Resident Evil 7 è il miglior horror di sempre
Il gioco horror di Capcom rappresenta una vera pietra miliare nella storia della realtà virtuale e ancora oggi nessuno è riuscito a fare di meglio
Resident Evil 1 e 2 me li prestò un compagno delle medie, avvertendomi che un paio di ragazzini americani ci erano morti di infarto. I telegiornali lanciavano allarmi. Bei tempi per essere preadolescenti.
Presente, agosto 2018.
Ho terminato da poco gli ultimi DLC di Resident Evil 7: Biohazard, (Not a Hero e End of Zoe) che ho atteso a lungo, e devo dire che sono deluso: rappresentano poco più di un'allungata di brodo e questo è un gran peccato soprattutto perché (pausa di tensione, salta la corrente, un fulmine si schianta vicino casa vostra, la nonna inizia a parlare al contrario)...
... perché Resident Evil 7 giocato in VR è il miglior videogame della storia finora.
Sto esagerando? Forse sì; forse sono fomentato dalle implicazioni di una simile presa di posizione, di certo metto questo gioco nella mia personale top 3 da portare sull'isola deserta (anche se, confesso, non ci ho mai giocato di notte o da solo, ma siamo pazzi?).
Quindi, ho chiesto al capo di poter scrivere questo pappone perché di questo gioco, ormai a distanza di ben 17 mesi dall'uscita, mi sembra non si sia parlato abbastanza.
Se non ci avete ancora giocato, terminate immediatamente la lettura e correte a farlo.
Se vi manca la Ps4 o il visore, comprateli.
Se non potete permetterveli, procurateveli in qualche modo o approfittate della disponibilità dei vostri amici e parenti (come ho fatto io, intrufolandomi a casa dei miei in assenza di mio fratello minore e benestante).
Non dovete assolutamente giocare a questo gioco senza realtà virtuale; mi dispiaccio per chi abbia commesso questo errore fatale, voi non fatelo, soprattutto se oltre ai videogiochi vi interessa l'horror.
Sapete perché? Credo possa trattarsi del prodotto audio-video più terrificante di sempre (non garantisco su quelli live), nessun film può reggere il confronto.
Se state ancora leggendo, avete evidentemente bisogno di maggiore motivazione, oppure ci avete già giocato e volete ulteriori argomenti per venirmi poi ad insultare nei commenti; quindi, procedo.
Viva la preistoria
Un'opinione diffusa è che la realtà virtuale non abbia ancora del tutto sfondato non soltanto per via del prezzo e della mancanza di titoli, ma anche perché se non lo provi, non puoi renderti conto di quanto sia una cosa grossa, per niente semplice da rendere a parole.
Inizierei col dire che il primo impatto con questa pur preistorica VR domestica è oggettivamente sensazionale. Le cose che ho provato prima di questo Resident Evil sono piuttosto scialbe e semplici, eppure notevoli. In Playstation Worlds c'è una piccola sequenza non interattiva (puoi giusto guardarti attorno) in cui vieni calato qualche centinaio di metri sotto il livello del mare dentro una gabbia protettiva, e dopo aver ammirato degli splendidi coralli e altre stranezze colorate, uno squalo ti attacca. Il tutto dura più o meno quindici minuti, ed è un cosa molto bella. Davvero, mi ha entusiasmato.
Consapevole quindi del fatto che Resident Evil era non solo il primo vero horror ma proprio il primo vero gioco di PSVR, mi ci sono approcciato dopo aver letto di quanto fosse spaventoso. Eppure, lasciatemi dire che niente può prepararvi adeguatamente.
La prevedibile calma dei minuti iniziali di RE7 apparecchia la comparsa della prima, vera minaccia con un crescendo squisitamente preciso; è la parte più intensa del gioco, semplicissima e diretta. L'atmosfera è abbastanza densa da non permettere nessuna evasione mentale. Sono in trappola nelle stanze della casa, la prevedibilità di quello che sta per succedere non è di nessun sollievo. C'è un rumore che arriva da non si sa dove, qualcosa sta salendo dal piano di sotto; è come l'arrivo del treno dei Lumière (cit. Roberto Recchioni).
