Sono anni che periodicamente ci interroghiamo sull’effettiva efficacia delle trasposizioni dei videogiochi al cinema. Ogni volta che qualcuno arriva sul grande schermo, per esempio.
Sono facilmente riconoscibili doversi momenti, o periodi, in cui cavalcando la popolarità di un titolo ed evidentemente con l’idea (giusta) di lucrare su di una ip questa viene “venduta” ad un produttore cinematografico per avere un boost di entrate senza fare nulla.
Così fu per Super Mario, un film chiaramente prodotto cavalcando l'onda della Nintendomania, ma anche Mortal Kombat, Street Fighter, Tomb Raider, Resident Evil e Doom, ma gli esempi si sprecano, andando a scavare.
Anni fa, quando ancora curavo un blog personale talmente indipendente che non leggeva nessuno, arrivai alla conclusione che i film tratti dai videogiochi non avessero senso.
Gran parte del budget per il film viene impiegato per l’acquisizione del marchio, solitamente si lesina sulla sceneggiatura per accaparrarsi un regista di belle speranze e almeno due nomi di rilievo per acchiapparsi una fetta di pubblico cinematografico che il videogioco non l’ha mai nemmeno sentito nominare.
Appartenenti a questo filone mi vengono in mente Assassin’s Creed, Warcraft e, di nuovo, Tomb Raider.
Questi film si sono rivelati esperimenti infecondi, incapaci di riscuotere successo e avviare franchise come per le loro controparti digitali e addirittura venendo sconfessati dai fan, liquidati con il giudizio sommario "il gioco è diverso".
Sempre all’epoca del mio vecchio blog dichiaravo come origini dell’insuccesso due fattori determinati ben distinti.
In primo luogo, la durata: un gioco dura, quando breve, meno di 10 ore, in questo lasso di tempo gli autori hanno una quantità di modi per approfondire la caratterizzazione del personaggio e del mondo di gioco, tant’è che se da una parte viene portata avanti sia una storia che una world building diffusa senza mostrare i fatti ma solo tramite “dicerie”, la lore che costituisce croce e delizia della narrativa videoludica contemporanea.
Cosa succede quando un'esperienza videoludica cinematografica torna al cinema?
I videogiochi inoltre sono riproposizione di meccaniche cinematografiche in maniera interattiva.
Cosa fa Uncharted se non riproporre al giocatore la parte più rocambolesca delle avventure di Indiana Jones? Ritroviamo anche il senso di scoperta, l’amore per l’avventura che Spielberg e Lucas riversarono nella loro creatura. Quindi cosa succede quando un'esperienza cinematografica torna al cinema? una riproposizione delle stesse dinamiche con il malus di una durata ridotta e dell’assenza dell’interattività.
Nel caso specifico di Uncharted lo scopriremo a breve, dato che Sony in prima persona coinvolta, a breve porterà al cinema Uncharted con Tom Hollan nei panni di Nathan Drake.
Nel frattempo però l’industria non si è fermata del tutto e nel giro di pochi mesi ha portato agli spettatori due esperimenti di trasposizione videoludiche molto interessanti in termini di sfruttamento di Ip di valore: Monster Hunter e Mortal Kombat.
ATTENZIONE: quello che leggerete da ora in avanti non è e non vuole essere una recensione, se volete un parere netto sulle due pellicole accontentatevi della parola MEDIOCRE e lasciate serenamente la pagina.
Se invece anche voi vi siete rotti il cazzo di leggere le solite recensioni fotocopia e siete stanchi dei soliti pareri polarizzati che affollano l’internet e le paginette di cultura pop, prego, proseguite pure.
Monster Hunter è portato al cinema da Paul W.S. Anderson, ancora una volta con la sua interprete d’elezione, la moglie Milla Jovovich, in splendida forma, perfettamente in parte nel ruolo dell’avatar dello spettatore/giocatore.
