La vita dei sopravvissuti alle apocalissi zombi non è certo tra le più facili: le storie a tema che abbiamo visto e letto ci hanno abituato alle più grosse difficoltà che l’essere umano si sia trovato a fronteggiare.
Al cinema e in letteratura, abbiamo scoperto che – in fondo in fondo – gli zombie sono sempre il minore dei problemi nonché il pretesto che gli autori utilizzano per raccontare la loro critica alla società o i rapporti tra le persone.
Nel caso specifico dei protagonisti di The Walking Dead, la serie a fumetti scritta dal prolifico e talentuoso Robert Kirkman, alle difficoltà legate alla mera sopravvivenza (cercare un rifugio, mangiare, curarsi) si aggiungono tutta una sfilza di antagonisti, uno peggio dell’altro. Rick Grimes & soci sembrano affetti da una strana sindrome che li rende dei magneti umani per le personalità più aberranti che un’apocalisse possa partorire: cannibali, mitomani, egomaniaci violenti e strane gang. I protagonisti della fortunata serie a fumetti riescono, ogni volta, a sconfiggere – più o meno facilmente – l’antagonista in questione e a uscirne intatti, solo con qualche cicatrice in più.
Poi arriva Negan.
Nel momento in cui Negan fa la sua apparizione, i sopravvissuti della comunità di Rick stanno sperimentando il contatto con altri gruppi: un momento molto importante per il futuro della società distrutta dalla resurrezione dei morti, perché potrebbe covare il presupposto per ricreare scambi commerciali, rapporti diplomatici e supporto reciproco. Insomma, Rick e la sua gente sono in quel particolare momento di passaggio – delicatissimo e precario – in cui da comunità autarchica e diffidente ci si sta trasformando in società complessa e stratificata.
Un lavoro duro e molto lento che vede Rick & co. impegnati in prima persona: ci sono uomini e donne traumatizzate dal loro passato e con fantasmi che definire ingombranti è un eufemismo che vanno rassicurati sul loro futuro. Fidarsi del prossimo è ancora possibile e dallo scambio con gli altri possono arrivare solo cose positive.
“Certo coglioni. Cose positive per me!” direbbe Negan.
Il nostro caro uomo con la mazza ricoperta di fil di ferro se ne frega dei piani e della loro bontà. Lui ha intenzione di godersi ogni attimo di questa nuova, crudele, impostazione del mondo e lo fa nel modo che meglio conosce: con la violenza fisica e psicologica.
Da lettore, il mio rapporto con Negan è partito con l’odio profondo (i lettori del fumetto e gli spettatori della serie sanno perché). Ho detestato il suo ingresso in scena fatto di grandi spacconate, volgarità senza freno e violenza gratuita.
Durante le prime interazioni con i protagonisti di The walking dead, avevo seriamente paura. Paura che quel folle – così lo consideravo – armato di una mazza da baseball che chiamava Lucille (ditemi voi se questa non è una cosa che solo uno sciroccato completo farebbe) potesse far deflagrare le sue intenzioni bellicose e mettere così fine alla serie. Diciamoci la verità, nella narrazione moderna non si è mai così tranquilli sul fatto che tutti i protagonisti arrivino vivi alla fine della storia. Quindi, la possibilità che Kirkman avesse deciso di introdurre Negan per chiudere la storia non la consideravo improbabile.
Piano piano, si è fatta strada dentro di me la consapevolezza che Negan fosse il perfetto contraltare di Rick. Se l’ex vice-sceriffo è l’emblema della razionalità a tutti i costi, della ricerca totalizzante del bene per sé e per la sua comunità, Negan è il caotico malvagio che asfalta tutto e tutti, senza alcuna remora e col sorriso sulle labbra. E sapete una cosa? Ha cominciato a piacermi.
Perché Negan ha carisma da vendere.
Questo aspetto l’ho scoperto lungo i tanti numeri che vedono la presenza di Negan come antagonista: se a primo acchito l’uomo con la mazza da baseball può sembrare solo un folle, con il passare delle pagine mi sono reso conto di quanto lucidi fossero i suoi piani. Il fatto che un piano sia incomprensibile secondo la nostra personale visione del mondo non vuol dire che non sia sensato, ecco cosa ho imparato. E lo hanno imparato anche i seguaci di Rick.
Volete creare una serie di scambi fra comunità confinanti? Benissimo, fate pure. Solo che Negan vi chiederà la metà di qualsiasi bene abbiate intenzione di commerciare. Se avete intenzione di contestare questa decisione, verrete distrutti nella maniera più crudele possiate immaginare, resi impotenti e rimessi al vostro posto. E poi dovrete comunque dare la metà dei vostri raccolti a Negan, quindi vi conviene cominciare da subito ed evitarvi il dolore.
Il carisma di Negan deriva dalla folle e lucida consapevolezza che il mondo è finito e ogni sforzo per ricreare una società degna di questo nome è futile e andrà a scontrarsi contro orde di morti viventi il cui scopo è distruggere tutto e che alla fine, hanno comunque il tempo dalla loro parte. Perché combattere la marea e affaticarsi quando si possono sfruttare i sopravvissuti e vivere quel poco che ci resta alla grande?
Non fa una piega, eh?
Ditelo a quelli che hanno avuto un incontro ravvicinato con Lucille.
Un altro motivo per cui ho adorato (e ancora adoro) Negan è la sua evoluzione, coerente come poche.
Nella serie regolare di TWD conosciamo il violento e lucido Negan, lo temiamo e stringiamo i denti insieme ai buoni sperando che il ciclone passi nel più breve tempo possibile. E a questo punto cosa fa il buon Kirkman? Tira fuori un numero speciale interamente dedicato a lui e ci spiega le sue ragioni.
Attenzione, il numero in questione (Negan è qui) non è fondamentale ai fini della serie ma ha il grande pregio di essere uno spin off breve curato nei minimi dettagli.
Nel volume a lui dedicato, conosciamo il personaggio prima del ritorno dei morti sulla Terra: a parte l’inevitabile straniamento che ho provato quando mi sono trovato un uomo con le fattezze di Negan ma il carattere di un agnellino, seguire la sua personale discesa negli inferi conclusasi con la creazione di Lucille è stato un inquietante specchio in cui guardare. Robert Kirkman compie un’operazione meravigliosa, raccontandoci quanto sia labile il confine tra la sanità e la follia e quanto impattante possa essere un trauma come una società distrutta sulle persone normali. Normali come me che scrivo o te che leggi. Perché quelli che diventano Rick e guidano i buoni sono pochi, ricordatevi che la maggior parte di noi finirebbe ad allargare le file dell’esercito degli zombi, nella migliore delle ipotesi.
E quindi mi sono ritrovato a empatizzare con Negan , a comprenderne – in parte, sia chiaro – le ragioni e a dirmi che le alternative a questo percorso verso la lucida folla erano veramente poche.
Infine, l’ultimo motivo per cui mi sono ritrovato a pensare che Negan sia il miglior cattivo possibile è la reazione che ha creato nelle comunità che lo hanno combattuto. Perché, nel momento in cui il lettore si ritrova a detestarlo maggiormente, in quell'attimo in cui stringe i denti sperando che la vendetta arrivi sovrana, quel magnifico narratore che è Kirkman usa questo cattivo da manuale per un'ulteriore svolta nella storia.
E quindi Negan il distruttore diventa la pietra su cui costruire la nuova idea di società, migliore di quella di prima.
Questo articolo fa parte delle Core Story di N3rdcore di Settembre