La tensione è tanto forte da obnubilare le mie capacità di predire le dinamiche del gioco (questo punto è molto importante e ci tornerò in seguito). Non che mi ritenga un grandissimo esperto, sia chiaro, quello che voglio dire è che mi sono accorto ex post, a gioco fermo, di essermi comportato stupidamente ed aver sbagliato deduzioni molto banali, che è quello che fanno le persone quando hanno paura e sono sotto pressione.
Faccio un altro esempio di come il gioco abbia piegato la mia modesta ma dignitosa preparazione videoludica, nonché all'horror in generale ed al combattimento mortale dal vivo.
Jack Backer, il capo famiglia, incredibilmente somigliante a Mario Brega (ma i cui pugni sono ferro tutti i giorni), mi sta cercando per il piano terra. Non riesco a capire cosa il gioco vuole che faccia, e quando Jack mi trova, mi uccide spezzandomi le ossa, la qual cosa è resa molto bene dall'audio.
Eccomi qui. Maledizione, sono un veterano di Shadow Moses, io! (In realtà non ho mai ottenuto un nome in codice migliore di 'Piccione', ma non si può dire che non mi sia applicato).
Sono 10 minuti buoni che sto nascosto dietro l'angolo che porta al garage, a farmela quasi letteralmente sotto, mentre Jack "Er Principe" cannibale mi cerca. Ogni tanto mi affaccio velocemente per cercare di vederlo senza essere visto, provando a indovinare la direzione del suo sguardo da come mi arriva il suono della sua voce. La giustificazione tattica al mio comportamento è che non ho compreso ancora se devo (o anzi, se posso) combatterlo o soltanto eluderlo, ma la verità è che la sensazione di Jack che mi frantuma le mucose mi procura un fastidio quasi fisico.
Decido allora di desensibilizzarmi: mi offro inerme alla sua violenza per una manciata di volte, anche per testare le possibilità di interazione col mio avversario e l'ambiente. Questa desensibilizzazione mi è poco utile però per le fasi successive: il gioco è un continuo rilancio e cambio di situazioni. Ci sono quasi tutti i cliché dell'horror, compressi nello spazio angusto di 11-14 ore di gioco. Questo, in teoria, sarebbe un attentato alla compattezza di un'opera in quasi ogni altro contesto ma, attenzione, qui è totalmente giustificato dalla voglia di provare tutto quello che questa nuova meraviglia tecnologica può fare (o meglio, poteva fare, poiché è già vecchia!).
A dirla tutta, senza VR forse è un gioco mediocre (ma non posso saperlo, non ci ho giocato senza visore). Capite la grandezza di ciò? È il primo sparo, la scomposta deflagrazione di un'arma tutta nuova, un archibugio che cerca di colpire sommariamente più bersagli possibili, tra il superstizioso stupore del volgo. (Ancora una metafora? Ok) Davanti al magma ribollente delle infinite e nuove possibilità che si stanno creando per il medium, non c'è nessuna vera esigenza di star qui a recensire precisamente ogni aspetto. Ti prende e ti assoggetta, che tu lo voglia o no; non si avvertiva questo senso di potenza, sia effettiva che inespressa, dalle prime grandi uscite per Playstation 1.
Ho anche avuto l'impressione che gli sviluppatori si siano trattenuti dallo spingersi troppo oltre; cioè, che avrebbero potuto facilmente rendere ancora più spaventoso il gioco. Una specie di obsolescenza programmata dell'orrore, sulla desensibilizzazione che ci sarà richiesta per reggere i Resident Evil che verranno?
Tornando all'esortazione iniziale, dovete giocare questo gioco. A meno che non abbiate un qualunque problema per cui pensate sia meglio non esporsi a una roba così immersiva e forte. Se invece non avete problemi, fatelo.