Il film prende il là dall’ultimo titolo del penultimo titolo della serie per console casalinghe, Monster Hunter World (con enfasi didascalica espressa dalle parole che lampeggiano nel testo a inizio film) con Milla Jovovich nel ruolo di un ranger del nostro mondo che viene catapultata nel mondo di Monster Hunter da uno strano fenomeno metereologico con tutta la sua squadra.
È una scelta narrativa pigrissima ma ha il suo senso.
Come avatar del giocatore, Milla di questo mondo non sa niente, è bloccata in mezzo al deserto e tutta la sua squadra viene barbaramente massacrata dalle creature ostili che popolano l’area. Lei si salva solamente grazia alla fortuna e all’incontro con Tony Jaa, nel ruolo del Tutorial del gioco.
Metatestualmente, non fa una grinza.
I monoliti neri piazzati in mezzo al deserto che aprono il portale sono le console munite di connessione ad internet.
I soldati che vengono massacrati sono i giocatori che si avventurano a testa bassa in un gioco con meccaniche complesse e meno esplicite di quanto può sembrare, questo lo sa chi ha speso un po’ di tempo in un qualsiasi Monster Hunter.
Il percorso intrapreso da Milla é l’apprendimento della meccaniche di gioco, come il combattimento e il crafting, che permettono al giocatore di superare lo scoglio iniziale.
In questo modo, superato l’ostacolo iniziale si incontrano altri personaggi, un vero e proprio party online, e si prosegue andando in un’altra area a combattere un altro mostro più grosso.
Non ha una trama? I personaggi non hanno spessore?
Ebbene, anche il gioco è così.
Monster Hunter (gioco) funziona per quanto tu ci metti dentro e accettando che anche il film non deve avere una trama complessa per funzionare si gode di come le meccaniche del gioco sono riprodotte nella parte centrale del film, quella sostanzialmente muta, un lungo training montage se vogliamo, con Milla che capisce quali armi sono adatte a lei, come utilizzarle, uccide mostri più piccoli per craftare nuovi strumenti, come la freccia velenosa, e alla fine sconfiggere il Diablos che infesta il deserto.
Tutto quello che viene prima così come tutto quello che viene dopo sono ammennicoli che servono al film per permettere al secondo atto di esistere, non c’è quindi da stupirsi che siano le parti meno riuscite e interessanti.
In uscita il 30 Maggio invece c’è il reboot di Mortal Kombat e noi l’abbiamo visto in anteprima.
Sulla carta un film molto facile da fare, del resto è un film di arti marziali.
Già c’erano riusciti negli anni ’90, proprio il Paul W.S. Anderson di cui sopra, articolando la sua pellicola come un semi-remake di Enter the Dragon (I tre dell’operazione drago) ma sgravato, con i costumi colorati uguali a quelli del videogioco, anche questo molto facile, dato che la peculiarità del videogioco era controllare una versione digitalizzata di attori che un po’ facevano il verso agli Action Hero tipici del periodo. Liu Kang era un sosia di Bruce Lee, Johnny Cage era Van Damme e ancora le Tre Bufere di Grosso Guaio a China Town sono la chiara ispirazione per Raiden.
Per Mortal Kombat tornare al cinema significa fare il giro.
Nel nuovo film si è posta molta enfasi sul conflitto tra Scorpion e Sub-Zero, forse tra i personaggi più iconici della serie, mettendoci molto alle spalle di Scorpion ed etichettando Sub-Zero come il “villain”.
Se guardiamo al mero adattamento del videogioco questo è molto blando. In questo film di Mortal Kombat, il torneo da cui prende il titolo non è ancora iniziato ufficialmente e i cattivi capitanati da un sottosfruttato Chin Han nel ruolo di Shang Tsung decidono si volerlo vincere a tavolino uccidendo tutti i campioni predestinati della Terra prima dell’inizio del Torneo.
E questo è solo l’inizio di una serie di piroetta narrative per tenere le scene di combattimento insieme.
Un grosso errore è voler ricavare una trama da un mero pretesto per menarsi in un videogioco che rifiuta qualsiasi velleità narrativa.
