Piccole Donne Mi ha stupito. E' successo quello che non mi sarei mai aspettata con un titolo del genere: sono uscita entusiasta dalla sala e non credo di essere stata l'unica. Stiamo parlando di una ennesima rivisitazione e immagino non ci sia ad aspettarla un coro di «mhhh...ho proprio voglia di qualcosa di buono e per iniziare l'anno non mi aspettavo di meglio che l' ulteriore adattamento di un romanzo del 1868» .
Eppure.
Eppure c'è un sacco di passione in quello che ho visto, che arriva diretta ed efficace. E' un sincero e toccante elogio per Louisa May Alcott ed un fervido omaggio al libro. Un lavoro che ci restituisce il "piccole donne" che avremmo dovuto (voluto) leggere tutte (e tutti, assolutamente).
Ancora una volta al centro ci sono le vicende delle quattro ragazze March, raccontate a partire da quando Meg, Jo, Beth ed Amy sono già giovani donne. Con un inedito punto di vista si va avanti e indietro nel tempo e tra i due testi “Piccole Donne” e “Piccole donne crescono”, le parti vengono ricucite insieme evidenziando in modo cristallino l'attualità dei temi che ci parlano ancora oggi.
Ed eccola quella sensazione: il libro ha detto tanto a molte di noi in passato, Jo è stata un personaggio che ha fatto la differenza, ma per me c'era un qualcosa che non tornava. Qualcosa mi aveva infastidito, mi ero sentita tradita. Andando a vedere la biografia dell'autrice si trovano diverse risposte che qui vengono introdotte avendo cura della complessità del periodo e delle posizioni; i tratti autobiografici del romanzo rivivono in modo originale nel film operando quella quadratura che almeno a me personalmente mancava e non poco.
In un certo senso è un ritorno a sé stesse. Una storia diversa rispetto alle donne possibili e a quante diversità ogni persona può portare dentro di sé, al prendersi spazio con il proprio passo misurandosi con il contesto, alla bellezza nella caparbietà di fronte a scelte ineludibili, a quanto si cede allontanandosi da sé stesse e a quanto vale non rinunciare, perchè portare avanti le proprie istanze significa ricordarci sempre chi siamo. Faticoso ma solo avendo chiaro questo si può scegliere, soprattutto in un contesto in cui tutto ci spinge a dimenticarci di noi e assumere o incarnare punti di vista altrui.
Greta Gerwig (sceneggiatura e regia) ci consegna un personalissimo e potente atto d'amore per la forza stessa della narrazione, ne riempie le immagini affrescando tutti i personaggi principali, illuminandoli e celebrandoli delicatamente. Alcune immagini sono vere e proprie composizioni corali, tributi alla capacità di dare vita tramite la penna. Perché la scrittura fa questo, riempie l'immaginario, dà forza, dà corpo a pensieri e sentimenti, crea storie che accompagnano, emozionano e a volte sostengono le nostre esistenze.
Si può attingere a quelle storie, a quella forza, alla capacità creativa, alla rielaborazione, al condividere, alla meraviglia nel trovarsi insieme e riconoscerci quando ci raccontano le cose proprio come stanno, anche quando ci parlano di qualcosa che non vorremmo sentire in modo da apprezzare una restituzione di una parte di verità. Questo virtuoso riadattamento parla alle noi che hanno trovato ispirazione, conforto e nuove prospettive nelle pagine di qualche libro. Siamo in tante.
La narrazione per fortuna procede senza indulgere in momenti strappalacrime anche se una certa linea melanconica ci accompagna lungo tutto il percorso ma non ne è la nota dominante. Beth (Eliza Scanlen) incarna bene questa dimensione, non si dice molto di lei, è compressa, si mostra poco e nulla, ma quel poco gravita intorno ad un solco di sensibilità responsabile, il suo viene descritto come un respiro gentile e delicato sul mondo.
Amy (recitata da Florence Pugh) invece è una rivoluzione, riesce a rimanere assolutamente quella antipatica che è, ma a questo tratto viene restituita dignità, emergono qualità sottostimate (o peggio controindicate) "al femminile" come l'essere nette, assertive e spesso spigolose, in sintesi parliamo della determinazione ad essere volitive rispetto ai propri obiettivi e desideri. Il carattere che prende forma con i suoi vezzi, la sua arte e capricci è molto preciso, puntuale e capace di confrontarsi duramente con la realtà.
Meg è quella che ne esce più malconcia, rigida e ingessata. Nonostante io abbia una forte simpatia per Emma Watson devo ammettere che in questo caso non è scattata la chimica tra lei e il ruolo che interpreta, purtroppo. Timothée Chalamet invece porta sullo schermo un piacevolissimo Laurie, rocambolesco e agrodolce. Ho trovato poi perfetta Saoirse Ronan come Jo, protagonista assoluta della pellicola, imperfetta e umana nel fare i conti con ambizioni, affetti e rabbia. Del tutto azzeccata Laura Dern (?) nel ruolo di sua madre, Marmee, che peraltro ci regala qualche battuta memorabile. Friedrich Bhaer, futuro marito di Jo (interpretato da Louis Garrel) è una sorta di non personaggio necessario a rappresentare un uomo immaginario di cui la protagonista può innamorarsi, funziona benissimo.
Ovviamente non mancheranno le voci a ricordare che oramai si *devono* fare personaggi femminili forti (vale a dire addirittura avere così spesso personaggi femminili che abbiano un carattere proprio), cosa che è chiaramente un diktat femminista. Si dirà che «ora basta con questo politically correct», che sarebbe chissà quale insulto all'intelligenza mentre aver sempre protagonisti o comunque personaggi maschili significativi in cui potersi identificare non è un insulto all'intelligenza, per niente proprio.
Quindi no, va benissimo l'accusa di politicamente corretto, ce la teniamo stretta. Anzi era ora e spero ce ne siano sempre di più di opere ben riuscite come questa, in cui forma e sostanza si intrecciano magistralmente. E che riescano anche a ri-scrivere o descrivere mascolinità diverse che non vogliano prendere tutta la scena, uomini capaci e desiderosi di scambi tra pari. D'accordo siamo nell'ambito dei buoni sentimenti, è pur sempre un romanzo di formazione e allora che siano buoni sentimenti per tutt*.
Visione obbligatoria per chiunque tra gli 8 e i 16 anni. Per il resto della popolazione opzionale ma caldamente consigliato. Su, su , ragazze è ora di andare.
Nota a margine ̴ in sala durante l'anteprima saltava agli occhi una evidente preponderanza di pubblico femminile, a differenza di quando si va a vedere altri tipi di pellicole. Mi sono chiesta il perchè e purtroppo la risposta - qualsiasi essa sia tra le varie che ho potuto immaginare - non è affatto edificante. Motivo in più per spingere ancora per un cambio radicale di prospettiva per cui non si pensi più in termini di cose "da maschietti o da femminucce" che neanche a fine '800.