tecnicamente sontuoso, gli ambienti sono vasti e ricchi di dettagli, di effetti particellari, di luci e forme in movimento, eppure la telecamera non si incasina mai, la protagonista non si incastra, non ho riscontrato bug, rallentamenti, brutture, comportamenti anomali.

Returnal è pura gioia ludica, un acquisto obbligato per tutti i possessori di PS5 per dare senso al primo anno di vita della nuova macchina.

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