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Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty - ritratto del meme da giovane

È il 2002, Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty sta per uscire, io sono un bamboccio che lo aspetta con fanatismo. Sto sfogliando l'ultimo numero di PSM, contiene la recensione del gioco. Apprendo dalla copertina che ci sarà una sorpresa sconvolgente; decido di non leggerla. L'attesa mi sta consumando, nei momenti di debolezza apro fugacemente le pagine secretate, imponendomi di fermarmi prima della rivelazione. Sono un debole, infrango il voto; quando Raiden si leva la maschera da sub, sono già preparato.

Macino gran parte delle ore di gioco coltivando la speranza irrazionale di impersonare almeno nel finale Solid Snake, summa inusitata dei tropi dell'antieroe.

La recensione dà al gioco un voto ottimo, e tutto sommato sta piacendo molto anche a me, ma lo subisco comunque come un oltraggio alla memoria del primo, leggendario capitolo; Raiden è un affronto esplicito al mio risibile machismo adolescenziale, ed in generale molte fasi di gioco (tra quelle che non comprendono Snake) sono disseminate di momenti di imbarazzante parodia, piccoli tentativi di sfondamento dello schermo in direzione del giocatore, attentati alla sospensione dell'incredulità che sono pronto a percepire come glitch della mia personale corteccia prefrontale pur di proteggere la mia fede in Kojima.

Maledetto Hideo Kojima, stai rovinando quella che doveva essere la mia saga preferita; ma perché? Cosa ti ha spinto a questo follia?

 

È il 2017, sto sfogliando La cospirazione contro la razza umana, di Thomas Ligotti (esatto, il libro da cui Nic Pizzolato ha estratto la filosofia di Rust Cohle in True Detective); dentro c'è scritto che l'orrore è solo un prodotto dell'ipertrofica coscienza umana, e che non esiste in natura. C'è molto del pensiero di Peter Wessel Zapffe, che Ligotti considera uno dei pochi filosofi veramente pessimisti in tutta la storia del genere umano. C'è scritto che l'orrore lo trovo nel perturbante, e che può guardarmi in faccia mentre un giorno qualunque il mio sguardo si posa su un pelapatate o (più classicamente) sulla mia faccia riflessa nello specchio. Cose che Lovecraft sapeva bene, ma ora, è bene che me lo ricordi, sono nel 2017, non c'è più bisogno del soprannaturale per suscitare orrore, puro e tangibile. Basta il perturbante. Sto parlando di quella sensazione di quando la mattina la sveglia suona presto, dopo aver dormito poco o male, e qualcosa non mi funziona ancora bene. Non so cosa sia quel qualcosa, forse proprio la corteccia prefrontale? Quel qualcosa non fa in tempo a bloccare tutti i pensieri che offendono l'istinto di conservazione, ne lascia passare qualcuno, che dice che non sono chi credo di essere, non sono una persona, sono un insieme di cose. Il mio corpo, le mie azioni e i miei pensieri funzionano in maniera meccanica, come un pelapatate. Ogni cosa del quotidiano nasconde il perturbante, che ci si annida dietro. Sono io una summa di tropi? Nemmeno dei più esaltanti, per giunta.

"Spegni la console, è solo un gioco." Poi passa, la sensazione, quasi subito. Via un altro giorno. Avanti così, tutto bene.

È il 2002. I piccoli momenti perturbanti del gioco culminano in una sequenza in cui lo schermo si infrange del tutto; mi sento sconvolto e anche piuttosto stupido, per aver pensato di possedere una copia difettosa. Raiden è nudo in un corridoio. Spengo addirittura la console, quando il Colonnello dice di farlo. Ho spento la Playstation 2 perché un personaggio del videogioco mi ha detto di farlo; che imbarazzo. Dice che è soltanto un gioco. È un gioco, come sempre, dice.

Alla fine di questa sequenza catartica, mi sento sollevato. Assolvo definitivamente Kojima dal suo peccato mentre in un combattimento oggettivamente bellissimo sono al fianco di Solid Snake impugnando una katana, simbolo del destrutturato, nuovo  ̶m̶e̶ ̶s̶t̶e̶s̶s̶o̶ Raiden. Ora ho capito il tuo piano, Hideo, vecchio geniaccio: consapevole dell'irripetibilità del vecchio capitolo, hai rischiato tutto mettendo il protagonista in una posizione di vero underdog (e cioè facendolo sottostimare persino dal giocatore) e consegnando definitivamente Snake al mito. Non potrò più essere quel Solid Snake (perché io stesso non sono più quello che ero), però posso combattere al suo fianco. Non puoi entrare due volte nello stesso fiume, eccetera. Va bene così, mi piace. Bella mossa, Hideo Kojima.