Ed ora, qualcosa di apparentemente diverso
Allargare idealmente l'orizzonte esplorativo del giocatore è un'arte che si serve dei più svariati trucchi. Anzi, è un'arte che si applica non solo ai giochi (in senso lato) ma anche alla narrativa in generale; altrettanto importanti dei luoghi che il fruitore esplora, sono quelli che non esplora, poiché danno l'illusione che quella che viene raccontata sia una storia speciale tra infinite possibili, in un mondo che realmente esiste, per quanto fantastico possa essere.
Esempio molto banale: le missioni secondarie di un GTA sono sufficientemente numerose e variegate da poter trarre in inganno un giocatore inesperto o poco smaliziato, e cioè fargli credere che più o meno ogni personaggio o luogo possano offrire una reale interazioni, facendo sembrare il gioco molto più grande di quanto non sia.
Un gameplay che ci offe molte possibilità serve questo scopo di allargare gli orizzonti illusori, dandoci l'impressione di poter fare molte cose e di vivere una grande esperienza di gioco.
Da adolescenti, anagraficamente o metaforicamente (insomma in qualunque periodo in cui entusiasmo ed energia sono massimizzate e sinergizzano con una grande quantità di tempo libero), ci è dato esplorare i limiti e sfidare le capacità illusionistiche degli sviluppatori.
Persino tutti gli achievement più assurdi, che pullulano in svariati titoli, non sono lì solo per favorire un approccio sportivo/competitivo, o per tagliare il principio attivo del gameplay con agenti adulteranti e allungare la longevità per i giocatori maggiormente sotto botta, no: sono lì anche per far apparire più vasto possibile il gioco a tutti gli altri giocatori. Le sfrenate sessione adolescenziali sono (state) alienanti ma istruttive, l'equivalente di smontare un giocattolo meccanico per capirne il funzionamento; con lo sviluppo di questa capacità analitica, inevitabilmente si perde progressivamente l'innocenza e la capacità di meravigliarsi.
Dice Richard Feynman (premio Nobel per la fisica e divulgatore scientifico) in una intervista, parlando di un suo amico artista:
"Lui prende in mano un fiore e dice: “Guarda quanto è bello”. E sono d'accordo, credo. Poi dice: “Vedi, io, in quanto artista, sono in grado di vedere quanto è bello; ma tu, in quanto scienziato, oh, lo riduci in pezzi e lo trasformi in una cosa scialba.”
È più o meno il punto di vista che ho espresso finora; Feynman però non lo condivide, e continua:
"[...]E io penso che lui sia un po' svitato. Prima di tutto, la bellezza che vede lui è a disposizione di tutte le persone e anche a me; credo, anche se io forse non sono esteticamente raffinato quanto lui, di poter apprezzare la bellezza di un fiore. Allo stesso tempo, io vedo in un fiore molte più cose di quante ne veda lui. Posso immaginare le cellule in quel fiore, le complesse azioni che si svolgono al suo interno; anch'esse hanno una propria bellezza. Voglio dire, non è soltanto bellezza a questa dimensione, quella di un centimetro, ma c'è bellezza anche alle dimensioni inferiori. La struttura interna, e anche i processi, il fatto che i colori e il fiore si sono evoluti per attirare gli insetti per impollinarlo è interessante. Significa che gli insetti vedono il colore. Aggiunge una domanda: questo senso estetico esiste anche nelle forme di vita inferiori? Perché è estetico? Domande interessanti d'ogni sorta, che la scienza e la conoscenza non fanno che aggiungere all'emozione, al mistero e alla meraviglia di un fiore. Non fa che aggiungere. Non capisco in che modo sottragga.”
C'è del vero anche in questo, mettendolo nella metafora videoludica. Maggiore è la nostra esperienza, e più possiamo apprezzare le complessità oltre la superficie, nonché quelle che riguardano il 'come' quel singolo titolo si inserisce nella storia del medium. Pensiamo ad un esempio estremo, quello degli speedrunner, che si alienano al punto che pare riescano a percepire il codice e romperlo (qui un bel pezzo di Lolli su L'Ultimo Uomo): hanno essi perso la capacità di apprezzare la bellezza alla prima dimensione?