Come tutta l’impalcature di lore per giustificare le mosse speciali di ogni personaggio e finiscono con il voler spiegare la magia con una supercazzola di stemmi che si passano e di potenziale da sbloccare.
A differenza di Monster Hunter, la parte centrale è la più debole, casualmente anche qui è presente un training montage ma a lasciare perplessi è la pochezza della messa in scena, con il film che si arena in questo antro mistico mentre spicca tra tutto il cast di personaggi un insospettabile mattatore, Kano, con il potere del maschilismo tossico.
Come i mostri di Monster Hunter anche qui c’è un elemento a giustificare la visione e purtroppo non sono i combattimenti, coreografati discretamente ma anonimi per la maggior parte e montati alla meno peggio per rendere le mosse riuscite coerenti nella sequenza di combattimento.
La parte figa di Mortal Kombat è Sub-zero; quando c’è lui in scena il film fa due salti in avanti.
Ha più combattimenti di tutti, ha il potere più figo, è carismatico che scansatevi tutti e ha le coreografie migliori, cosicché sorge spontaneo il dubbio per il quale l’intenzione era quella di fare un film su Sub-Zero che veniva mandato in giro ad uccidere aspiranti campioni del Mortal Kombat e poi hanno pensato fosse una buona idea piazzarci anche gli altri personaggi. Ciò non toglie che l’effetto finale è proprio quello di un film prequel, con il cast che viene assemblato ed è pronto a partecipare al Mortal Kombat in una eventuale pellicola futura.
L’onda lunga dei danni fatti dall’MCU al cinema.
E Scorpion?
Grazie della domanda.
Tantissima era l’enfasi posta dal marketing sul personaggio interpretato da Hiroyuki Sanada eppure lo vediamo solo all’inizio, nello spezzone fatto girare in anteprima stampa un mesetto fa.
Hiroyuki Sanada dà decoro e dignità a quella che è quasi una comparsata perché purtroppo la restante ora abbondante di film è incentrata sul suo discendente, l’avatar dello spettatore, l'unico membro del cast a non avere una controparte videoludica: Cole Young, un nome assolutamente non generato proceduralmente.
C’è poco Mortal Kombat in questo film di Mortal Kombat, nel grado in cui il nocciolo del film dovrebbe essere il torneo.
Ma ci sono le Fatality e sono prese quasi in rapporto 1:1 dal videogioco inoltre piovono i vari “finish him!”, “Fatality!” E “flawles victory” che i personaggi si sparano a caso alla fine di una mossa o di un combattimento.
Volendo tirare le somme di queste due film ci troviamo ad una condizione grossomodo simile dal punto di vista qualitativo ma dagli aspetti speculari.
P.W.S Andreson è un regista più sgamato rispetto a Simon McQuoid e questo ha avuto senza dubbio effetti sulla pellicola.
Nel momento in cui Monster Hunter perde ogni velleità a volerti raccontare una storia complessa che esula da ciò che hai sullo schermo, la trasposizione del gioco funziona che è una meraviglia.
Dove invece Mortal Kombat si impegna nel voler dare a tutto una storia e delle motivazioni scopre il fianco a critiche feroci che mette in ombra anche il buono che c’è, che è chiaramente la resa a schermo di Sub-Zero.
Dal canto mio, i film di videogiochi dovrebbero ripartire dal secondo atto di Monster Hunter, cercare quindi di portare a schermo quello che rende grande il gioco, non voler raccontare la storia di un videogioco in maniera pedissequa o liberamente ispirata ad un pubblico che non l’ha giocato.
La storia, intesa come plot, non è mai la cosa più interessante quanto piuttosto le cose che fai mentre questa si dipana o le sensazioni che provi mentre questa si svolge, le scelte che puoi o non puoi compiere, l'empatia che provi per i personaggi che controlli. È quasi un principio quadrimensionale che nessun media riesce a rendere se non il videogioco.
È una discriminante molto sottile ma che fa tutta la differenza tra successo e insuccesso, accettare il limite, lavorare su quello che si può e non si può mostrare a schermo può portare a degli adattamenti dignitosi.