Mi sfuggono molte cose della trama che non riesco a mettere insieme, intuisco però il senso generale del tutto; in particolare mi pare avere una certa importanza una parola, mai sentita prima, che vado a cercare sull'unica enciclopedia a disposizione, non avendo una connessione alla rete, in casa. Quando digito per la prima volta "meme" su google, da un qualche pc altrove, assimilo la definizione in maniera fumosa, col tempo la dimentico.

Nella mia (certamente limitata) esperienza videoludica, non troverò mai un gioco più postmoderno di MGS2.

È il 2012, almeno credo. Rido convinto su un'immagine di Buzz Lightyear che mostra a Woody qualcosa fuori campo e, dice qualcos’altro di vagamente liberatorio e divertente (in quell' immagine in particolare, addirittura una bestemmia). Non sono ancora molto avvezzo al concetto. Ne trovo altre, tutte uguali, testo diverso. Cerco e ne trovo altre ancora, a decine, con pattern diversi. Bad Luck Brian è il mio preferito.

È il 2017. Sono su knowyourmeme.com, apprendo che il meme di Buzz e Woody ha un nome, si chiama X, X everywhere, e quello che avevo visto io ne era una leggera variazione, ma comunque classico: formula TT/BT (Top Text/Bottom Text), font Impact, zero layers. Nelle attuali fucine memetiche, è considerato roba preistorica. Secondo il sito, lo scheletro della battuta troverebbe il suo progenitore in un passo di The Rhyme of the Anciet Mariner di Coleridge, addirittura.

La teoria dei memi non ha a che fare solo con i meme di internet, ovviamente, ma questi ne sono un simbolo perfetto, ovviamente. È tutto ovvio, ora. Lo dice Seong-Young Her, che i meme li studia sul suo sito, Philosopher's Meme, che essi sono gli eredi spirituali del situazionismo. L' ho letto su Prismo. Mi sento autocompiaciuto.

È il 2002. Concludo il gioco, tutto ha di nuovo un senso, sono felice. Lo rigioco all'infinito, per cogliere tutti i segreti e ricostruire la trama cervellotica tra le interminabili cutscene e le sfiancanti conversazioni codec.

Nel finale, Kojima tratta le conclusioni politiche e sociali della sua storia, mi mette bene per iscritto la sua morale. È una persona che ammiro, Hideo Kojima, forse di più, direi che lo venero. Noi, gli esseri umani, siamo più che un insieme di cose. Non un pelapatate. Non un meme. Non una summa di tropi. Sono quelli che ci controllano, sono i Patriots (is that an Illuminati reference?) che ci vorrebbero così. Ma siamo persone, secondo Kojima.

È il 2017. Ripensando al finale di MGS 2 , adesso forse lo considero eccessivamente enfatico (wholesome? o forse un po' woke?), ma mi fido ancora di Kojima, sono tutti così i suoi finali, voglio continuare a credere in lui. Secondo Ligotti, invece, dovremmo serenamente accettare il fatto che l'autoestinzione è la cosa migliore che l'umanità stessa possa produrre. Pizzolato non lo asseconda del tutto; ci lascia guardare dentro l'abisso per 7 episodi, poi cede nell'ultimo ad un lieto fine nemmeno troppo mascherato.

 

Mi ricorda le conclusioni di Stephen Jay Gould in Bravo Brontosauro. Mi ricorda un sacco di cose.

Potremmo tutti arrivare al punto di ammettere qualcosa di terribile, ma poi, hey, in fondo siamo persone, ed abbiamo dei sentimenti che ci rendono umani, no? E quindi la vita è degna di essere vissuta, no? Non è detto. Chi ha ragione?

Forse tutti loro, pessimisti ed ottimisti, hanno ragione, almeno in parte. Questa battaglia per il senso delle cose non è reale. Non esiste in natura, non esiste in nessun luogo, quindi.

Esiste però nelle nostre teste, ognuno di noi dovrà affrontarla nella sua.

Ogni mattina, dopo aver dormito male, sono come Raiden, nudo nel corridoio.

Spegni la console, è solo un gioco.

Non sei un uomo.

Sei il meme di te stesso.

 

Ti devo molto, Hideo Kojima.

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