C'è quindi la variabile soggettiva (che riguarda il fuitore) e nondimeno quella del fiore; non tutti i fiori sono uguali! Per quanto bello, ogni fiore è un po' meno bello se assomiglia troppo ad altri già osservati (sia al primo livello che microscopicamente) in precedenza.
Con l'avanzare inesorabile dell'età adulta, il nostro tempo a disposizione si comprime e questo in parte bilancia il rischio di osservare troppo a lungo un videogioco e dentro di esso, di contemplarne asetticamente i confini.
Tento allora di recuperare la magia perduta attraversando i mondi virtuali con gli occhi socchiusi, in stile Enrico Ghezzi, impiegando con fatica energia mentale per tentare di spegnere il cervello pensante e provare a godermi ogni gioco come fosse il primo. Quando questo non riesce, posso comunque ammirare la bellezza delle dimensioni inferiori, tecniche, storiche, per quello che la mia cultura mi permette.
Torniamo a Resident Evil.
Ecco, con Resident Evil 7 (in VR) non c'è bisogno di niente di tutto ciò. Sei preso tutto il tempo dalla paura, non hai bisogno di sforzi per immedesimarti, ti prende e ti porta dentro, che tu lo voglia o no. Ogni sessione, anche la più placida, è una corsa frenetica (del cuore) che rallenta solo nelle stanze di salvataggio, le uniche al riparo da pericoli. Salvi i progressi, spegni la console, per ora sei salvo.
Ecco, salvare il gioco procura una reale sensazione di sollievo.
Uno sviluppo più lineare di questo RE sarebbe impossibile; c'è in realtà un bivio nella trama che porta a due diversi finali, ma diciamo che potreste anche non accorgervene mentre cercate di tagliare il traguardo e sopravvivere (non solo nella finzione).
Quindi, sviluppo lineare: per la quasi totalità del gioco, c'è una sola via da prendere ed un solo modo per percorrerla. Nonostante ciò, si fanno cose stupide, non se ne fanno altre ovvie, e per quanto mi riguarda ci si dimentica proprio di essere dentro un gioco, almeno nelle primissime ore (tranne alcune situazioni, ad esempio quando compare un improbabile poliziotto e ti viene voglia di urlargli di scappare, che il gioco è appena iniziato e figuriamoci se non muore malissimo). La vostra esperienza sarà presa in ostaggio dal cervello rettile, sotto effetto di una delle emozioni più forti e primordiali: capite la grandezza di ciò?
Postilla
RE7 è stato acclamato all'unanimità da quasi tutte le testate, eppure non è abbastanza. Che una parte della critica si sia trovata in imbarazzo a maneggiare un titolo che spicca notevolmente ma per aspetti di mera forma? Possibile. Dopotutto, è la stessa cosa che è successa con Avatar ("eh, ma la storia?"), con la grande differenza che la paura è più dittatoriale della meraviglia, e che questa realtà virtuale è molto più immersiva del 3d cinematografico.
Non ho ancora provato gli horror di Oculus (e se volete potete invitarmi a casa vostra, in cambio preparo una parmigiana di melanzane niente male); potrebbe ben darsi che uno di questi titoli sia all'altezza o migliore di Resident Evil (anche se critica e pubblico considerano il capolavoro di Capcom quasi unanimemente il migliore); in questo caso, immagino che quanto detto sia ugualmente valido: cercate di godervi questo snodo cruciale nella storia dei videogame.
Quando dovrete salire nella stanza da letto della piccola Eveline, ricordatevi di me, ricordatevi di questo pezzo.
Tenendo stretto forte il vostro fucile, contando e ricontando le tre cartucce rimaste, salendo i gradini, penserete:
"Avrei potuto comprare una Switch, avrei. Adesso sarei a tirare gusci di Koopa Troopa, felice sopra al mio kart sotto il sole splendente di Peach Beach, e invece no. Devo sintetizzare questo stupido siero da questo stupido abor..."
Ci sta un jumpscare notevole, lì.