Perché convincere il proprio partner a comprare un cabinato arcade per il proprio salotto
Ho comprato casa. Quello di cui ho bisogno, assolutamente, è un cabinato arcade in salotto. Devo solo convincere la mia ragazza che è giusto
Sto vivendo uno di quei momenti della vita che, anni fa, non avrei mai pensato di arrivare a vivere. Anzi, ogni volta che con il mio papà si toccava l’argomento si finiva sempre per litigare perché, e mi cito testualmente, non succederà mai e poi mai che io possa comprare casa.
E non volevo davvero. Non volevo comprare casa perché nella mia testa arrivare a questo punto significa, in una qualche maniera strana, “aver finito”. Aver deciso che sarà qui che mi stabilirò con una famiglia, con un lavoro e con tutto il resto escludendo tutto quel fantastilione di possibilità che la vita avrebbe avuto da offrirmi.
Lo penso tutt’ora, ma ho smesso di correre, o meglio ho incontrato una persona che mi ha fatto rallentare regalandomi un po’ di calma e di tranquillità spiegandomi quanto è interessante assaporare la passeggiata senza doversi necessariamente fermare.
Ci aveva provato anche mio padre ma i rapporti con i genitori devono essere sempre conflittuali, altrimenti che senso avrebbero?
Quindi sì, sto comprando casa (o meglio, l’ho già comprata e sto vivendo il vortice burocratico che precede il trasloco) con la mia compagna, guardo mobili, guardo piatti (buon Dio, quanti stramaledetti piatti in giro) e guardo tutto quel genere di cose che sono necessarie a rendere quell’abitazione “casa nostra”.
Guardo anche dei cabinati arcade, perché voglio uno stramaledetto cabinato arcade nel nostro soggiorno e questo ha dato inizio a quel tacito gioco di sguardi nella coppia che significa che non avrò il mio cabinato in salotto, vicino al divano, da guardare ogni giorno.
Oppure significa che devo convincere la mia compagna quanto è necessario ed importante avere un enorme cassone di legno, ingombrante, con un tubo catodico dentro, su cui giocare ad una marea di titoli senza avere il tempo necessario per farlo e andando a consumare una quantità di energia elettrica eccessiva per le nostre bollette.
Detta così sembra che possa aver ragione lei e il suo dannato buonsenso, così come lo è stato con tutte le innumerevoli cianfrusaglie che ho accumulato negli anni che ho dimenticato e che sicuramente salteranno fuori durante il trasloco, come succede con ogni mio trasferimento.
Ma il cabinato arcade è tutta un’altra storia.
In primo luogo è un pregevole oggetto da arredamento, soprattutto quando entrambi siamo in linea su una visione al limite fra il moderno e il vintage in cui viene ad incastrarsi p e r f e t t a m e n t e il mio futuro acquisto.
In secondo luogo è un’importantissima fonte di svago diversa dal mio solito essere svaccato sul divano: ci giocherei in piedi (che dicono fare bene) e, soprattutto, possiamo giocarci assieme giocandoci i turni di pulizia della casa.
Ed è proprio su questo punto che è bene premere: la mia compagna è una grande videogiocatrice che fa finta di non esserlo. Si nasconde dietro dei falsissimi “non sono brava” mentre mi da prova delle sue enormi capacità sia su Puzzle Bobble che su Street Figher II Turbo (che abbiamo giocato su un surrogato di un cabinato che ha comprato il mio attuale coinquilino).
Quindi perché non poterlo fare su una struttura un po’ più elegante e carina della soluzione adottata qui in casa e poterci sfidare quotidianamente (o quasi) su tutta quella roba in cui lei è dannatamente più brava di me?
Insomma abbiamo persino fatto tutta una piantina in 3D virtuale con la disposizione dei mobili in modo tale da capire cosa mettere e come metterlo e il mio piccolo cabinato starebbe bene in almeno un paio di angolini della nostra nuova casetta. Mi sembrerebbe uno spreco non valorizzare come si deve ogni centimetro quadro dell’area che abbiamo a disposizione, no?
Chiaramente questa è tutta un’accozzaglia di scuse perché sì, ha perfettamente ragione lei: è un acquisto stupido, inutile e sconsiderato… però è un acquisto che sarebbe importantissimo per me. Lo sarebbe perché ho vissuto la parabola discendente delle sale giochi avendo la possibilità di misurarmi con dei cabinati soltanto l’estate quando sui lidi che apparivano magicamente sul lungomare c’era questa o quella macchina. E lo potevo fare solo quando il mio gruppo di amici decideva che il biliardino quella sera no.
Conservo degli ottimi ricordi di quei pochi momenti passati davanti ad un cabinato, come quello che vede me e mia sorella “giocare” a Puzzle Bobble insieme senza mettere il gettone dentro, o quando parlai per la prima volta in inglese ad un tizio in Trentino (stavamo facendo una settimana bianca) in Hotel per spiegargli come poteva andare avanti su Metal Slug 3 (doveva tirare una granata) e lui mi regalò il resto del credito e così via.
In realtà averne uno tutto mio è un piccolo sogno, di quelli stupidi, che mi porto dietro fin da bambino e che, come tanti altri che ho già realizzato, vorrei poterlo concretizzare. È importante perché all’interno di quei cassoni di legno c’è racchiusa un pezzo della mia storia e c’è racchiusa dentro un enorme fetta di quella videoludica e i videogiochi, in un modo o nell’altro, occupano sempre uno spazio importantissimo della mia vita.
Per fortuna io e la mia compagna ci amiamo in un modo che non so bene descrivere e ci piace farci spazio l’uno nella vita dell’altro e quel cabinato in salotto non è che una delle tante porte che lei potrà aprire per entrare nella mia, un po’ come il suo unicorno grasso, grosso e peloso sul letto. L’unica differenza è che Fluffy non costa un accidenti.